Il primo incontro tra Yves e Pierre
Yves Saint Laurent è morto solo da sei anni ma continuano le sue celebrazioni attraverso doc (il bellissimo “L’Amour Fou” di Pierre Thoretton), libri e film. Questo è il penultimo film, in attesa nel prossimo autunno del lavoro di Bertrand Bonello che si annuncia ancora più scandaloso e senza l’approvazione di Pierre Bergé che invece ha collaborato parecchio alla realizzazione di questo film di Jalil Lespert, regista di origini algerini come lo stesso Saint Laurent. Pierre Bergé, che recentemente ha inaugurato il Museo Berbero in Marocco, è stato il compagno ufficiale di Yves per oltre cinquant’anni, fino alla sua morte, ed ha fornito al regista, oltre ad una serie di aneddoti (ma filtrati dal suo punto di vista), anche alcuni degli abiti più famosi realizzati da Yves.
Parte della critica francese ha storto il naso davanti a questo a film, così come quella internazionale presente all’ultima Berlinale dove il film era in anteprima. Il motivo, non sempre dichiarato apertamente, è che nel film non sarebbe spiegati a sufficienza la genialità ed il lavoro di ricerca che stanno alla base del lavoro e delle creazioni di Yves, ma ci si concentrerebbe troppo sull’aspetto umano e vizioso dell’artista. Cosa che in realtà per noi potrebbe essere un encomio anzichè un dileggio, stanchi di vedere spesso messa in secondo piano l’omosessualità di grandi personaggi nei vari campi delle arti e del lavoro.
Risultano comunque ben sottolineate le intuizioni fondamentali di Yves che rivoluzionò la moda allargandola dal settore elitario dell’alta moda, quello dei salotti mondani, a diverse occasioni della vita, come i momenti di lavoro o quelli della vita privata, dove la donna poteva esibire autonomia e sensualità. Senza dimenticare l’incontro tra moda e arte con modelli ispirati ai lavori di artisti come Mondrian, al Balletto Russo, a Picasso. Nel film Yves rifiuta di definirsi un artista in quanto disegnatore di moda, ma appare chiaro in tutto il suo lavoro l’influenza e l’importanza dell’arte.
Il primo pregio di questo film è sicuramente quello di aver seguito e mostrato con meticolosità la straordinaria evoluzione di Yves, da timido ed impacciato figlio di una famiglia benestante installatasi nell’Algeria francese, alla esuberante vita gay parigina che accompagna i suoi grandi successi come creatore di moda. Yves è uno dei pochi omosessuali che non venera la madre, colpevole di non averlo mai difeso dagli attacchi ed insulti omofobi che riceveva in Algeria al collegio frequentato dai figli degli europei. La prima mezz’ora del film, sicuramente la migliore, è perfetta nel mostrarci il vent’enne Yves che si muove nell’ampia villa paterna, dove lancia furtivi sguardi alla servitù magrebina, mentre cresce la sua passione per gli abiti femminili e difende la sua timidezza e riservatezza dalle aspettative famigliari. Formidabile Pierre Niney nel restituirci il personaggio di Yves, sia per la somiglianza fisica ma soprattutto per la capacità di reincarnarne gli atteggiamenti, la gestualità e la raffinatezza, che solo i grossolani scambiavano per effeminatezza. Ancora bravissimo nel mostrarci la vita dissoluta che Yves condurrà a Parigi dove alla timidezza si sostituisce la bramosia del piacere, l’assolutà libertà sessuale tra festini gay e tradimenti amorosi, mentre resta ferma la sua incapacità imprenditoriale, quasi un’allergia al potere, tutto lasciato nelle mani del compagno Pierre Bergé. Pierre emerge invece come un uomo tutto d’un pezzo, sempre controllato ed attento agli interessi economici, senza i quali probabilmente Yves non sarebbe mai esistito. Il film, più che esaltare la loro storia d’amore (che comunque inizia con belle scene di baci appassionati), si concentra su un legame quasi matrimoniale, dove la vita privata è in subordine a quella imprenditoriale, e Pierre utilizza qualsiasi mezzo per tenere sotto controllo Yves, anche quello di scoparsi la modella da lui preferita, Victoire (Charlotte Le Bon), al fine di rompere l’influenza che aveva su Yves. Quando Yves sembra innamorarsi veramente di un accattivante gigolò, il bel Jacques de Bascher, già fidanzato di Karl Lagerfeld, Pierre non esita ad intervenire brutalmente per difendere la sua posizione. Il ruolo di Pierre è ottimamente interpretato, con un cambiamento sorprendente, dall’attore Guillaume Galliene che abbiamo recentemente ammirato come autore e protagonista del divertente “Tutto sua madre”.
Il film non ci nasconde gli aspetti politicamente negativi di Yves e compagnia, come una certa misoginia, nonostante l’esibita ammirazione per le donne che vestivano. Tremenda la scena in cui a Victoire è proibito di parlare mentre mostra un abito ad un acquirente. Patetici i ragionamenti di Yves durante le sommosse parigine del ’68 quando dice che se arriva il comunismo potrà disegnare camice e camici e camici.
Da notare come nel film venga esibita una lunga carrellata di attori figli di personalità famose, a iniziare da Victoire, interpretata da Charlotte Le Bon, primogenita del leader dei Duran Duran; Loulou de la Falaise, altra musa di Yves, che ha il volto di Laura Smet, figlia di Johnny Hallyday; Betty Catroux, colei che induce alla perdizione Yves tra droghe ed orge, interpretata da Marie de Villepin, figlia dell’ex premier francese Dominique de Villepin; per finire con il sopra richiamato Jacques de Bascher, che passa da Lagerfeld a Yves, interpretato da Nikolai Kinski (decisamente più bello del padre).
Il regista ha detto: “Volevo creare una storia universale, che parlasse al maggior numero di persone possibili. Per questo l’ho fatta passare attraverso una narrazione ‘di grandi sentimenti’: ognuno di noi è in grado di condividerli e identificarcisi”. In realtà, più che di grandi sentimenti, il film ci racconta la storia di un grande omosessuale che combatte per essere se stesso, tanto nel lavoro che nella vita privata ed intima, dove forse avrebbe potuto trovare maggiore felicità se libero dai condizionamenti, positivi o negativi, di coloro che lo circondavano.