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CRITICA:
“Parigi, 1957. La morte di Christian Dior porta il giovane e talentuoso Yves Saint Laurent, all’epoca ventunenne, a succedergli al vertice di una delle più importanti case di moda del mondo. La sua prima collezione sarà un successo planetario.
Scelto come titolo d’apertura della sezione Panorama del Festival di Berlino 2014, Yves Saint Laurent è un biopic piuttosto tradizionale incentrato sulla vita del grande stilista francese, nato in Algeria nel 1936 e scomparso nella capitale francese nel 2008. Firmato da Jalil Lespert, si concentra sulle tappe principali del percorso umano e lavorativo dell’artista: dalla fondazione della propria azienda di moda nel 1962 ai tormenti interiori e alle crisi creative.
Al centro della trama vi è anche, in particolare, il rapporto sentimentale e professionale con il compagno e socio Pierre Bergé (Guillaume Gallienne). Jalil Lespert, al suo terzo lungometraggio, realizza un film riuscito solo in parte: troppo schematico nella struttura narrativa, Yves Saint Laurent è poco emozionante e, a tratti, persino banale. Eccessivamente patinato dal primo all’ultimo minuto, il lavoro di Lespert si appoggia a continui cliché formali, tra musica colta e scelte fotografiche manierate. Sul rapporto tra Bergé e Saint Laurent era più interessante e coinvolgente L’amour fou, documentario firmato nel 2010 da Pierre Thoretton.” (Andrea Chimento, MTV.it – voto 2/5)
“Parigi, 1957. Yves Saint Laurent ha 21 anni e viene chiamato a prendere il posto del defunto Christian Dior nella cui maison ha già avuto modo di dar prova delle proprie qualità. Lo attende la prima collezione totalmente affidata alla sua creatività. Il successo ottenuto lo proietta ai più alti livelli della moda parigina imponendogli al contempo una continua pressione. Il ricovero per una sindrome maniaco-depressiva, in occasione della sua chiamata alle armi per la guerra in Algeria, fa sì che venga licenziato. Grazie al sostegno di Pierre Bergé, che ne diverrà il compagno e il factotum, lo stilista apre una propria casa di haute couture e YSL diverrà un marchio simbolo di eleganza e innovazione.
Jalil Lespert si inserisce con questo film nell’ambito del film biografico stando attento a non eccedere nella beatificazione del protagonista ed evitando anche di cadere nel gossip per immagini. Sono due rischi che chi decide di affrontare una personalità complessa come quella di Yves Mathieu Saint Laurent non può sottovalutare.Il film non ci propone solo il progredire della creatività di un artista in continua ed obbligata evoluzione (a un certo punto gli verrà fatto rilevare che è felice solo due volte l’anno: in primavera e in autunno quando presenta le nuove collezioni) ma va oltre. Ce lo contestualizza, ad esempio, nella lacerante situazione di chi ha lasciato la natia Algeria (da cui anche il regista proviene) e sente il peso di dover rispondere ad interrogativi socio-politici a cui si vorrebbe che prestasse attenzione. La sua vita invece sta in quelle matite che muove con la rapidità di un pittore e da cui nascono abiti che sanno valorizzare le donne rimanendo al passo coi tempi e spesso anticipandoli.
Come Valentino Garavani con Giancarlo Gemmetti così per Yves è determinante l’incontro con Pierre Bergé. È il compagno a cui può appoggiarsi quando la sua forza creativa si muta in fragilità emotiva, è l’organizzatore e il manager. È colui che sa dare un valore commerciale alle sue creazioni mentre Yves acquista una preziosa e antica statua di Buddha senza saperne neppure il prezzo. È a lui (interpretato da un partecipe Guillaume Gallienne) che Lespert affida la narrazione ed è il vero Bergé che ha consentito di esplorare il lato nascosto alle cronache di una relazione durata tutta una vita. Un rapporto in cui non sono mancati i tradimenti e che, per un periodo non breve, ha finito con il ruotare intorno a una donna. La modella Victoire diviene per entrambi un oggetto del desiderio e della gelosia che non li spinge mai a rinnegare od occultare la loro omosessualità ma li mette a confronto con quel mondo femminile per il quale entrambi ogni giorno elaborano e promuovono quegli altri oggetti del desiderio che hanno il nome di abiti di alta moda.” (Giancarlo Zappolli, MyMovies.it – voto 3/5)
“L’attore giovane, e noto pure un po’ in Italia Jalil Lespert (conosciuto da noi soprattutto per il film d’esordio con Laurent Cantet “Risorse umane” e per l’apprezzato “Pa-ra-da di Marco Pontecorvo), dedica la sua seconda regia cinematografica ad un biopic (il primo sul soggetto, dato che pare ne seguirà a breve un secondo a cura di Bernard Bonello) sul grande stilista francese, scomparso non molti anni orsono. Una cinebiografia corretta, minuziosa, calligrafica quanto basta per restituire quella formalità visiva e di maniera che peraltro ben si addicono ad un settore magari evanescente, per molti versi superfluo, ma a conti fatti di primaria importanza per l’economia e l’influenza stilistica e di tendenza in grado di esercitare su scala nazionale e ben oltre il proprio paese d’origine. Seguiamo dunque, a tratti pur con un certo interesse, la irresistibile ma dignitosa e sempre contenuta ascesa del timido, impacciato, affusolato ed affascinante diciannovenne Yves, che dalla casa paterna algerina benestante, si trasferisce a Parigi, con la piu’ orgogliosa e compiaciuta benedizione materna, per applicare il suo già indiscutibile talento visivo e creativo presso la celebre Maison Dior; divenendo presto e con estrema disinvoltura il pupillo del celebre stilista. Poco tempo dopo, alla morte di quest’ultimo, l’efebico Yves viene nominato a dirigere la struttura creativa dell’impero, continuando ad assicurarne il successo, almeno fino a quando, poco dopo, e solo dopo aver incontrato l’abile uomo d’affari Paul Berge’ ed essersene innamorato, lo stilista trovera’ il coraggio e la carica appropriate per fondare, ancora giovanissimo e grazie ai consigli del suo nuovo colaboratore strategico, la maison che porterà il suo nome e non cesserà nemmeno dopo la sua morte di rimanere il baluardo ed in sinonimo del lusso e della esclusività.
La scalata al successo del suo protagonist non impedisce al regista Lespert di rinunciare a tratteggiare peculiarità intime e caratteriali molto introspettive del Saint Laurent uomo e ragazzo, inesperto alla vita, ma vivo e vitale, aperto alle avventure con la sete di scoperta che anima l’intelligenza dei curiosi, ed imbevuto di voglia di imparate cio’ che il mondo circostante gli pone come affronto o traguardo, con la natura come fonte di ispirazione, i suoi colori, le sue bellezze tra tradurre e rappresentare ra le pieghe e nelle curve delle sue stoffe abilmente intagliate. Pierre Niney e Guillaume Gallienne, entrambi provenienti dalla celeberrima “Comedie francaise” e visti di recente il primo con la commedia carina “20 anni di meno” e il secondo proprio in questi giorni sugli schermi italiani nell’esilarante “Tutto sua madre” (di cui e’ regista e doppio interprete), sono due interpreti efficaci che riescono a far dimenticare, almeno a sprazzi, un certo didascalismo da cine-biografia di maniera che latita qua e la’ in una storia anche un po’ eccessivamente laccata e studiata a tavolino con certosino, ma anche spesso statico, perfezionismo.” (Alan Smithee, Filmtv.it- voto 3/5)
“…Il biopic Yves Saint Laurent cerca di inserirsi in questo contesto, nobilitato da uno dei più creativi e meno omologati stilisti degli ultimi decenni. YSL -così è diventato leggenda, con una sigla, come i grandi presidenti- era nato a Orano, nell’Algeria francese. Una nota sempre da tener presente avvicinandosi alla sua vita e che Jalil Lespert utilizza fino in fondo per caratterizzare un ragazzo di grande timidezza, che non si sentiva mai pienamente a suo agio nei salotti della Parigi più ricca, figlio di una famiglia borghese di pied-noir (per l’appunto i francesi d’Algeria), cresciuto circondato da tante figure femminili a coccolarlo, a proteggere la sua grande sensibilità e la sua omosessualità in una terra non propriamente tollerante al riguardo.
I vestiti sono la sua passione, però, allora arriva molto presto a Parigi dove inizia a lavorare per la mitica casa di moda fondata da Christian Dior, finendo presto per diventare assistente e pupillo e poi, alla sua morte, direttore artistico. La sua prima sfilata è un successo trionfale, in un mondo in cui l’alta moda è ancora un circolo esclusivo per pochi ricchi amanti del bello e qualche giornalista. Il suo successo lo porterà presto a rischiare l’ignoto, ad aprire una sua linea di abiti, affrontando la sfida del Prêt-à-porter e l’apertura dei primi negozi.
Una scommessa vinta grazie all’amore di una vita e razionale anestetizzatore dei suoi eccessi, il paziente Pierre Bergé, interpretato dal Guillaume Gallienne di Tutto sua madre, che in un ruolo così diverso dimostra la sua versatilità.
Un film che asseconda la struttura tradizionale di tanti affreschi biografici, perdendosi nel voler raccontare un arco temporale molto ampio, con il periodo di crescita, la fulminea ascesa sull’onda di un talento fuori dal comune. In seguito il carattere cambia e cede agli effetti collaterali del successo, poi la parabola discendente, legata in questo caso alla salute di un ragazzo troppo gracile per andare in guerra nella sua Algeria, diventato poi un adulto mai cresciuto fino in fondo.
Il limite dell’onesto affresco di Jaspert è quello di non far risaltare in pieno la peculiarità di YSL, il protagonista sarebbe potuto essere un musicista o uno scrittore e sarebbe cambiato poco. La sensazione è più quella di un prodotto di ampio consumo che di un abito firmato.” (Mauro Donzelli, Comingsoon.it)
“Genere insidioso il film biografico. Se chi lo dirige riesce a mantenere una propria originalità, mettendosi al servizio della storia che vuole raccontare, senza rinunciare ad un tocco visionario, i risultati possono essere molto soddisfacenti; nel caso di Yves Saint Laurent, biopic diretto da Jalil Lespert e presentato nella sezione Panorama a Berlino 64 ci troviamo di fronte ad un prodotto deludente, dalla confezione impeccabile. Ispirato alla biografia scritta da Laurence Benaïm, il lungometraggio racconta parte della vita del celebre stilista, scomparso sei anni fa, dagli esordi come delfino di Christian Dior (alla morte del leggendario stilista nel 1957 è chiamato a succedergli) agli ultimi giorni prima della sua scomparsa, avvenuta per un tumore al cervello. Parte integrante del film è la narrazione del rapporto d’amore che ha legato Saint Laurent al socio e compagno di vita Pierre Bergé. Mentore, amico, amante, businessman impeccabile, pigmalione, Bergé, interpretato da un bravissimo Guillaume Gallienne (ma è in parte anche l’altro interprete, Pierre Niney), è il porto sicuro di Yves.… L’immagine del genio maledetto, dell’artista incapace di essere pienamente pacificato con sé stesso è argomento di per sé scomodo, se non altro per l’automatismo che questo pensiero supporta; inserito in un contesto cinematografico piuttosto piatto diventa addirittura pesante. Seguendo un rigoroso ordine temporale, Lespert, che ha scritto la sceneggiatura assieme a Jacques Fieschi, Jérémie Guez e Marie-Pierre Huster, raggruppa le fasi essenziali della carriera di Saint Laurent e della sua vita spericolata, trasformatasi letteralmente dopo la fondazione della propria maison. Da timido ragazzo dalle grandi doti artistiche, Yves diventa uomo affamato di vita, dedito alla promiscuità e alle droghe. Una persona fragile, dunque, che sogna di avere forza fisica, di morire in un letto affollato e si definisce “uomo gentile”. (Francesca Fiorentino, Movieplayer.it – voto 6/10)
“Il rigore degli anni ‘50, gli eccessi dei ‘60 e la crisi dei ‘70, non ci sono mezze misure ma solo luoghi comuni in questo film biografico su Yves Saint Laurent, che sembra tenere a tutto tranne che al suo protagonista, che lo segue per 3 decenni e poi salta dritto alla morte senza saper fare di questa scelta una parabola o una costruzione intellettuale.
C’è la storia che entra dai telegiornali, futile, vaga e anche poco comprensibile, c’è l’attualità che si intuisce dai discorsi nelle occasioni sociali e c’è anche un accenno di costume. Indeciso se ritrarre lo stilista o gli anni che ha segnato Jalil Lespert non riesce a fare nessuna delle due cose. Il primo è un uomo che tutti chiamano “genio” ma di cui non vediamo mai l’abilità al lavoro o del quale non capiamo le svolte, la forza e la differenza con gli altri; i secondi sono un’accozzaglia che non codifica, mostra o legge nulla, semmai ripropone quei segni che lo spettatore sa ricondurre alle varie epoche, così da identificarle da solo.
Già pupillo di Dior in giovane età, noto per la sua timidezza e gli atteggiamenti schivi, Yves Sain Laurent fatica a ritagliarsi un ruolo nel mondo della moda nonostante il suo genio riconosciuto. Sarà il tradimento della casa Dior (alla morte del fondatore) e l’incontro con Pierre Bergé, professionalmente proficuo ma sentimentalmente difficile, a cambiare la sua vita, portandolo ad aprire un proprio atellier e ad uscire fuori dalle costrizioni che una rigida educazione cattolica avevano imposto.
Concentrandosi sulla vita privata del grande uomo, come si conviene ad un film biografico, Lespert questa volta dimentica totalmente di mostrare il motivo per il quale questi ha meritato un film che ne racconti la (ben poco interessante) vita. Si sprecano le lodi nei suoi confronti lungo tutto il film, quasi ci volesse convincere a parole del genio di Yves Saint Laurent, senza essere capace di mostrarcelo al di là degli abiti.
Quest’atteggiamento molto povero di scrittura fa il paio con la scelta di piegare tutto il film sugli attori, dimenticando totalmente che anche gli altri comparti dovrebbero concorrere alla riuscita finale. Potendo contare su Guillaume Galliene e Pierre Niney (già apprezzati in Tutto su sua madre e 20 anni di meno), entrambi provenienti dalla comedie-française, Lespert (anch’egli attore al suo primo film da regista) lavora unicamente con loro e su di loro, cerca l’interpretazione magistrale in ogni scena, spesso trovando, specie in Galliene, una spalla perfetta, misurata e comunicativa. Ma è decisamente inutile perché tutto quel che i personaggi si dicono e fanno sembra avere l’obiettivo di mettere in mostra la recitazione più della storia, gli attori e non ciò che interpretano.” (Gabriele Niola, Badtaste.it)
E’un biopic patinato con bella fotografia, immagini sontuose e musiche operistiche ke fa molto gran mondo parigino. Io ho trovato la figura di Bergè molto più interessante di qll di Saint Laurent descritto con il classico stereotipo del genio sregolato. Anke se Pierre Niney m è piaciuto molto.
I film biografici mi piacciono molto, sono sempre abbastanza rivelatori, mi permettono di conoscere meglio i personaggi che hanno fatto la storia, anche se spesso sono fin troppo romanzati. Non conoscevo la vita di Ives Saint Laurent ne’ i suoi lavori, ma questo film non mi ha “accontentato” come in realtà credevo. Molto lineare, abbastanza noioso, un prodotto sfornato da uno stampino, simile a molti altri, di poca fantasia, anche se la fotografia non mi dispiace. Certo gli ambienti, la raffinatezza e la sensualità non manca, ma non coinvolge, è molto statico, senza “colore”…
Lugubre. Noioso. Una serie di avvenimenti uno vicino all’altro. Nessuna drammaturgia, buoni spunti buttati al vento. Protagonista inespressivo con zero chimica con il personaggio di Bergè. Almeno si vedono begli ambienti e bei costumi.
Anche a me è piaciuto molto. Molto interessate il rapporto tra i Bergè e S. Laurent. Un legame indissolubile e vitale per entrambi nonostante i tradimenti e i dissapori. Da vedere.
Anche a me è piaciuto molto. Molto interessate il rapporto tra i Bergè e S. Laurent. Un legame indissolubile e vitale per entrambi nonostante i tradimenti e i dissapori. Da vedere.
La fotografia è superba: film elegantissimo, ma un po’ lento.
Mi è piaciuto. Bel film: buona regia, bella fotografia, ottima recitazione ; uno dei pochi film in cui la vita affettiva dell’artista non solo non è tenuta celata -come fanno abitualmente i registi trogloditi di fiction italiane -ma è la parte più importante della trama. E’ il film.Ve lo consiglio