Magnifiche Sandra Ceccarelli e Francesca Inaudi nell’emozionante dramma di Stefano Pasetto “Il richiamo”, finalmente in sala. Momenti poetici e nessun voyeurismo tra Buenos Aires e la Patagonia.
Due donne agli antipodi, metaforicamente e non: entrambe italiane emigrate a Buenos Aires. Lucia è un’hostess apatica sposata stancamente a un ginecologo e non riesce ad avere bambini, Lea un’inquieta operaia in un allevamento di polli ma vorrebbe fare la biologa, fidanzata con un tatuatore che la vorrebbe sposare. Si conoscono grazie a galeotte lezioni di piano che Lucia riprende a dare dopo molto tempo a Lea, che inizialmente non sopporta, così diversa da lei: bislacca e irrefrenabile, le tocca tutto in casa, indossa persino la sua divisa per gioco, vuole suonare scalza. Eppure quella vitalità un po’ folle riesce a scalfire il mortifero grigiore borghese in cui è precipitata la vita di Lucia, diventando un’inattesa uscita di sicurezza dall’infelicità. Così, inaspettatamente, arriva il richiamo dell’amore. Ed è proprio “Il richiamo” il titolo dell’intensa opera seconda di Stefano Pasetto, uno dei migliori film lesbo degli ultimi, che ha faticato non poco a trovare una tardiva distribuzione nelle sale italiane, dove è arrivato in circa 25 copie venerdì scorso grazie a JP Entertainment (era stato presentato l’anno scorso al festival torinese “Da Sodoma a Hollywood”).
L’anima pulsante di questo emozionante dramma interamente girato in Argentina – nazione che si conferma non solo all’avanguardia per i diritti gay, visto che il matrimonio glbt è legge da due anni, ma anche come culla di un cinema queer d’autore colmo di idee – è proprio la forte alchimia tra le due ottime protagoniste: Lucia è Sandra Ceccarelli, magnifica nella sua austerità malinconica, fortemente espressiva di un credibile disagio esistenziale; quasi complementare al comportamento mascherato da indomita ragazzaccia di Lea, incarnata da una perfetta Francesca Inaudi che si cala nei suoi abiti colorati con equilibrata consapevolezza.
Maturo nel tratteggiare due personaggi complessi che evolvono costantemente durante la narrazione (ha collaborato alla sceneggiatura Veronica Cascelli), “Il richiamo” contiene abilmente la carica melò della vicenda ed evita la trappola del voyeurismo evidenziando la naturalezza dell’attrazione fra le protagoniste e senza escludere il mondo maschile dalla storia di Lea e Lucia, in particolare l’intenso rapporto, sebbene in crisi, di quest’ultima col marito.
Né si abusa di retorici tangueiros e seguidoras, descrivendo invece il ritmo della vita di Buenos Aires con ralenti e accelerazioni del traffico che rendono meglio lo spirito caotico della sua urbanizzazione contemporanea.
E la fuga in Patagonia – territorio estremo sempre denso di suggestioni, in particolare cinematografiche – non è una facile scappatoia ma l’inizio di un vero progetto di vita, in cui i facili simbolismi di una barca da risistemare e di navi incagliate sul bagnasciuga si caricano di altre valenze messe intelligentemente in discussione grazie a dialoghi mai ovvi o prevedibili. Momenti poetici: l’apparizione delle otarie distese come dune di sabbia che improvvisamente prendono vita; l’incontro ravvicinato con l’orca simile a una piccola isola emergente dai flutti; il sogno con le due bambine danzanti in mezzo agli adulti.
Da vedere.