Brava Emma Dante che come sua prima regia cinematografica ha coraggiosamente affrontato le tematiche più attuali e più difficili dell’Italia contemporanea (ma non solo). Con il pregio di fare un discorso aperto a mille interpretazioni e svariate soluzioni. Ogni spettatore può sentire e prendere quello che più lo coinvolge, quello che più gli appartiene. La critica stessa è stata molto frastagliata dopo la presentazione del film a Venezia, dove ha vinto la Coppa Volti per la migliore interpretazione femminile, che nessuno ha comunque messo in discussione, così come l’ottima qualità dell’opera nel suo insieme. Le divisioni sono state nella percezione del film, nella sua lettura. Partendo da quelli che lo vedono come una tragedia greca fino a quelli che lo leggono come un documentario/testimonianza sulla Palermo di oggi, o quelli che lo sentono come una poesia corale, uno scontro epico con al centro una società immobile che non sa o non vuole trovare la strada dei cambiamenti (cosa che sarebbe facile, ci suggerisce l’autrice, facendoci vedere una strada che nel film si allarga sempre più, lasciando senza giustificazione la cocciutaggine delle due guidatrici che si fronteggiano).
Noi l’abbiamo partecipato come un canto d’amore verso un’umanità piena di contraddizioni, alterchi, prepotenze, opportunismi, ma sempre in attesa di una soluzione, di una liberazione, che spesso da soli non abbiamo la forza di trovare. Nel film non ci sono buoni o cattivi, anche se, a dire il vero, la parte femminile sovrasta quella maschile, soprattutto nella qualità. La storia del film è infatti centrata sulla vita di due donne, Samira, un’anziana vedova che divide i suoi affetti tra la figlia morta (altamente poetica e struggente la scena del cimitero) e il giovanissimo nipote, che rappresenta forse la sua fiducia nel futuro. Intorno a lei una miriade di parenti e conoscenti, tutta povera gente dei sobborghi palermitani, che spera sempre di poter trasformare l’acqua in vino, un capriccio in un affare, perchè le bocche da sfamare sono tante.
Davanti a Samira, che sta guidando una Punto carica di parenti, compare una Multipla con due donne. Sono Rosa e Clara, una coppia lesbica, una matura e l’altra più giovane. Sono due donne affermate, con problemi assai diversi da quelli di Samira e del suo mondo. La loro relazione sembra in crisi, ci sono incomprensioni e aspettative non corrisposte. Ad un certo punto del film parlano di lasciarsi, di mettere fine alla loro storia. La cosa bella, una precisa scelta dell’autrice, è che non ci sono problemi legati all’essere omosessuale. Il loro amore, ha detto la regista, è assolutamente identico a quello che potrebbe esserci in una coppia etero. L’amore è amore e basta. Noi siamo naturalmente d’accordo con Emma Dante, ma non possiamo negare che per tutto il film siamo sempre stati in attesa che nello scontro tra le due fazioni scoppiasse come una bomba l’alterità gay di una di esse. Soprattutto dopo il coming out di Clara col giovane nipote di Sara, che dopo la rivelazione si limita, con assoluta bonarietà, a chiamarla arrusa, frocia (Clara gli dice che preferisce arrusa). Ci sarà anche un appassionato bacio lesbico, che tutto il quartiere potrebbe vedere (ma è poco prima dell’alba). No, la bomba gay non scoppia, e a noi è sembrato di non essere a Palermo ma a San Francisco, dove i gay si tengono per mano e si baciano nelle strade, senza che nessuno abbia a ridire. In effetti la bomba gay del film è proprio questa, questa normalità dell’amore gay che anche a Palermo, capitale di una regione che ha per governatore un omosessuale dichiarato, può (noi diciamo potrebbe) esprimersi liberamente senza nessuno scandalo. Brava Emma che costringi anche il pubblico, che speriamo correrà numeroso a vedere il tuo bellissimo film, ad accettare la normalità e la bellezza di un amore lesbico. Significativo che dopo la proiezione del film in una sala gremita di pubblico (cinefilo), nessuno abbia posto, alla regista presente in sala, domande sull’omosessualità delle due protagoniste.
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