Il mondo, e quindi anche cinema e tv che dovrebbero illustrarcelo, si sono finalmente accorti di essere più ricchi, più variegati, più interessanti, dando legittima evidenza alla realtà dei sentimenti omosessuali ed alle relative vicissitudini che l’accompagnano. Questa serie può vantare due primati, quello di essere la prima serie Netflix prodotta completamente in Italia e quello di essere la prima serie italiana ad avere un protagonista gay. Eravamo già stati presenti in altre importanti serie targate Sky, come Gomorra o Romanzo criminale, ma soltanto come personaggi secondari, che apparivano in pochi episodi. In “Suburra“, con Spadino (un impagabile Giacomo Ferrara) siamo tra i principali protagonisti, presente (almeno nella prima stagione) in ogni episodio.
Suburra è un’ottima serie, sia come sceneggiatura che come interpretazioni, capace di catturare la nostra attenzione con continuità (anche senza l’ausilio dell’accattivante incipit di ogni episodio) e soprattutto capace di farci entrare nell’intimo dei principali protagonisti. Alcuni, come Aureliano (un eccezzionale Alessandro Borghi), vengono da subito approfonditi con poche scene (odio per il mondo, che diventa violenza omicida, e amore per gli indifesi, vedi il cane e la negretta); o come Gabriele (Eduardo Valdarnini), succube della paura e della sua debolezza che gli aprono la strada verso qualsiasi malvagità; o come Sara (Claudia Gerini), una donna che mette al primo posto l’agognata sete di ricchezza; o come Amedeo (Filippo Nigro), un politicante senza successo che spera di trovarlo nella mala; o come Samurai (Francesco Acquaroli), che si crede padrone della vita e della morte di chiunque.
Spadino è sicuramente la figura più atipica, quella che, al contrario degli altri, facciamo fatica ad inquadrare da subito. Appartenente ad un clan malavitoso di zingari romani, orfano di padre e destinato a prenderne il posto, non sembra avere le carte in regola. Già dal primo episodio comprendiamo che è ‘diverso’, glielo dice francamente la madre, suggerendogli però di sacrificare la sua ‘diversità’ per un futuro di tranquillità e normalità, come esige la sua omofoba comunità zingara (disposta ad ucciderlo in caso contrario). Ma Spadino non sembra d’accordo. Ci appare quasi orgoglioso di quello che è, forse un po’ incosciente, ma baldanzoso e apparentemente sicuro di sè. Impossibile a chiunque non vedere la sua stravaganza, la sua ‘gayezza’, anche se lo sentiremo affermare di essere orgogliosamente ‘zingaro e frocio’ solo nel finale della prima stagione. Il suo è un percorso complicato, difficile, molto vicino alla realtà di tanti omosessuali che sono, magari inconsapevolmente, prigionieri di un ambiente che cerca di controllarli e reprimerli fin dalla nascita. Ma Spadino si sente naturalmente un ribelle, balla e si dinoccola davanti a chiunque, come se tutti sapessero chi è veramente. Anche davanti ai suoi nuovi amici, Aureliano e Gabriele, che vede come un’inattesa ancora di salvezza per uscire dalla sua prigione zingara. Vorrebbe andare a battere di notte nel parco, lo attraversa ma non ha il coraggio di fermarsi (poi cambierà). Spadino è forse la figura con una storia ed un’evoluzione più dettagliate, grazie ad una sapiente e realistica sceneggiatura. Lo vediamo innamorarsi pian piano di Aureliano, fino a dargli un bacio che comporterà una temporanea rottura. Lo vediamo rifiutare un matrimonio d’affari, fino a comprendere che potrebbe essergli utile. Le scene del suo rapporto intimo con l’indesiderata moglie sono tra le più esplicative: impossibile da amare, impossibile da rifiutare. Spadino si trova nel mezzo della scuola della vita, deve imparare a sopravvivere, a far fronte ad amici e nemici, a combattere senza esitazioni. E’ l’unico, nella prima stagione, che raggiunge i suoi scopi, senza macchiarsi di sangue, anche se siamo sicuri che ne sarebbe capace. Quello che sembrava un personaggio frivolo e fricchettone, pian piano si rivela quello che ha maggiore consapevolezza e determinazione.
Un’ottima serie, dicevamo, per tanti motivi. Mescola pubblico e privato, politica e religione, cronaca e costume, attraverso emblematici personaggi, alcuni dei quali, come i tre giovani protagonisti, che partono dai margini, quasi da fuori, per trovarsi pian piano al centro di una vicenda che ha segnato la storia romana degli ultimi anni. Il tutto senza didascalismo e senza pregiudizi. Vaticano e Partiti politici, così come imprenditori e mafiosi (in futuro entreranno nel gioco anche le forse dell’ordine), ci appaiono come i componenti di un’orchestra che non possono sbagliare nessuna nota, costi quel che costi, se vogliono portare a termine la loro partitura, che s’intitola gestione del potere, cioè gestione della ricchezza.
Finalmente una serie che possiamo esportare con orgoglio. La sceneggiatura ci descrive in maniera scorrevole e sempre interessante sia le dinamiche della criminalità organizzata romana, sia le vicende personali di alcuni delinquenti. Ma chi sono poi questi delinquenti? Difficile da stabilire. Nella capitale, la corruzione si annida ovunque; dalle periferie al municipio, fino ai palazzi vaticani. Droga, prostituzione, riciclaggio. In mezzo al marciume, sembra incredibile, ma trovano spazio anche i sentimenti. L’amicizia tra Aureliano e Spadino è senza dubbio il punto forte della narrazione. Romano puro sangue il primo, romano Sinti il secondo. In comune hanno la voglia di conquistarsi un posto d’onore nella Roma fuori legge. Spadino ha un ostacolo da superare: è gay. La comunità etnica a cui appartiene non riconosce l’omosessualità e per lui è difficile condurre una doppia vita, poiché si trova al vertice della catena di comando.
Spettacolo avvincente con interpreti di rara qualità nel panorama nazionale. Sono in attesa della terza stagione, ma per ora non ho notizie a riguardo.
Consigliato.