Se non fosse stato per l’appello di Saviano, avrei rischiato di perderlo. Ne stavo aspettando l’uscita, non essendomi accorta che era già in sala. Disattenzione mia o totale assenza di pubblicizzazione?
Sto parlando di “In grazia di Dio”, ultimo film di Edoardo Winspeare per il quale Roberto Saviano ha speso uno dei suoi preziosi appelli, qualche giorno fa. A Roma il film è uscito da una settimana, in due salette un po’ appartate della città. Se non vi affrettate ad andare, come ho fatto io, perderete il film migliore che il cinema italiano abbia prodotto negli ultimi mesi, per non dire anni.
Con il solito sguardo innamorato, Winspeare ci riporta nella sua terra, la Puglia (Tricase, Leuca) da cui osserva le trasformazioni di questa nostra Italia in crisi. Un terra a cui sono state bruciate le speranze, le relazioni, persino le anime, quelle più intime, da un disastro finanziario che ha attraversato lo stivale come uno tsunami.
Un ritratto del nostro oggi visto attraverso le vite e gli sconforti di quattro donne. Amareggiate, perdute, appanicate, si stringono nella tempesta e – maledicendosi a vicenda – imparano ad affrontare la fine della loro vecchia vita. Rinascono tutte insieme, grazie alla terra e ai suoi doni, alla riscoperta del baratto, al cuore ancora vivo della più anziana che a tutte insegna il grande mistero dell’affidarsi a Dio.
Winspeare ritrova la sua migliore poesia, quella più genuina di “Sangue vivo” e “Pizzicata”. Ci restituisce un ritratto di noi stessi crudo e allo stesso tempo ricco di speranza. Ridisegna i contorni della vera bellezza (quella della sua terra e delle sue magnifiche protagoniste, Celeste Casciaro su tutte) e del senso più profondo del vivere.
Audace e azzardato, Edoardo Winspeare riesce in pieno nell’obbiettivo. “In grazia di Dio” è un gioiello nascosto nella spazzatura.
Io e Saviano vi abbiamo avvisati. Ora sta a voi.