“Non essere cattivo”, opera di Claudio Caligari scomparso a fine maggio scorso dopo aver appena terminato di montare il film. Personaggio scomodo il regista di “L’odore della notte” girato ben 15 anni dopo il cult “Amore tossico”, forse perché come soleva dire “Quando sai comunicare sei un pericolo”. Emarginato dalla nostra produzione nazionale e dal sistema cinematografico nel suo complesso, era tornato all’onor delle cronache lo scorso anno quando Valerio Mastandrea (oggi produttore di questo film, che grazie a lui è stato completato) aveva fatto un appello in suo favore indirizzato idealmente a Scorsese. Caligari ha fatto giusto in tempo a terminare una pellicola che ora va a chiudere il suo coerente discorso iniziato e sviluppato con lucida fedeltà a sé stesso e che diventa il suo testamento spirituale e artistico. Un testamento che dice di tolleranza, di giusta integrazione, di riscatto e di dignità umana. Lo scenario è quello di Ostia nel 1995, l’ambiente quello sottoproletario della periferia urbana fatta di degrado e di illegalità, più per una mancanza di alternative che non per desiderio o volontà di delinquere. Protagonisti sono due amici d’infanzia, ormai quasi trentenni, cresciuti come fratelli e con azioni e comportamenti che rimandano da subito al film “Ostia” girato da Citti su sceneggiatura di Pasolini. Spacciano piccole partite di droga sul lungomare a personaggi ancora più disperati di loro, si impelagano in piccole truffe di poco profitto economico, passano il giorno a non far nulla perché a quelle latitudini urbane nulla c’è da fare. Vengono da famiglie distrutte dalla dimenticanza e dall’abbandono sociale prima che dalla droga e dall’Aids. Possono solo guardare il vuoto nel futuro davanti a loro o autodistruggersi come già in tanti prima di loro. Si accompagnano a ragazze altrettanto sbandate a ricche d’affetto inespresso (la più determinata è una ragazza-madre con figlio già adolescente) e in modo elementare ma molto forte sentono e vivono gli affetti e i vincoli familiari. A dar vita e gesti alle loro azioni sono gli strepitosi Luca Marinelli e Alessandro Borghi perfettamente aderenti alla pelle dei loro personaggi, l’uno più aggressivo, l’altro di carattere più introverso, inseriti in un cast davvero affiatato (altrettanto brave e intense Roberta Mattei e Silvia D’Amico) in cui tutti gli interpreti sanno far emergere l’aspetto dell’umanità dei personaggi sulla negatività dei loro comportamenti. Figure che tutte, nessuna esclusa, non sapranno forse recitare il monologo di Shylock ma che quelle stesse parole di riscatto e di affermazione d’uguaglianza le portano impresse sulla propria pelle. Che siano criminali, palazzinari di terz’ordine o travestiti. Tutti con una profonda e plausibile bontà di fondo. Anche il travestito tossico che abita in una delle baracche sulla spiaggia, in un panorama simile a quello che vide l’uccisione di Pasolini. E’ un travestito dall’animo onesto a con una propria etica anche nella sua vita di emarginazione e solitudine; prende in prestito una partita da spacciare e potrebbe tenere per sé tutta la droga o non restituire il guadagno ottenutone, ma invece riporta quel malloppo anche se nelle mani della fidanzata di uno dei due. Si esce bene da un film come questo, più fiduciosi che l’umanità sappia trovar in sé stessa gli anticorpi per rigenerarsi dalle meschinità dell’oggi, tanto più che Caligari sa azzerare il trascorrere del tempo e quando narra del 1995 in realtà sta narrando al presente. Ci si può credere? Anche in questo caso ci troviamo davanti a un film non indicato per il Queer Lion dai responsabili della Biennale Cinema.
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