Varie
CRITICA:
Film gay più atteso alla Mostra di Venezia 72, quel “Danish Girl”arrivato già carico di polemiche da parte del mondo transgender per il mancato coinvolgimento nel progetto di veri interpreti transessuali. Vi si narrano infatti le vicende riportate dal libro “La Danese” (in italiano per i tipi di Guanda) in cui lo scrittore David Ebershoff ha ricostruito la vicenda autentica del pittore Einar Wegener che nel 1930 sperimentò, tra i primissimi, la chirurgia plastica per mutare la propria identità fisica maschile diventando Lili Elbe. Accanto a lui in tutto il percorso di ricerca, di accettazione e di mutazione la moglie Gerda, anch’essa pittrice conosciuta nelle aule dell’Accademia di Belle Arti. Il regista Tom Hooper si dimostra più interessato al complesso rapporto affettivo tra i coniugi segnato dalla situazione di Einar, che non alla complessità di una simile situazione in una società impreparata e in anni in cui si cominciava a mala pena ad usare il vocabolo “omosessualità”. Il percorso inizia quasi come un gioco tra i due, con la moglie che spinge e coinvolge il pittore in giochi (anche erotici) di travestimenti e trucchi al femminile. Prima tra le pareti domestiche, poi in feste danzanti in pubblico. A monte preesisteva già da parte di Einar un’attrazione verso gli abiti, la biancheria e gli accessori femminili, tanto che il modo in cui il film procede all’inizio sembra portare più verso un racconto di feticismo che non di transessualità. E’ solo dal momento in cui Einar si sente spinto a palesarsi nei panni di Lili, che finalmente si sviluppa il tema vero della differenza tra il modo di venir riconosciuti e di porsi in pubblico in base al genere sessuale e quello di essere sé stessi nell’intimo, e solo nell’ultima parte della vicenda la pellicola affronta di petto la situazione dell’identità di un genere intrappolato in un corpo non proprio e delle modalità con cui porvi rimedio. Per gran parte della storia, che si svolga tra Copenaghen, Parigi e la Germania di Weimar, la dinamica ripetuta è quella di una maligna Signora Hyde che ogni tanto, sempre più spesso, emerge a dominare un gentile Dottor Jeckyll fino a che non è più possibile tenerla sotto controllo e finisce per essere la vincitrice. Con una moglie devota che assiste e si mette costantemente a disposizione, con rare proteste e tanta generosità, in cambio di ispirazione dai travestimenti come soggetto per i propri quadri. Commuovono alle lacrime la complicità, l’amorevolezza reciproca, l’assistenza e i buoni sentimenti accompagnati da disinteresse e comprensione vicendevolmente differenti ma complementari; però i reali traumi e le difficoltà relazionali parte di lui (tema per davvero il più interessante da attingere dai diari autentici) restano tutti nel non detto. Fondamentalmente al regista premeva portare la tormentata storia di una coppia, più che l’aspetto melò o la descrizione di una disperazione individuale. Una love story quasi accettabile anche da Giovanardi che vi potrebbe riscontrare un meritato castigo divino per chi pur nell’amore romantico infrange le “regole della natura”. In un quadro del genere gli interpreti sono eccellenti e molto generosi, sia Eddie Redmayne (fresco di Oscar per “La teoria del tutto”), perplesso, curioso, tenero, sognante, fragile, rassegnato… capace in svariati momenti di suggerire in anticipo la malinconica fine del suo personaggio; ma ancor più è ammirevole la prova di Alicia Wikander che porta sulle spalle un ruolo ben più difficile del suo partner e si candida già al premio come miglior attrice al festival veneziano. Il resto sono immagini di abiti assolutamente glamour, trucco e parrucco da rivista d’epoca, ottima ricostruzione storica degli ambienti, una fotografia patinata a dovere. Affidiamo la veridicità di quanto mostrato dal film all’uscita nelle sale italiane il prossimo 4 febbraio. Il mondo trans sarà conquistato dall’aspetto romantico o peserà di più la sofferenza della ricerca della propria identità di genere?
Voto:
(per il valore storico del soggetto)
Sandro Avanzo
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Aveva ragione Oscar Wilde, è la vita che imita l’arte: la coppia di artisti è quindi pericolosa. Da quel giorno del 1926 a Copenaghen in cui la pittrice Gerda fece posare il marito paesaggista Einar Wegener in abiti femminili, gli ormoni insorsero. Il fruscio di sete, pizzi, merletti lo mandano in tilt, provocando un sensuale corto circuito di ambiguo piacere.
E si risvegliano sopiti ansimi, ed è la moglie che gioca la partita più ardua, il jolly affettivo forte, uscendo col marito en travesti (che trova subito un bel buon partito). Il dado transgender è tratto: il primo ufficiale cambio di sesso della storia. Prima un libro ed ora il film di Tom Hooper, entrambi attratti dalla realtà romanzesca più che dal dilemma sull’identità, illustrano la vicenda con studiato ricalco pittorico, smussando gli angoli molesti e trasformando lo scandalo in un quadro impressionista bellissimo da vedere ma in cui è lontana l’eco del dolore, dello strazio, del dubbio.
Baricentro della storia diventa, per l’amorosa dedizione espressa da una Alicia Vikander da Oscar, la figura femminile, che si specchia turbata nel cambiamento del suo Lili, un incanto diabolico in cui Eddie Redmayne avvolge i momenti scabrosi con una mesta e sorridente obbedienza, mentre, rimossi ricatto e redenzione finali, il futuro è garantito dal parigino rubacuori Matthias Schoenaerts. Un trionfo di primissimi piani dove il gioco dell’attrazione schizo-fatale perde ogni centralità in nome di un affetto universale unisex, diritto di cui si sta discutendo. (M. Porro, Corsera – voto 7/10)
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Copenaghen, anni 20. Artista affermato, Einar Wegener posa per la moglie Gerda sostituendo la modella.
Nell’indossare abiti da donna, il pittore sente risvegliarsi in lui un’altra identità, quella di Lili, e cerca di avere un corpo che corrisponda al suo alter-ego femminile. Elaborazione della storia autentica del primo transgender che si sottopose a un intervento di riattribuzione sessuale nel 1930. Tom Hooper sceglie di raccontarla come una love-story: un melodramma sensibile su una coppia di certo unica, ma legata da un sentimento profondo, in cui una donna fa da guida all’amato nella scoperta della sua vera identità sessuale. Le immagini sono composte come dipinti: studiate con cura e fotografate nei colori di cittadine e di cieli tipicamente nordici. Ne deriva un effetto elegantemente artificioso, tale da distanziare lo spettatore dalla drammatica vicenda.
Eddie Redmayne entra in parte con una bravura tale che potrebbe costare a DiCaprio l’ennesima delusione agli Oscar. (R. Nepoti, La Repubblica – voto 3,5/6)
Ho trovato quest’opera di una delicatezza e sensibilita’ infinite. Eddy Redmayne ha dato vita ad un personaggio sfaccettato nelle sue luci e ombre nel pieno rispetto della realta’ transgender. L’iniziale erotismo che intercorre fra lui e la moglie, non e’ mai fastidioso o sopra le righe, tutt’altro, la loro complicita’ e’ molto sensuale perche’ al di fuori delle retoriche relazionali dell’epoca. Fra di loro, man mano che la storia va incentrandosi sempre di piu’ sulla trasformazione di Einar in Lili, si evince fra i due tutta la forza di un amore che travalica i margini del possesso per fare pienamente posto al rispetto della natura dell’ altro. Nel finale sono scoppiata in un pianto liberatorio, e’ stato impossibile trattenermi! ?
Visto ieri sera al cinema all’aperto alla biblioteca di Mantova e non mi ha convinto appieno perché ho trovato la parte centrale che dovrebbe spiegare la scoperta di se stessa del pittore molto confusa e poco comprensibile come le brusche evoluzioni nei rapporti e sentimenti tra/dei personaggi; in compenso ritengo che la fotografia, i costumi e l’impegno siano motivati trovando molto pregevole l’aspetto artistico e paesaggistico quale espressione del proprio Io e delle pulsioni sessuali sublimate in nome della latenza. Voto: 7
Del film sapevo ben poco, se non che il suo protagonista era uno dei rivali di Leo Di Caprio agli Oscar. Quando dunque vedo, in apertura, il primissimo piano della protagonista rimango perplesso. Un viso qualunque, penso. La parrucchetta non le dona e la sua aria nel film non ha nulla di credibile. Scopro che è la moglie del personaggio principale e durante il film mi accorgo che è lei il punto debole di tutto l’impianto. La sceneggiatura non l’aiuta, lei non mi sembra brava e questo nervosismo mi accompagna per tutto il tempo. E si acuisce quando sui titoli di coda scopro che lei è la strombazzata Alicia Wikander che per questo ruolo (sic!) ha vinto l’Oscar. Non solo, è la fidanzata di Michael Fassbender e testimonial di Vuitton, definita la nuova Ingrid Bergman. Ma ho dimenticato di parlare del film. Formalmente bello, curato nelle inquadrature, nelle scelte dei colori, costumi e scenografie. Ma noioso, pieno di difetti nella costruzione della storia, incredibile in ogni aspetto (Redmayne che dipinge in gessato blu e colletto inamidato è meraviglioso). Certo, vestito da donna fa il suo effetto. Ma è insopportabile dopo mezz’ora nel manierismo delle sue faccette. Peccato, la storia meritava.
Non mi è piaciuto, l’ho trovato freddo e manierato come “Carol”, poco pathos, poco coinvolgimento. Redmayner mi è risultato subito antipatico. L’unica cosa positiva del film è che sia stato girato e diffuso, per far conoscere questa vicenda storica importante nel movimento transgender.
un bel film ..da vedere…triste ma carico di emozioni..
Ma quanto ho pianto?? Voto 10.
Viene segnalato in uscita nel 2014.
Peccato! Speriamo riprenda
Non solo non è ancora uscito nelle sale ma nemmeno è stato girato!! Il progetto si è interrotto.. La Kidman aveva scelto come coprotagonista G. Paltrow che però, dopo avere accettato, ha rinunciato a prendere parte al film..e per questo si è bloccato tutto.. Spero ripartirà..
La trama mi piace molto. Sarà sicuramente un film da vedere.
ps. Segnalo due voti già dati con il film ben lungi dall’essere uscito nelle sale …