Settimana prossima, esattamente mercoledì 29 agosto, parte la 64 Mostra d’Arte Cinematografica veneziana, il primo festival di cinema del mondo (essendo nato nel lontano 1932, Cannes arriverà solo nel 1939).
Un Festival che oggi è ancora il primo per l’impegno e la qualità artistica esibita, grazie ad una serie di direttori e organizzatori che hanno saputo presentare ogni anno il meglio della produzione internazionale, accogliendo sia opere di grandi registi che di autori sconosciuti. Dallo scorso anno oltre alla perenne sfida con Cannes si è aggiunta anche la concorrenza della Festa del Cinema di Roma, praticamente contemporanea (sono stati comunicati ieri alcuni titoli dei film che parteciperanno). Ma, grazie alla capacità reattiva del direttore della Biennale e a Marco Muller, direttore della Mostra, quest’ultima sfida sembra avere fatto più bene che male alla Mostra veneziana, che proprio quest’anno ha potuto mettere in cantiere il nuovo Palazzo del Cinema (potrebbe essere pronto già nel 2010) e, soprattutto, ha presentato un programma per la 64ma edizione giudicato da tutti eccezionale e coraggioso.
Certamente la novità per noi più importante, che ci ha permesso di inserire la Mostra di Venezia su queste pagine, è l’assegnazione del premio “Queer Lion” al film, tra tutti quelli presentati nel cartellone veneziano, che meglio rappresenterà il mondo e le problematiche LGBT. Fino ad oggi una scelta simile, tra i grandi festival internazionali, è stata fatta solo dalla Berlinale, con il Teddy Award nato nel 1987.
Nonostante che arriviamo vent’anni dopo, e ci arriviamo grazie all’impegno di Daniel Casagrande, direttore di Cinemarte, e dell’On. Franco Grillini che hanno tenuto sotto pressione da quattro anni la direzione della Mostra, questa scelta di Venezia ha provocato ugualmente reazioni scandalizzate, sia in casa nostra che all’estero ( le Guardie della Rivoluzione iraniana hanno scritto su un loro sito che il Queer Lion è “segno evidente del degrado morale dell’Occidente”).
Complessivamente la stampa nazionale ha dato la notizia di questo nuovo premio collaterale (fino ad oggi), con poche righe di cronaca, probabilmente timorosa di provocare altre reazioni negativa sulla Mostra, già sotto pressione per quanto abbiamo detto sopra.
Eppure l’importanza del premio Queer Lion è, per il nostro paese, epocale. E’ il riconoscimento ufficiale di una cultura omosessuale presente ormai in quasi tutti i settori creativi della nostra società. Come ha giustamente riconosciuto il direttore della Mostra Marco Muller presentando il premio che, ha detto, “Rappresenta un dovuto riconoscimento ad una cultura visiva consolidata e da sempre all’avanguardia sull’orizzonte dell’arte” e, in una recentissima intervista a Repubblica ha aggiunto che “Non vale la pena di interessarsi al cinema se non lo si considera sinonimo di libertà, tolleranza e uguaglianza”.
Franco Grillini, rispondendo alle critiche straniere, ha dichiarato che questo premio “rappresenta il simbolo di tutte le libertà che l’Occidente, con la sua cultura e la sua politica, difende, protegge e sostiene.”
Delia Vaccarello, componente della giuria del primo Queer lion, ha scritto sull’Unità che finalmente “al posto delle offese i gay questa volta saranno premiati”.
Purtroppo esistono ancora nel nostro paese alcune forze politiche e clericali che tentano di nascondere o reprimere la presenza della cultura omosessuale, come dimostrano il caso dei mancati finanziamenti al Festival Gaylesbico milanese di quest’anno o la cancellazione della mostra “Vade Retro” su arte e omosessualità o i dinieghi curiali per “Venice Gays“, la rassegna di cinema gay che si svolgerà subito dopo la Mostra.
Venezia, con questo premio, ha dimostrato di essere all’altezza dei tempi, di credere nel pluralismo culturale e nella libertà di espressione, nella ricchezza e nella varietà degli apporti artistici ed esperienziali, senza preclusioni o malcelate censure. Grazie Venezia.
Il Queer Lion verrà assegnato da un’apposita giuria presieduta da Andrea Occhipinti, produttore e distributore cinematografico; Simone Morandi, produttore cinematografico; Sandro Avanzo, giornalista di Radio Popolare; Delia Vaccarello, scrittrice e giornalista; Vincenzo Patané, scrittore e critico cinematografico. Il premio sarà consegnato il giorno 8 settembre presso la sala Perla del Casinò al Lido di Venezia.
Di seguito elenchiamo le opere presenti nelle varie sezioni della Mostra che, per i loro contenuti a tematica LGBT, sono candidate al premio Queer Lion. Purtroppo nelle sinossi dei film non si parla quasi mai esplicitamente di questi contenuti, un po’ per la solita paura dei distributori di alienarsi parte del pubblico, un po’ perchè spesso rivelare queste tematiche potrebbe diminuire la “sorpresa” narrativa del film.
Cliccare sull’immagine per aprire la scheda del film.
FILM IN CONCORSO ALLA 64 MOSTRA VENEZIANA
The Darjeeling Limited di Wes Anderson (Usa, 91′)
Con Owen Wilson, Adrien Brody, Anjelica Huston, Jason Schwartzman, Bill Murray
Tre fratelli americani che non si parlavano da un anno decidono di ricominciare il proprio rapporto con l’aiuto di un viaggio attraverso l’India, con l’obiettivo ufficiale di ritrovare la madre partita per svolgere interventi umanitari, ma in realtà per ritornare ancora uniti come lo erano un tempo. Le loro buone intenzioni, tuttavia, deragliano presto (causa eventi che comprendono uno sciroppo per la tosse indiano, uno spray al pepe, ecc.) e si ritrovano alla fine sperduti e soli nel deserto con undici valige, una stampatrice e una macchina per laminare. A questo punto inizia per loro un nuovo e non progettato viaggio… Alla fine la riflessione sulla propria vita e sull’India in generale li aiuterà a capire cosa è veramente importante e cosa no.
Sleuth di Kenneth Branagh (Gran Bretagna / Usa, 86′)
Con Michael Caine, Jude Law
Film in concorso a Venezia 64, molto atteso per l’inevitabile confronto della pellicola con l’originale firmato Mankiewicz (Gli insospettabili) di cui è remake. Ricordiamo qualcosa del film del 1972: Gli insospettabili racconta la storia di un giallista, spocchioso e raffinato che invita nella sua villa un parrucchiere di origine italiana che sa essere l’amante di sua moglie. Tra trabocchetti, messe in scene, travestimenti e tanta cattiveria, la storia prenderà degli esiti incredibili. Kenneth Branagh ha comunque detto che “Chi ha amato l’originale rimarrà abbastanza sorpreso da questa versione, ma penso che è necessariamente molta diversa. Nessuno di questi ragazzi era interessato a realizzare un semplice rifacimento”. Il ruolo che fu di Caine passa questa volta a Jude Law. Tra gli attori più apprezzati della sua generazione, interpreta una seconda volta un ruolo che fu di Caine dopo quello di Alfie, ineffabile seduttore inglese. Il film di Branagh, oltre al cast, invidiabilissimo, ha un’altra splendida carta da giocare: la sceneggiatura di Harold Pinter, uno dei geni del teatro del Novecento che ha firmato alcune tra le più brillanti e geniali sceneggiature del cinema inglese, e regista di “Butley” (1975), film a tematica gay.
The Assassination of Jesse James by the Coward Robert Ford di Andrew Dominik (Usa, 155′)
Con Brad Pitt, Casey Affleck, Sam Shepard
Film basato sull’omonimo romanzo di Ron Hansen, parla di Jesse James (Brad Pitt), uno fra i più celebri banditi del Vecchio West. Uscito sconfitto e umiliato dalla Guerra Civile, James era amatissimo dalla propria gente e considetato proprio come una sorta di Robin Hood del West. Mentre Jesse James sta preparando la sua prossima razzia, guardandosi dai molti cacciatori di taglie che vorrebbero catturarlo, la più grande minaccia per la sua vita viene da uno della sua banda. Il compagno e traditore Robert Ford. Il suo ultimo giorno di vita è storia nota: James si trovava in una sua fattoria, e stava spolverando un quadro. Dava le spalle a un suo ospite chiamato Robert Ford, il quale fece partire un colpo di pistola a tradimento dalla sua Colt 45, che raggiunse la nuca del bandito uccidendolo all’istante…
Nessuna qualità agli eroi di Paolo Franchi (Italia / Svizzera / Francia, 102′)
Elio Germano, Bruno Todeschini, Irène Jacob
Visto così, seduto di fronte al medico, il quarantenne Bruno Ledeux dà di sé l’idea di un uomo non più giovane e non ancora vecchio. Le labbra marcate esprimono calma e riserbo. Lo sguardo tradisce invece qualcosa di inafferrabile, inquieto: la diagnosi è chiara, non lascia alcun margine al dubbio. Bruno non potrà mai avere figli.
Inchiodato ad essere solo e sempre figlio, il percorso di Bruno comincia qui, come se scendesse piano dinanzi a lui una nebbia che lo chiude in una gabbia senza uscita.
Non dice niente di quella diagnosi ad Anne, la sua amatissima moglie. Non le dice niente neppure del grosso debito che ha contratto con Giorgio Neri, un vero e proprio usuraio che si nasconde dietro il rassicurante ruolo di direttore di banca. Si direbbe proprio che Bruno non abbia nessuna qualità, nessun talento. Un uomo mediocre dall’orgoglio ferito. Anne adesso è tutta la sua vita. Una vita italiana costruita lontano dal suo passato svizzero. Un passato senza affetto e senza ricordi, di una famiglia assoggettata ad un padre, famosissimo artista. Un padre egoista e manipolatore che Bruno ha odiato. E, forse, ha cancellato. Ma tutto sembra sopito nella sua memoria adesso. Come un fiume che scorre tranquillo, ignaro di tutte le correnti sotterranee che lo agitano nel profondo. Però le correnti a volte risalgono in superficie. Imprevedibilmente. Prepotentemente. Il responsabile in questo caso si chiama Luca. È uno strano ragazzo. Nello sguardo una combinazione di ingenuità e dolore, determinazione e follia. Non ha niente in comune con Bruno eppure qualcosa sembra piano piano accomunare questi due perfetti estranei.
Luca nasconde molte cose di sé e sembra sapere tutto di Bruno, anche del suo segretissimo debito economico. È semplice. Il ragazzo non è che il figlio di Giorgio Neri, l’usuraio, che proprio in quei giorni, scompare misteriosamente… Bruno rifugge da quel giovane come presentisse un pericolo ma, d’altro canto, non può rimanere insensibile di fronte a quel dolore così pulsante, disperato, familiare che attanaglia il ragazzo e che lo porterà a tentare, proprio davanti agli occhi di Bruno, il suicidio. Una nebbia intorno a Bruno sembra avvolgerlo sempre di più, sempre più densa. Come se fosse impossibile trovare una strada, una via d’uscita. Forse nessuno lo può aiutare adesso. Forse nemmeno Anne… Bruno sembra non avere neanche più paura adesso. Nemmeno del fatto di avere capito benissimo che l’indifeso, disperato Luca ha ucciso il padre, Giorgio Neri, il suo usuraio… Saprà però trovare una estrema dolorosa soluzione…
Bangbang wo aishen (Help Me Eros) di Lee Kang Sheng (Taiwan, 107′)
Lee Kang Sheng, Yin Shin
Il regista Lee Kang-Sheng è uno degli attori preferiti di Tsai Ming-Liang (produttore del film), qui alla sua seconda prova dopo “The Missing” (Bu Jian) del 2003 (vincitore del New Currents Award al Pusan International Film Festival 2003 e del Tiger Award al Rotterdam Film Festival)
Ah Jie e’ un giovane agente di borsa fallito in seguito ad una crisi economica generale, che trova conforto nella coltivazione della marijuana in casa; disperato, chiama una hotline per suicidi ed entra in contatto con Chyi, una donna grassa ossessionata dal cibo da quando ha sposato un famoso cuoco. Ah Jie chiede a Chyi di poterla incontrare, ma questa oppone ripetuti rifiuti, così Ah Jie proietta le loro fantasie erotiche su Shin, una ragazza che lavora in un negozio di noci sotto casa sua. Shin è sempre vestita con abiti provocanti al fine di attirare la clientela. Entrambi diventano sempre più intimi, e presto, grazie ad un intenso uso delle droghe, si ritrovano in un mondo onirico ed erotico, fatto di fantasie orgiastiche e piaceri psichedelici. Ma inevitabilmente la realtà farà presto capolino…
Sukiyaki Western Django di Miike Takashi (Giappone, 121′)
Con Quentin Tarantino, Hideaki Ito, Kaori Momoi, Yoshino Rimura
Primo lavoro di Takashi Miike girato in lingua inglese, malgrado cast e maestranze siano giapponesi. Con un occhio a Sergio Leone e l’altro ad Akira Kurosawa, il nuovo film di Miike è un omaggio a una delle sue pellicole preferite, Django, storico western di Sergio Corbucci, coproduzione italiano/spagnola del 1966. Come da sinossi presente nel sito ufficiale, il film racconta dei combattimenti di due gruppi rivali, i due clan Taira (Heike) e Minamoto (Genji) durante la sanguinosa guerra Genpei (punto di confine tra l’età classica e il Medioevo giapponese) nella cittadina di Yuda, mentre un inesorabile guerriero viene in aiuto degli abitanti.
Il dolce e l’amaro di Andrea Porporati (Italia, 98′)
Con Fabrizio Gifuni, Luigi Lo Cascio, Donatella Finocchiaro
Siamo nei primi anni ottanta e per Saro Scordia (Luigi Lo Cascio) Cosa Nostra è una cosa grande, degna di rispetto. Gaetano Butera (Tony Gambino), un mafioso di rango, comincia a tenere d’occhio quel ragazzino scalzo e povero, ma brillante, intelligente, coraggioso e gli fa capire che, se saprà dare buona prova di sé, avrà un futuro tra le file degli uomini d’onore. Cominciano così i primi passi di Saro nella vita criminale, le prime rapine, il pizzo, è come un’ubriacatura che fa credere a Saro di essere diverso dagli uomini comuni, un lupo in mezzo alle pecore, e che gli fa perdere la testa: soldi, donne, rispetto, quello che un poveraccio come lui non ha mai avuto. Ma nella sua vita c’è anche Ada (Donatella Finocchiaro), di cui Saro è innamorato da quando è ragazzino, Ada che ha la sua età, ma sembra già una donna, che ricambia la sua passione in alberghetti di periferia, ma che non lo vuole come marito, non vuole una vita con un mafioso. E questo lo fa impazzire… Cerca di allontanarsi da lei, di rifiutarla, di dimenticarla. Arriverà a sposare un’altra (Ornella Giusto). Ma non servirà a togliersela dalla testa. Intanto la “carriera” di Saro va avanti. Gli chiedono di commettere un omicidio, a Milano, un trafficante di droga che ha fatto uno sgarbo, il premio sarà l’affiliazione ufficiale a Cosa nostra. Ma l’omicidio non è quell’atto di coraggio che Scordia aveva immaginato, è solo violenza goffa, sporca, brutale, disumana. Trovandosi di fronte gli occhi di quel poveraccio che muore, Saro perde la sua determinazione. Quella morte scomposta, senza dignità, che ha inflitto su comando altrui ad una vittima che nemmeno conosceva, è l’inizio del frantumarsi delle sue convinzioni…
FILM FUORI CONCORSO (Venezia Notte)
Tiantang kou (Blood Brothers) DI Alexi Tan (Taiwan / Cina / Hong Kong, 95′)
Con Daniel Wu, Zhang Zhen, Shu Qi, Sun Honglei
Blood Brothers (Tiantang kou) è ambientato nella Shanghai degli anni ’30, una città nel pieno del suo splendore, una fiorente Babilonia dei tempi moderni, popolata da “signori della guerra”, politici, ricchi industriali, concubine e gangster. Kang (Liu Ye), Fung (Daniel Wu) e Hu (Tony Yang), tre innocenti giovani ragazzi, sono arrivati in questo falso paradiso in cerca di una vita migliore. Con il passare del tempo, ognuno di loro segue una strada diversa ma si trovano tutti davanti ad una vita all’insegna del crimine. Kang, assetato di potere è il più ambizioso. Fung, appagato dalla sua vita semplice al villaggio in cui viveva, ma obbligato a cercare rifugio a Shanghai, viene spinto dentro un mondo di violenza dove scopre sorprendentemente un lato eroico del suo carattere per poi innamorarsi della bellissima Lulu (Shu Qi), splendente spirito libero che sogna la celebrità. Hu è il più innocente e estroverso dei tre, in cieca ammirazione di suo fratello Kang, che seguirebbe fino in capo al mondo. In seguito, Fung incontra Mark (Chang Chen), un personaggio carismatico, che è in cerca della strada giusta, ma è tormentato dal suo passato. In una cornice di decadenza, la vita dei protagonisti prende una piega pericolosa quando una proibita relazione amorosa diviene di dominio pubblico. Gli amici si rivoltano contro gli amici, i fratelli contro i fratelli. I giorni dell’innocenza sono finiti, si devono affermare come uomini e fare le loro scelte. (Primissima.it)
SEZIONE ORIZZONTI
Searchers 2.0 di Alex COX (Usa, 90′)
Con Del Zamora, Jaclyn Jonet, Ed Pansullo
Due attori, che da sempre interpretano film western, convincono la figlia di uno di loro, ad accompagnarli con la sua macchina, per un viaggio da Los Angeles sino alla Monument Valley, per porre in atto una loro particolare vendetta…
SETTIMANA DELLA CRITICA
24 Battute di Jalil Lespert (Francia)
Con Benoît Magimel, Lubna Azabal, Sami Bouajila, Bérangère Allaux, Archie Shepp
Durante la notte di Natale, l’incontro casuale tra quattro personaggi molto diversi tra loro: Didier, autista di taxi, incontra Helly , ragazza madre che cerca di recuperare la custodia del figlio. Al duo si aggiunge poi, in circostanze violente, Marie, una provinciale arrivata a Parigi con una valigia piena di ambizioni. E partendo all’avventura verso il mare, il trio incontrerà Chris, batterista jazz. La notte si concluderà in festa, avendo trovato ciascuno di loro in questi improbabili incontri un conforto inatteso, una pausa tra una difficoltà e l’altra delle rispettive vite, e un segno del destino che scuoterà le loro esistenze.
GIORNATE DEGLI AUTORI
Freischwimmer (Head Under Water) di Andreas Kleinert (Germania – 110′)
Con August Diehl, Frederick Lau, Jürgen Tarrach, Fritzi Haberlandt, Alice Dwyer
Una commedia nera girata quasi come un musical, una fiaba grottesca con punte di grand guignol, il rovesciamento beffardo del mito tedesco della Heimat, la testimonianza di un talento visivo fuori dal comune, insomma un film che cavalca molti generi e tocca i più diversi registri senza seguirne nessuno fino in fondo. Ambientato nella scuola di una piccola cittadina tedesca maniacalmente pulita e ordinata, Freischwimmer travasa figure e motivi della grande cultura Europea (il liceo si chiama Kafka, la scena più dura sembra una versione horror della Classe morta di Kantor…) in uno schema da campus – movie Americano, col giovane poco dotato fisicamente (è quasi sordo, non nuota bene) che per vendicarsi dei suoi persecutori finisce per esagerare…Ma sotto la superficie scintillante di piscine olimpiche e reginette del liceo, dietro le geometrie del nuoto sincronizzato e i colori squillanti della pasticceria locale, si insinuano i veleni di una resa dei conti generazionale che affronta anche le colpe e i fantasmi dei padri assenti. Segnando il ritorno di un talento che dopo anni da habitué dei grandi festival internazionali e dopo aver raccolto una serie di trionfi nelle serie televisive, si riaffaccia sul grande schermo con un film inatteso e spiazzante, diverso da tutto ciò che il risorgente “nuovo cinema” tedesco ci ha dato in questi ultimi anni.
The Speed of Life (Superheroes) di Ed Radtke (USA – 83′ )
Con Noah Fleiss, Peter Appel, Lou Torres, Blaze Foster
Lirico ma crudo, Superheroes racconta la storia di Sammer, 13 anni, che percorre le strade di New York con una piccola banda di amici rubando fra le altre cose, e con i mezzi più ingegnosi, le videocamere ai turisti. Compiuto il furto Sammer torna velocemente nel quartiere popolare da cui proviene per vendere la refurtiva, ma tiene sempre per sé le cassette. Solo nella sua stanzetta, circondato da computer rubati, Sammer esplora questo vasto mondo di immagini altrui, sedotto dalle facce e dalle vite apparentemente felici di quegli estranei. E nel frattempo, oltre a cercare di mettere da parte abbastanza soldi per non doversi più accontentare di quei viaggi virtuali, se la vede col fratello maggiore, eternamente in attesa di essere scarcerato, con la loro anziana madre adottiva, con un sorvegliante che è a sua volta sorvegliato, con un vecchio barbone che nasconde un segreto e crede di poter volare. Fino a quando, vivendo e sognando nelle strade e sui tetti di Brooklyn, scopre che non tutti i turisti sono felici, che qualcosa lo porta irresistibilmente in Alaska e che le videocamere, diversamente dalle persone, possono davvero volare.