Il mostro di Firenze ripercorre le drammatiche vicende legate agli otto duplici omicidi avvenuti tra il 1968 e il 1985 nelle campagne fiorentine. Una scia di sangue che sconvolse l’opinione pubblica e valse all’assassino l’appellativo che lo ha reso tristemente celebre: il mostro di Firenze. In particolare, la serie racconta il dramma di Renzo e Winnie Rontini, genitori di una delle giovani vittime del mostro. Dopo la tragedia che colpisce la sua famiglia Renzo lascia il lavoro e dedica tutta la sua vita a scoprire la verità sull’omicidio della figlia. Sostenuto dalla moglie, Renzo cerca testimonianze che possano essere d’aiuto alle indagini e quando il caso arriva in un’aula di tribunale i due si costituiscono parte civile.
E’ l’inizio di uno dei processi più lunghi e controversi della storia giudiziaria italiana che si concluderà nel 1998, anno della morte di Pietro Pacciani e della condanna ai cosiddetti “compagni di merende”. Un’indagine lunga più di trent’anni, che ha tenuto con il fiato sospeso tutta l’Italia e la storia di un padre che non smise mai di cercare la verità. La serie adotta una tecnica che vorrebbe richiamarsi a serie criminali americane come CSI, ma si perde nei soliti stereotipi italiani come l’investigatore un po’ tonto (il primo che segue le indagini) o l’investigatrice donna naturalmente sottovalutata, ecc. Più indovinata ed efficace ci è sembrata la parte dedicata ai personaggi investigati e implicati negli efferati delitti, i cosiddetti “compagni di merende”.
Un po’ pudicamente, forse per eccesso di correttezza, viene dato il minimo rilievo alle implicazioni omosessuali all’interno della banda. Nelle investigazioni s’inizia a trovare qualcosa di concreto solo quando uno di questi si autodenuncia affermando che era stato costretto a collaborare ai delitti (come palo) da Pacciani che minacciava di denuciarlo pubblicamente come frocio (in quanto aveva avuto rapporti sessuali con lo stesso Pacciani). Sentiamo solo questa sua frettolosa dichiarazione e niente altro, nemmeno da o su Pacciani. Mentre le cronache e i resoconti processuali dell’epoca insistettero molto su questi aspetti “depravati”, come, ad esempio, quando si raccontò che Pacciani fu addirittura ricoverato in ospedale per farsi togliere un vibratore dal condotto anale. Sarebbe stata una buona occasione, da parte degli autori della serie, mostrare come all’epoca veniva considerato quasi normale o comunque accettabile avere degli amici o conoscenti serial killer, mentre era inconcepibile e insopportabile affrontare l’omosessualità in pubblico. La serie sembra anche nascondere che una delle coppie assassinate erano omosessuali, come se fosse stata una sorpresa per gli assassini, che invece, essendo la coppia in paese da più di una settimana, dovevano conoscere bene.
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