Sono presenti sui nostri schermi due film di altissima qualità e assolutamente imperdibili. Il primo è l’ultimo lavoro del regista gay Pedro Almodovar, “La pelle che abito”. Il film ha diviso fortemente la critica già al suo esordio alla Mostra veneziana. Chi lo ritiene assolutamente un film minore, quasi di genere (tipo horror o thriller) e chi invece lo valuta positivamente come una nuova modalità espressiva del regista che è riuscito ancora una volta a rinnovarsi. Noi, anche senza gridare al capolavoro, siamo rimasti entusiasti sia per lo stile, quasi algido, che per la storia, ricca di spunti riflessivi. La prima mezz’ora del film raggiunge un altissimo livello di suspence, quasi Hitchcockiana, con scene e immagini che si rincorrono in un puzzle enigmatico di scienza e Frankenstein. Il mistero s’infittisce quando iniziano i flasback e i due protagonisti, il giovane uomo e la donna prigioniera s’avviano a diventare la stessa persona. Quella che poteva essere la storia di una burla ci viene invece presentata come una profonda riflessione sull’identità di genere. Quanto contano le apparenze, l’esteriorità del corpo, e quanto invece l’anima e l’identità interiore? Il protagonista Banderas s’innamora di un corpo che gliene ricorda un’altro. Eppure è un corpo che ha un’anima differente, completamente diversa dalla persona che amava. La donna che interiormente è un uomo non può accettare di tradire la sua anima, la sua essenza, che è maschile. Per questi motivi, sembra suggerire la storia, una persona che si sente donna ma si ritrova in un corpo maschile, non potrà mai adattarsi a questa realtà per lei deformante, e avrà il diritto dovere di cambiare il suo corpo, altrimenti vivrà come in una prigione, come la donna del film.
Bravissimi gli attori, da un compassato e misterioso Banderas (che nei primi film con Almodovar si abbandonava a gambe aperte a focosi amplessi omo, diventando subito un’icona gay) a un torturato Jan Cornet che però ha dovuto limitare al massimo le sue emozioni, allo stesso modo della bravissima Elena Anaya. Cornet ha raccontato alla stampa che Almodovar spiegava agli interpreti ogni minimo gesto, “per me è stato come eseguire una danza, con Almodovar come coreografo. In certe scene avrei voluto piangere, urlare, disperarmi, ma Pedro voleva che riducessi al minimo le mie emozioni”. Eppure le emozioni, proprio perchè più sottili e misteriose, emergono in continuazione dallo schermo, anche quelle erotiche, come la scena della lavatura di Cornet con il getto d’acqua o i pittorici nudi della Anaya o gli sguardi pieni di desiderio di Banderas. Sempre generoso con gli spettatori omo Almodovar, che, oltre ad una storia centrata sul tema del gender, ci regala anche un piccolo ma significativo personaggio lesbo.
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