COSTRUZIONI DI IMMAGINARI : QUEER LISBOA

Il resoconto dal 13° Festival gay di Lisbona, appena conclusosi, inviatoci dal critico e programmatore Cosimo Santoro che ci presenta i titoli vincitori e l’impegno di un Festival “che sceglie il cinema di qualità come base per la crescita e la vitalità di una comunità di un paese che vive …

IL TRAILER DEL FESTIVAL (con immagini dal film di João Pedro Rodrigues)

“Ander” di Roberto Castón (lo vedremo in Italia il prossimo mese di novembre durante il MedFilm Festival di Roma) ha vinto la tredicesima edizione di Queer Lisboa, il Festival Internazionale di Cinema Gay e Lesbico diretto da João Ferreira, che si è tenuto dal 18 al 26 di settembre. Opera prima partita dal Festival di Berlino e premiata già a parecchi festival internazionali, Ander è un’insolita storia d’amore che si svolge nella campagna basca, è parlata in basco e ha per protagonisti due uomini: il proprietario terriero il cui nome da il titolo al film (Josean Bengoetxea, che ha vinto il premio per la migliore interpretazione maschile) e il bracciante peruviano José (Cristian Esquivel, che ha recitato anche in Che di Soderbergh); i due supereranno gradualmente le differenze che li separano e il silenzio della comunità rurale che li circonda per iniziare un’amicizia che sfocerà nell’amore.


Una immagine dal film “Ander”

Il film nasce dal bisogno di differenziarsi dalle altre produzioni glbt spagnole, proponendo una prospettiva sociale chiara e inclusiva e uscendo dal contesto urbano. L’idea sbagliata che ne può nascere è che la città sia l’habitat naturale per chi ha un orientamento sessuale differente. Non esistono infatti film spagnoli che parlano di questo tema nelle comunità rurali, che di solito resistono ai cambiamenti e sono spaventate dalla diversità. La pellicola ha già trovato distribuzione in parecchi paesi Europei e in Asia, ma non, come racconta lo stesso Castón, negli Stati Uniti, dove le esigenze dei distributori non incontrano la scelta di fare un film con attori di poco appeal per il pubblico d’oltreoceano. La cosa è un po’ triste, ma va da sé…

La giuria composta dallo scrittore americano Richard Zimler, dall’attrice portoghese Isabel Medina, dal critico olandese Boyd van Hoeij, dalla direttrice della programmazione del Festival Gay e Lesbico di Parigi Florence Fradelizi e dalla distributrice e programmatrice Ricke Merighi ha inoltre deciso di attribuire una menzione speciale al film messicano di Julián Hernández, “Rabioso Sol Rabioso Cielo”, già vincitrice del Teddy Award durante l’ultima Berlinale, film fiume della durata di tre ore e dieci minuti, mitologica storia d’amore e di redenzione, mentre il premio per la migliore interpretazione femminile è andato a Mina Orfanou, intensa e toccante protagonista del film greco “Strella”, anche queto presentato all’ultimo Festival di Berlino, in cui interpreta il ruolo di una transessuale che dovrà confrontarsi con l’amore per colui che non sa essere suo padre.


Locandina del film “Rabioso Sol Rabioso Cielo”

Un altro film premiato ai Teddy Award ha vinto per la categoria documentari: si tratta di “Fig Trees” di John Greyson, in cui la giuria composta dal regista israeliano Oded Lotan, da Melissa Prichard, programmatrice del Festival Gay e Lesbico di Amburgo e dallo psicologo portoghese specializzato in studi queer Nuno Noudin ha riconosciuto una regia ricca e complessa, capace di tenere l’attenzione dello spettatore attraverso l’intelligente combinazione di elementi classici rivisitati in chiave sperimentale e per l’importanza delle problematiche dell’ HIV-AIDS che qui vengono affrontate.

La giuria ha inoltre attribuito una menzione speciale al documentario austriaco “Verliebt, Verzopft, Verwegen”, di Katharina Lampert e Cordula Thym, tra pubblico e privato, una ben costruita opera prima che pone luce sul passato di un gruppo di attiviste lesbiche e lo mette a confronto con il presente ed il futuro dell’associazionismo.

Per la serata di apertura il Festival si è forgiato dell’anteprima nazionale dell’ultimo film di João Pedro Rodrigues, già presentato al Festival di Cannes: “Morrer Como um Homem”. Il film, in uscita nelle sale portoghesi il 15 ottobre, mescola il pop ed i silenzi narrativi tipici di Rodrigues, è ambientato nella scena dei drag club di Lisbona, e ruota attorno alle vicende di Tonia, ex Antonio, della sua storia con un giovanissimo militare e del suo gruppo di amici. A due decadi dal militante New Queer Cinema, Morrer Como um Homem è una riflessione sul clima culturale post-gay, dove l’omosessualità sullo schermo è cosi ubiqua, che è quasi come sei i personaggi delle storie dei film queer non esistessero più nella loro differenza di sessualità e genere. Una rivendicazione di poter mettere in scena storie universali per un pubblico universale. Davanti ad una sala stracolma il regista, che ha anche donato alcune immagini del film per il trailer del Festival, e tutto il cast hanno raccolto lunghi applausi sia prima che dopo la proiezione.


Immagine dal film “Morrer Como um Homem”

Chiuso dal teen queer “Were the World Mine” di Tom Gustafson, il festival, oggi una delle realtà più interessanti nel panorama europeo, ha programmato circa un centinaio di titoli, divisi tra le tre sezioni competitive (per il cortometraggi esiste solo il premio del pubblico che è andato allo spagnolo Yo Sólo Miro di Gorka Cornejo) e le sezioni collaterali, tra cui spiccano senza dubbio la sezione Queer Art, dedicata al cinema non narrativo, alle contaminazioni e alla videoarte, all’interno della quale è stata presentata una piccola retrospettiva dell’artista poliedrico Albert Sackl, e la sezione Queer Pop, con due programmi di videoclip, uno legato ai nuovi gruppi emergenti, l’altro a veterane della musica come Zazie e Mylène Farmer.

Una serie di omaggi (Francis Bacon, Stonewall, il Muro di Berlino, Judy Garland, Antonio Variações, Antonio Botto e Amalia Rodrigues) ha caratterizzato la sezione Espaço Da Memória, uno spazio lounge fatto di proiezioni, mostre e dibattiti, mentre è socuramente riuscito nel migliore dei modi anche il tentativo di realizzare un Queer Market, in un apposito spazio dove si sono potuti rivedere, tra gli altri, due classici del cinema queer, come The Living End di Gregg Araki e The Celluloid Closet di Rob Epstein e Jeffrey Friedman.

Film dalla narrazione convenzionale e opere di più difficile fruizione, riflessione e rivisitazione del passato e proposte innovative hanno caratterizzato dieci giorni di un Festival seguito da un pubblico giovane e attento, affamato di cinema e di confronto, mai annoiato e sempre stimolato da uno staff che lavora con passione e che sceglie il cinema di qualità come base per la crescita e la vitalità di una comunità di un paese che vive ancora la forte contraddizione tra un passato difficile e proibizionista e un presente in cui la voglia di libertà è sempre più forte.

Cosimo Santoro

Vedi sito ufficiale del festival

Qui sotto alcune immagini dal Fesival “Queer Lisboa”


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