Un film sul bullismo, sull’emarginazione, ma anche sulla solitudine e su quanto possa essere soggettiva la morale. A differenza di altre opere su queste tematiche adolescenziali, qui non vengono messe in campo le origini o le cause del disadattamento dei tre protagonisti, tipo famiglie disfunzionali, genitori violenti o un’infanzia difficile. Questa particolarità avvicina il film più all’epos di una tragedia greca che ad una analisi sociale e ambientale, restituendoci l’amaro ritratto di una generazione abbandonata a se stessa. Aritz (Jorge Clemente) è il personaggio principale del film, un omosessuale represso, difficile, che viene preso di mira dai bulli di classe. All’inizio pensa di reagire dimostrandosi forte, cioè senza reagire, pensando che sia la soluzione migliore per disincentivarli, ma presto si accorge che quest’idea non funziona. Esteban (Emilio Palacios) è un’altro ragazzo disadattato che lo avvicina e col quale inizia a trascorrere gran parte del tempo libero. A loro si unisce Sarita (Beatriz Sánchez Medina, ottima performance) e insieme, dopo aver trovato rifugio in una casa abbandonata, studiano il modo per mettere fine alle persecuzioni che subiscono. Inizia quindi una specie di guerra tra bande che all’inizio ci vede dalla parte dei nostri eroi umiliati che finalmente riescono a ribellarsi. Nel contempo tra i tre ragazzi si sviluppano sentimenti che dovrebbero tenerli ancora più uniti, grazie anche al desiderio di ribellarsi pure alle convenzioni sessuali, alle logiche dei ruoli e del genere. Si sviluppa quindi un eccentrico triangolo libertario dove però Aritz si scoprirà decisamente innamorato di Esteban che invece ama sempre più Sarita… Opera prima di Zoe Berriatúa, un attore premiato e assai famoso in patria, che utilizza con maestria la cinepresa in riprese coreografiche di sicuro effetto (vedi la scena iniziale dei ragazzi che entrano in classe o la drammatica scena finale). Un’opera con richiami che vanno da “Arancia meccanica” a “West Side Story” con alcuni punti deboli (una recitazione a volte sopra le righe e alcune scene eccessive) ma complessivamente accattivante.
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Il film, che inizia molto bene, perde di intensità proprio allo sfociare della violenza: non viene gestito in maniera omogenea. La regista comincia a condire tutto di sentimentalismo e psicologia spiccia per dare un carattere distinto ai tre personaggi, trasformandoli in archetipi dell’adolescente ribelle. Il film perde forza, arrivando ad un finale prevedibile e nemmeno troppo riuscito.
Indovinata l’idea di usare la musica classica come colonna sonora: stride completamente con le immagini di vita suburbana e le trasforma quasi in coreografie. Gli attori sono bravi, anche se talvolta la recitazione appare enfatica (soprattutto di Artiz). Anche se presentato al Torino Gay and Lesbian Film Festival non mi pare per niente a tematica gay, è piuttosto un ritratto sulla confusione dei giovani, che chiedono solo un po’ di interesse e affetto, scambiandolo per amore.
Un bel film che pecca di troppa ingenuità