Storia di una terapeuta che peggio di così non potrebbe lavorare: manipola i suoi pazienti, entra nelle loro vite private, dice bugie al suo team di lavoro, ecc. Jean (interpretata meravigliosamente da Naomi Watts, che qui assume anche il falso nome di Diane, lo stesso che aveva in Mulholland Drive, dove pure aveva un ruolo lesbico) è una donna che si avvicina alla mezza età, sposata con un uomo, Michael (Billy Crudup), che la ama immensamente, avvocato di successo; con una figlia di nove anni, Dolly, che ha problemi d’identità; un lavoro come terapeuta in uno studio collaborativo che la impegna senza sovraccaricarla. La sua potrebbe essere una vita come tante, probabilmente migliore di tante, con problemi normali (la figlia, la segretaria del marito troppo attraente) e ottime aspettative per un futuro ancora migliore. Eppure Jean non è felice. Quando entra in un bar, che si chiama “la tana del coniglio” (il tema della paura sarà ricorrente), rimane presa dalla bella barista, Sydney (Sophie Cookson), che ricambia l’attenzione. Sydney ha appena lasciato il suo fidanzato, Sam (Karl Glusman), un bel giovane che aveva la colpa di amarla troppo, ed è in cerca di qualcosa di più eccitante. Sam ha già avuto esperienze lesbiche che vorrebbe ora riprendere con la matura ed interessante Jean, che si è presentata a lei col falso nome di Diane, professione giornalista. Combinazione vuole che Sam sia anche uno dei pazienti di Jean, in cura per guarire dalla sua ossessione verso Sydney. L’incontro al bar di Jean con Sydney potrebbe essere stato un incontro calcolato, ma la sceneggiatura non chiarisce. Il dubbio ci viene considerando lo stile di lavoro di Jean, che ama incontrare in anonimo le persone che sono la causa principale dei problemi dei suoi pazienti. Prassi, non proprio professionalmente corretta, che la porta a crearsi un mondo alternativo pieno di bugie e rischi. La serie a questo punto si concentra sulla doppia vita della protagonista, moglie amata in casa e lesbica (imbranata) fuori. La serie ha uno stile che ricorda diverse ultime serie di successo (Big Little Lies, The Affair) ma non è altrettanto efficace, almeno emotivamente, concentrandosi troppo sulla protagonista senza mai farcela veramente comprendere (spesso sembra che sia lei stessa la prima a non comprendere i suoi comportamenti), e soprattutto lasciando poveri di spessore altri interessanti personaggi, come Sam o Rebecca o Allison e soprattutto Alexis, la segretaria di Michael, quasi un mistero. Anche la tematica dell’identità sessuale della figlia Dolly (una promettente Maren Heary) viene usata solo per aumentare l’ansietà della protagonista, rimanendo così sullo sfondo. Disponibile su Netflix.
ruolo: Dolly Holloway
inteprete: Maren Heary
Splendida figlia novenne della protagonista, si vede più come maschio che come femmina, causando problemi a scuola e alla madre Jean che dovrebbe essere aperta e permissiva
La serie è ben fatta e mi è piaciuta moltissimo (ma ho letto che invece è stata un flop e non ci sarà un seguito), ma nel finale ha preso una piega che non mi è piaciuta circa la relazione tra Jean e Sidney, sempre improntata sull’ambiguità della terapeuta, che non riesce (o non può?) a decidersi da che parte stare (è lesbica, bisessuale o semplicemente instabile, capricciosa?). L’intera vicenda lascia alcuni punti (e personaggi) oscuri, non ben sviluppati e in effetti lo stesso agire della protagonista è poco chiaro e motivato. Ci vorrebbe in effetti una seconda stagione e spero che i produttori ci ripensino! Bellissime le musiche e la fotografia; ottimo ritmo narrativo e bravi tutti gli attori.