Il personaggio di Borat è irresistibile, parodia di un giornalista kazako inviato negli Stati Uniti per realizzare un documentario sullo stile di vita americano. “Mia professione cronista televisivo. Io secondo di maggiore successo in tutto Kazakhastan. Io anche lavoro in passato come accalappia zingari” così si presenta Borat nel suo viaggio attraverso l’America in cui incontra gli omosessuali del Gay Pride, “tipico festival di strada americano” [Quando Borat incontra la manifestazione del Gay Pride dice, stupito, che i gay in Kazakistan devono indossare un cappellino blu e che spesso sono imprigionati e anche uccisi, al che il suo interlocutore risponde che anche gli americani si stanno dando da fare per raggiungere quegli obiettivi, ndr], i bulli dei rodei a cui augura che “Bush possa bere il sangue di ogni singolo uomo, donna e bambino iracheno”, i fanatici pentecostali che definisce “i miei amici del signor Gesù”, le femministe a cui spiega che un medico membro del governo del Kazakhastan ha dimostrato che “il cervello delle donne è grande quanto quello di uno scoiattolo”, una coppia di ebrei che lo accoglie amichevolmente in un bed and breakfast da cui fugge terrorizzato perché sa che loro vogliono ucciderlo, i neri della periferia che gli insegnano a portare i pantaloni calati sotto le mutande e a parlare nello slang della strada con cui poi, candidamente, Borat apostrofa la reception di un Hotel facendosi cacciare malamente. Katia Nobbio (Festival di Roma)
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Preceduto da un notevole tamtam mediatico, il film delude le aspettative: è innocuo e superficiale, a volte graffia ma con unghie finte.
Alle poche battute argute (troppo ripetute) si frappongono numerose gags simil “vacanze di natale”.
Divertente l’incontro con i manifestanti del “gay Pride” ma nel complesso risulta noioso con poche risate piene!