Abbiamo ormai visto quasi tutti i 12 titoli in concorso per il primo Queer Lion e dobbiamo dire che il selezionatore di questi film “a tematica lgbt” deve possedere una sensibilità queer assai più sviluppata della nostra che, almeno per la metà di questi titoli, ha faticato non poco a trovare consistenti riferimenti lgbt.
Si salva il primo titolo di questa selezione, proiettato all’inizio della Mostra, ‘The Speed of Life’, dell’indipendente americano Ed Radtke, sia per i contenuti che per la capacità di coinvolgere lo spettatore. Il film ricorda “Sesso bugie e videotape” di Steven Soderbergh ma è molto più concentrato sulle storie dei personaggi e sull’ambiente malsano delle periferie newyorkesi, da dove dei giovani adolescenti sognano di evadere, anche solo guardando le immagini prelevate dalle videocamere rubate agli apparentemente felici turisti. Samuel, il protagonista, è un tredicenne già sommerso da problemi più grandi di lui, con padre sparito chissà dove, fratello in galera e nonna adottiva cieca, che sogna una vita normale, alternativa, che a volte nei suoi sogni, realizza trasfigurando la realtà. Ecco allora che il padre diventa un pescatore partito per l’Alaska, il fratello un soldato morto in guerra e lui stesso un soldato che viene ferito, ma questa volta da una pallotola vera… Il tema dell’omosessualità è ricorrente nel film e ne diventa una delle principali chiavi di lettura. Uno dei candidati più probabili al Queer Lion.
Interessante ma forse troppo ambizioso e poco convincente il film francese “24 Battute” di Jalil Lespert che ripete il modulo a incastri di diversi personaggi che alla fine si incontrano per caso, qui in una affollatissima discoteca la notte di Natale, e dovrebbero arrivare alle conclusioni dei loro drammi personali (per lo più irrisolti conflitti famigliari). Tra questi abbiamo la storia di Marie, una lesbica ancora troppo legata ad una madre invadente, alla ricerca di un amore risolutore.
Ci soffermiamo un attimo sul maccheroni-western di Miike Takashi, “Sukiyaki Western Django”, una divertente presa in giro / omaggio dei nostri western anni ’60 e ’70, che, come ha riconosciuto recentemente anche Quentin Tarantino, erano percorsi da una venatura di sentimenti omofili appena mascherati, per le anime candide, da solide e incorruttibili amicizie virili. Anche questo film non manca al richiamo dei sentimenti gay più o meno velati e fa vincere, da parte nostra, al suo protagonista, il divo della tv giapponese, Ito Hideaki, il premio di Mister 64ma Mostra: bellissimo, delicato, intelligente, ha superato nel nostro cuore agguerriti concorrenti come Brad Pitt, Colin Farrell, Ewan McGregor, Johnny Depp, Jude Law, George Clooney, ecc. Per la cronaca segnaliamo che il premio transgender è stato assegnato da Enrico Lucherini a Cate Blanchett per la sua favolosa interpretazione di Dylan nel film del regista gay Todd Haynes (un film che avrebbe figurato benissimo anche nel concorso per il Queer Lion).
Nonostante che alla critica non sia piaciuto molto, il secondo film italiano in concorso, “Il dolce e l’amaro” di Andrea Porporati, ci vede tra i suoi pochi estimatori. E’ vero che racconta una storia di mafia forse già vista e rivista, ma a noi è sembrata ugualmente fresca e coinvolgente, sia per la struttura narrativa (ci racconta la mafia dagli occhi di uno dei tanti manovali che vengono utilizzati e presto eliminati) che per la caratterizzazione dei protagonisti. Tra questi un Luigi Lo Cascio (Saro Scordia) emaciato, imbronciato, triste anche nei suoi momenti di gloria, come se fin dall’inizio presagisse il suo futuro, la sua miserabile sconfitta, che avrebbe ripetuto quella del padre. Significativa una delle scene iniziali che lo vede fare all’amore con una donna che prima di possederlo gli mette dei vistosi orecchini e che alla fine anch’essa svelerà un suo travestimento. Saro ha un amico d’infanzia, interpretato da Fabrizio Gifuni, che è probabilmente innamorato di lui (frequenta la donna dell’amico, non si difende quando questi lo picchia, non si sposerà mai) ma che farà una scelta di vita opposta alla sua, diventando giudice. Su due fronti opposti, resteranno comunque legati, salvandosi vicendevolmente la vita.
Veramente poco il contenuto gay di ‘Searchers 2.0’ di Alex Cox che racconta il viaggio di due vecchi attori di film western Fred Fletcher (Ed Pansullo) e Mel Torres (Del Zamora) che compiono accompagnati dalla figlia di uno di loro, per vendicarsi di uno sceneggiatore che li tormentava (li frustava per farli lavorare senza essere fermato né dal regista né dal produttore). Durante il viaggio i due protagonisti ricordano i vecchi film western e i nomi dei diversi divi che li interpretavano, tra i quali anche poche battute sui protagonisti di Brokeback Mountain e di Butch Cassidy. Il film è comunque interessante sia per i vari temi che affronta (genitori e figli, la guerra, ecc) sia per il clima surreale e divertito che l’accompagna.
Film struggente e fantastico, ma forse non completamente riuscito, ci è sembrato anche “Help me Eros”, prodotto dal regista gay Tsai Ming-Liang, e diretto da uno dei suoi attori feticcio, Lee Kang-sheng. Film fortemente autobiografico, come dichiarato dal regista, mette in scena tutte le fantasie erotiche più spinte ( un amplesso a tre acrobatico, una grassona che fa il bagno con una piovra, una partita di biliardo senza slip, ecc.) che vorrebbero riscattare la triste vita dei giovani di Taipei, una città dove tutto è insensato e frenetico. Tsai Ming-Liang presente al lido ha rivelato il suo prossimo progetto: un dramma girato al Louvre con Lee Kang- sheng, Maggie Cheung e Jean-Pierre Leaud.
Degli altri film visti vi abbiamo già parlato, compreso “Sleuth” di Kenneth Branagh che resta il nostro personale Queer Lion, sia per la qualità dell’opera nell’insieme, che per il coraggio di inserire una forte tematica gay in un film della grande distribuzione.
Nella immagine qui sotto l’attore Ito Hideaki protagonista di “Sukiyaki Western Django” presente alla 64ma mostra veneziana