Nelle sale il nuovo, intrigante lavoro dell’eclettico e prolifico regista francese su un professore manipolato da un allievo abile nella scrittura. Una sorta di “Teorema” rigirato alla Woody Allen.
Vincitore l’anno scorso del Festival di San Sebastián, l’insinuante “Nella casa” è un’intelligente riflessione sulle potenzialità e i limiti della creazione letteraria, la pervasività assai contemporanea del voyeurismo, l’indecifrabilità del confine fra la percezione del reale e la narrazione dello stesso attraverso il mezzo cinematografico: un professore di francese frustrato, il cinquantenne Germain (Fabrice Luchini) scova un talento letterario in un allievo sedicenne, Claude (Ernst Umhauer), spronandolo a continuare un racconto in cui descrive come è diventato amico del compagno di classe Rapha (Bastien Ughetto), dandogli ripetizioni di matematica (“La matematica non delude mai”) e iniziando a frequentare la sua casa borghese. Ma Claude inizia a manipolare in modo subdolo il professore, finendo per intromettersi nella sua vita privata e in quella della famiglia di Rapha, in un gioco pericoloso dove è sempre più difficile distinguere la realtà dalle suggestioni fuorvianti della narrazione scritta.
Liberamente tratto dalla pièce ‘Il ragazzo dell’ultimo banco’ dello spagnolo Juan Mayorga di cui Ozon cambia il finale, è una sorta di rivisitazione postmoderna del “Teorema” pasoliniano (Claude seduce o è sedotto platonicamente da tutti i personaggi, e anche il giovane Rapha si invaghisce di lui) ma in zona Woody Allen – toni lievi, dialoghi brillanti sulla vita di coppia, apparizioni ectoplasmatiche di personaggi – di cui è citato esplicitamente il tesissimo e splendido “Match Point”. Tanto più che Ozon ora ha in comune con l’autore stracult newyorchese anche gli intensi ritmi di lavorazione: praticamente un film all’anno. La bravura di Ozon sta però nell’inserire temi a lui cari come il doppio (le due gemelle della galleria, i due Rapha padre e figlio), la disfunzionalità celata dei codici della famiglia borghese, l’ambiguità sessuale (occhio alle bizzarre opere d’arte gender esposte nel Labirinto del Minotauro: bambole gonfiabili con teste di dittatori e svastiche dai bracci fallici), senza appesantire l’impiantito teorico di un film in realtà piuttosto cerebrale, rendendolo anzi scorrevole e piacevolmente intrigante.
È un piacere ritrovare poi due abili attrici spesso abbinate a ruoli glaciali come Kristin Scott Thomas e Emmanuelle Seigner calate nei panni di mogli e/o madri umanissime e alle prese con quotidiane frustrazioni e infelicità.
Così come Claude riesce a percepire “l’odore così singolare delle donne della classe media”, nello stesso modo Ozon riesce a trasmettere lo spirito di una società borghese colma di contraddizioni e conflitti ma in cui la passione per la cultura letteraria può ancora offrire un senso profondo al piacere denso di significati dell’essere spettatori di una bella storia, ben diretta e interpretata.
Da vedere.
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