Noi pensavamo che l’Islanda, come dicono le statistiche, fosse uno dei pochi paradisi in terra, con un benessere individuale tra i più elevati al mondo, un livello di integrazione esemplare, e soprattutto un’armonia sociale invidiabile. Dimenticatevi tutto questo e preparatevi ad entrare in un mondo di depravazione, droghe, violenza e sfruttamento minorile del tutto inatteso. Caso vuole che mentre usciva questa serie in Islanda accadeva una tragedia simile nella vita reale, cosa che ha fatto tacere tutti coloro che gridavano all’inattendibilità della storia raccontata. Questa serie potrebbe essere considerata la terza stagione di una serie poliziesca, “Rettur” (2009), che è stata interrotta dopo la seconda stagione e che Netflix (dove è disponibile doppiata dal 7 dicembre) ha pensato bene di rimettere in carreggiata. L’ottima regia è tutta di Baldvin Zophoníasson (già regista del film gay “Jitters”).
Dei vecchi personaggi di Rettur ne rimangono solo due, Logi (Magnùs Jónsson), un avvocato dedito all’alcool e facile al sesso, e Brynhildur (Jóhanna Vigdís Arnadóttir) una collega che di lui non si fida troppo. Mentre nella prime due stagioni veniva presentato e risolto un caso in ogni episodio, qui abbiamo un unico caso che per essere risolto ha bisogno di ben nove episodi. Tra i nuovi personaggi abbiamo la poliziotta Gabríela (Steinunn Ólína Þorsteinsdóttir), vera protagonista della serie, lesbica non dichiarata, depressa che più non si potrebbe, ma con una forza di volontà che nessuno riuscirà a scalfire. Abbiamo solo due brevi scene dove si accenna alla sua sessualità, quando il suo partner di lavoro le chiede se è lesbica, assicurandole che per lui non cambierebbe nulla, e quando la moglie di quest’ultimo le chiede come sta andando il suo outing. In entrambi i casi Gabriela non si scompone, non si meraviglia e risponde (ma sarebbe meglio dire non risponde) senza darci troppa soddisfazione. Sarà per questa omosessualità repressa che la vediamo sempre così triste, a volte arcigna (da vecchia zitella), decisamente depressa? Certo è che ci troviamo davanti ad uno dei poliziotti televisivi più curiosi, completamenti fuori dai soliti canoni, ma proprio per questo assolutamente reale, pieno di verità. Guardandolo sembra di uscire da uno spettacolo tv ed entrare in una vera stazione di polizia. Della sua vita privata la serie non ci dice quasi nulla, tranne che ha una sorella bloccata psicologicamente per un trauma giovanile (alla fine, in modo un po’ troppo gratuito, lo conosceremo) che avrebbe bisogno del suo aiuto. Nella serie c’è anche una brevissima ma significativa storia gay della quale possiamo solo dirvi che ci mostra come anche in Islanda l’omosessualità non aiuti la carriera di uno sportivo, e come per nasconderla si costruisca una falsa storia d’amore etero con la complicità di una donna comprensiva.
La storia parte con il suicidio (o forse omicidio) di una 14enne, una giovane ballerina di talento, trovata morta al National Theatre di Reykjavík. Gabriela è incaricata delle indagini obbligatorie e, mentre tutti vorrebbero chiudere al più presto questo triste caso, lei si convince sempre più che dietro a questo apparente suicidio si nascondono crimini ancora più gravi. Raccontata così sembra una storia già vista e rivista, ma un’ottima sceneggiatura, con ripetuti colpi di scena, e una serie di misteriosi personaggi (che pensavi di conoscere ma invece), ci fanno entrare in una storia capace di catturare la nostra attenzione dall’inizio alla fine. Non mancano nudità (quasi eccessive) e sesso estremo (fortunatamente più raccontato che mostrato).
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