Non è impresa da poco cercare di rappresentare al cinema alcune possibili alternative alla famiglia tradizionale cercando di offrire spunti di riflessione che non scadano in ovvia retorica e nello stesso tempo far sorridere lo spettatore. Ci riesce parzialmente la dignitosa commedia “Una piccola impresa meridionale”, opera seconda del comico lucano Rocco Papaleo, tratta dal suo omonimo romanzo uscito per Mondadori contemporaneamente al film, la cui sceneggiatura è cofirmata da Valter Lupo che ne dirigerà una versione sperimentale di teatro-canzone prossimamente in scena.
Papaleo si ritaglia il ruolo del protagonista, Don Costantino, un sacerdote di un imprecisato paesino del Sud che si è ‘spretato’ per amore di una donna che però lo preferiva in abito talare. Per sfuggire alle malelingue e ai problemi famigliari – sua sorella Rosa Maria (Claudia Potenza) ha appena lasciato il cognato per un misterioso amante con cui pare essere volata in Cina – si reca in un faro dismesso il cui guardiano era il papà ora morente (nella realtà si tratta del faro di Capo San Marco nella splendida penisola oristanese del Sinis). Ma ben presto il ‘buen retiro’ che gli garantiva una protetta solitudine diventa una potente calamita che attrae una varia umanità: l’ex prostituta Magnolia (Barbora Bobulova), sorella di Valbona (Sarah Felberbaum), ossia la badante slovacca della madre Stella (Silvana Lojodice), anche lei destinata a rifugiarsi al faro; il cognato ‘cornuto’ Arturo (Riccardo Scamarcio), musicista sfiduciato; una coppia di muratori/manovali con figlioletta di uno dei due. Insieme cercheranno di mettere su una stravagante comune che sembra funzionare, al riparo dalle ottusità conformiste, lavorando tutti insieme per trasformare il faro abbandonato in un piccolo hotel dal design creativo. La comicità di Papaleo è semplice e non gridata, evita volgarità e derive trash tipiche di molto cinema popolare italiano contemporaneo, e il suo intento di mettere in scena una nuova, possibile famiglia, nonostante alcune semplificazioni naif, ha una sua onesta genuinità: in particolare nel tratteggiare la bizzarra coppia di manovali che sembrano una coppia gay – notare il buffissimo particolare gender: uno di loro, il circense Gennaro, si fa chiamare Jennifer perché “è più internazionale” – con tanto di bimbetta che verrà educata amorevolmente da tutta l’Armata Papaleo per superare l’esame da privatista di quinta elementare. L’amore lesbico che rappresenta l’unico colpo di scena del film ha una sua naturalezza e credibilità, e il finto matrimonio organizzato nel finale ha un impatto non indifferente sugli spettatori ma è più pessimista di quanto si possa pensare: un sacerdote presente alla cerimonia grida “Vergogna!” e non c’è un solo ospite che non si allontani in silenzio lasciando sola la piccola comunità di drop-out ‘illuminati’. Il regista sembra volerci dire che l’arretratezza e l’immobilismo culturale italiani, soprattutto nel Sud dove “noi meridionali siamo gli arti periferici, dita e unghie, del corpo sociale”, come dice Papaleo nel libro, non vogliono sentir parlare di diritti civili lgbt, relegando queste istanze a pretese utopiche destinate a piccole comunità di eccentrici. Ma in realtà, fortunatamente, nonostante la perdurante omofobia, sappiamo che non è più così. Fiaba anarcoide e stralunata, in cui la colonna sonora ha – finalmente – un ruolo di primo piano (belle le musiche di Rita Marcotulli, con riscoperta della dimenticata ‘Sole spento’ di Caterina Caselli), “Una piccola impresa meridionale” è ben interpretata in particolare da una strepitosa Giuliana Lojodice nei panni di Stella, la madre depressa, irresistibile nei suoi sbuffi furenti. Ma corre il rischio di aggiungere troppa carne al fuoco affastellando abbozzi di personaggi, mettendo sullo stesso piano, per esempio, le due lesbiche con l’ex prostituta il cui grande amore spunta all’improvviso e viene risolto frettolosamente in un paio d’inquadrature. Buoni gli incassi al primo weekend di programmazione: secondo posto con 1,24 milioni di euro, dietro al cartoon “Cattivissimo Me 2” che sfonda l’agognato muro simbolico dei dieci milioni. Si può vedere.
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