• R. Schinardi (Gay.it)

Pride

Persino Susanna Camusso ha voluto vedere in anteprima “Pride” di Matthew Warchus, liberatorio e imperdibile film queer delle feste, in uscita giovedì prossimo grazie a Teodora. La leader della CGIL ha ricordato anche “le discussioni che ci furono sull’opportunità di partecipare ai Gay Pride, cosa che peraltro la CGIL fa da un numero infinito di anni. Operai gay e lesbiche trent’anni fa erano vittime di discriminazioni che in realtà ci sono ancora oggi. Certo, ormai non fa più notizia se uno è omosessuale mentre i transgender sono quelli più in difficoltà, perché qui i pregiudizi sono ancora forti. Voglio poi sottolineare il ruolo delle donne che in Pride, come nella vita, sono il punto di congiunzione dei diritti del lavoro e dei diritti civili”.
Dopo molti film recenti in cui la questione queer si è ripiegata su un sentiero più privato e personale, raccontando di singoli o coppie, finalmente “Pride”, vincitore della Queer Palm al Festival di Cannes, riporta al centro il senso di “comunità allargata” e lo fa rivolgendosi anche a un pubblico etero generalista, il che potrebbe garantirgli anche un certo successo.

La forza del film sta proprio nel gestire benissimo la coralità degli interpreti, in grado di trasmettere allo spettatore un buon umore genuino e un senso di autentica vitalità partecipata che restituisce dignità alla parola ‘solidale’. E il fatto di essere ispirato a una storia vera, gli infonde anche una certa autorevolezza di fondo pur mantenendo sempre un tono di commedia briosa particolarmente piacevole. Come dovreste ormai già sapere, siamo nel 1984, durante lo storico sciopero dei minatori inglesi che durò quasi un anno e coinvolse circa 165.000 lavoratori: la Lady di Ferro Margaret Thatcher aveva annunciato la chiusura di una miniera di carbone nello Yorkshire, il sito estrattivo di Cortonwood, primo di una ventina di stabilimenti che avrebbero causato la perdita di ventimila posti di lavoro. Alcuni attivisti del movimento gay inglese decisero di dare una mano ai minatori scioperanti del Galles e si radunarono nella libreria Gay is the World di Marchmont Street, a due passi da Russell Square, sotto la sigla LGSM (ossia ‘Lesbian and Gays Support the Miners’, lesbiche e gay supportano i minatori: già allora gli acronimi andavano alla grande per quella che sarebbe diventata la comunità lgbtq!). Ma i leader dell’Unione Nazionale dei Minatori, il NUM di Arthur Scargill, non vedevano di buon occhio gli omosessuali e votarono contro il sostegno del LGSM.

A quel punto gay e lesbiche si armano di secchielli pieni di sterline-obolo e si recano a bordo di uno scassatissimo pulmino in un villaggetto nel sud del Galles (nel film sono sette, sei ragazzi e una ragazza, mentre nella realtà approdarono in ventisette). Ma l’accoglienza è inizialmente tutt’altro che calorosa.
Nessuna operazione nostalgia, nessun sentimentalismo, qualche svolta narrativa buonista un po’ favolistica ma molto brio e battute incalzanti. Attori bravissimi, con un plauso particolare ai veterani Bill Nighy, il vecchio minatore Cliff, e Imelda Staunton nei panni della volontaria Hefina, morta il primo giorno delle riprese (“È stato come se mi dicesse: ho fatto la mia parte, ora continua tu” ha dichiarato l’attrice inglese). Il giovane Mark Ashton, nella realtà morto di Aids a 27 anni (a lui è intitolato il Mark Ashton Trust per la raccolta fondi contro l’HIV), è interpretato da Ben Schnetzer mentre Dominic West incarna il provetto ballerino Jonathan Blake, uno dei primi sieropositivi inglesi, oggi sessantacinquenne.

“Quello di Pride era un copione a cui era impossibile dire no – afferma il regista -. Mi ha fatto ridere, mi ha sorpreso e divertito di continuo, e alla fine mi ha commosso. Combattere per il diritto di lavorare sotto terra in condizioni spaventose sembra difficile oggi da capire, ma nel 1984 i minatori sapevano che quello era tutto ciò che avevano, per la loro generazione e per quelle a venire. Ma il loro sciopero, ora lo sappiamo, non era solo una questione economica, bensì uno scontro chiave in una guerra ideologica più ampia: il bene comune contro l’interesse personale, la società contro l’individuo, il socialismo contro il capitalismo. Pochi anni dopo lo sciopero, Margaret Thatcher disse che non esisteva una cosa come la società, ma esistevano semplicemente gli individui e le famiglie. I protagonisti di Pride credono fermamente nel contrario, credono nella forza dell’unione. E non si tratta solo dell’unione tra due diverse comunità o tra due generazioni, ma di una solidarietà universale, in nome di un orgoglio che è diritto di tutti. Il fatto che oggi tutto ciò ci colpisca è la prova di quanto negli anni ci siamo allontanati da quello spirito”.

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