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Le recensioni dei film del critico e scrittore Vincenzo Patanè
Netflix, ormai nelle case di tanti italiani, rivela un’attenzione particolare per i film a tematica LGBT, offrendo anche chicche che altrimenti non potremmo vedere, se non in qualche festival.
È il caso del taiwanese Dear Ex, diretto dai registi Mag Hsu e Chih-Yen Hsu. Da molti anni ormai il cinema taiwanese si esprime su livelli di qualità, con ottimi registi (Tsai Ming-liang o Hou Hsiao-hsien) e con numerosi film LGBT, come Incroci d’amore, Eternal Summer, Spider Lilies o Formula 17.
Di certo, ora è la migliore cinematografia asiatica, assieme a quella di Hong Kong (ancora ben differente da quella cinese, nonostante l’ex colonia inglese faccia ora parte della Cina).
Zheng, malato di tumore, muore accudito con amore fino all’ultimo dall’affascinante Jay (Roy Chiu, un cantante attore, star della televisione taiwanese). Per andare a vivere con lui, Zheng ha abbandonato la moglie Liu – alla quale alla fine ha rivelato di essere stato da sempre attratto dagli uomini – e il figlio adolescente Chengxi (Joseph Huang). Quando Liu scopre che il marito ha lasciato come beneficiario dell’assicurazione Jay, esplode con veemenza nei confronti di quest’ultimo, anche perché teneva a quei soldi, che le avrebbero permesso di inviare il figlio a studiare in Canada. D’altra parte, a Jay – che la provoca in continuazione facendole ascoltare la voce del marito nella segreteria del cellulare in cui lo chiama “maritino mio” – servono a portare avanti una compagnia teatrale un po’ sgangherata ma a cui tiene molto. La violenza della madre mette in forte subbuglio il ragazzo, schiacciato tra i due contendenti ma anche curioso di capire il perché della scelta del padre. Per questo va a vivere nella casa disordinata di Jay, nonostante sia quest’ultimo sia la madre (che continua comunque a controllarlo a distanza) siano fortemente contrari.
Nel frattempo, i piani narrativi si intrecciano, e ci scoprono il passato; così capiamo meglio il rapporto di Zheng con la moglie e quello con Jay, il quale con abnegazione ha fatto tutto il possibile per aiutarlo a operarsi, anche facendo debiti con gli strozzini. Alla fine, sia Liu sia Chengxi capiscono la profondità dell’amore di Zheng e Jay. Chengxi torna a vivere con la madre ma ha capito che l’altro non è cattivo come pensava, anzi.
Il film, costato poco, ha incassato tanto e ha vinto molti premi internazionali.
La vicenda, allo spettatore italiano, non può non ricordare un po’ Le fate ignoranti di Özpetek, ma ci sono alcune significative varianti: al di là della presenza del figlio, ci sono i richiami a una società, aperta sì nei confronti degli omosessuali ma ancora conservatrice in molte frange, comunque molto diversa dalla nostra.
Per la prima metà Dear Ex è divertentissimo. Le considerazioni del ragazzo – che si barcamena fra l’isteria della madre e una persona che proprio non riesce a comprendere – spesso si tramutano in cartoni animati, spiritosi e spiazzanti, che invadono lo schermo, sovrapponendosi alle immagini (sulla falsariga di Diario di una schiappa).
Nella seconda metà questa verve si perde un po’ in funzione di un finale un po’ convenzionale.
Il film, nonostante non sia perfettamente riuscito nello stare in bilico fra dramma e commedia (anche per la forte caratterizzazione dei personaggi di Jay e Liu), funziona a meraviglia: sa emozionare lo spettatore, cavalcando con maestria argomenti delicati come la rottura di un matrimonio o la perdita di una persona cara ed entrando in profondità dentro i 4 personaggi, molto sfaccettati, nello stesso tempo vittime e prepotenti ma anche tremendamente umani.
Vincenzo Patanè
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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