La protagonista di questo documentario, Stephania Curbelo Mirza, nata Roberto Jose, è un personaggio dalla storia davvero particolare.
Stephania ora è una trans di 42 anni, che si guadagna da vivere come custode in un parcheggio di macchine a Montevideo in Uruguay, ha pochi capelli, ha anche un po’ di barba, dimostra più degli anni che ha e non ha una casa vera e propria.
Stephania è nata come Roberto Jose a Managua in Nicaragua, da una famiglia molto povera. Già da piccola era diversa dai suoi fratelli, voleva avere i capelli lunghi, amava indossare vestiti femminili… Forse anche per questo a soli 7 anni il padre la consegna ai rivoluzionari sandinisti per essere arruolata come combattente. A 10 anni diventa un ‘maestro alfabetizzatore’ della rivoluzione. Quindi la famiglia la dà in adozione ad una coppia di uruguaiani attivisti Tupamaro, che avevano vissuto in Nicaragua e la sua vita prosegue in Uruguay. Da adolescente ha fatto anche il modello, poi con la transizione a donna, arriva l’abbandono della famiglia adottiva, la prostituzione come scelta obbligata e la droga. La scelta di vivere come una donna ha relegato Stephania ai margini della società uruguaiana; oggi molte cose sono cambiate almeno legalmente e lei ora pensa ad un possibile intervento chirurgico di cambio del sesso.
Il regista Aldo Garay conosce Stephania da più di venti anni, l’aveva già intervistata in uno dei suoi primi documentari ‘Yo, la más tremendo’ (1995), solo ora però è riuscito ad aiutarla a realizzare il suo sogno di rivedere la sua famiglia e il suo Paese di origine.
Nella prima parte del documentario Stephania si racconta e ci mostra come vive; poi la seguiamo mentre cerca in internet il nome dei suoi sette fratelli e ne trova uno, che contatta con Facebook. Da lì raggiunge gli altri familiari.
Quindi seguiamo Stephania ed il regista nel loro viaggio in Nicaragua, per incontrare i genitori, i fratelli ed i vecchi amici rimasti di Stephania. Ovviamente il suo problema maggiore sarà quello di farsi accettare come figlia e sorella. Fortunatamente solo un fratello minore, fervente evangelista, propone a Stephania una specie di esorcismo in chiesa, per guarirla.
Il titolo del documentario è un gioco di parole che fa riferimento ad una campagna degli anni 60’ di Che Guevara, per creare un nuovo tipo di cittadino cubano, un uomo nuovo, che non bada alle differenze di genere, altruista, laborioso ed onesto.
Il regista Aldo Garay è già noto anche in Italia, per il suo precedente documentario ‘El casamiento’ (2011) anch’esso con protagonista un anziana transessuale. El hombre nuevo ha ricevuto al 65° FESTIVAL DI BERLINO (2015) il premio Teddy come miglior documentario.
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