Si chiama Girello, ma non è quell’ausilio degli anziani o la macchinetta rotante per i bebè. È il soprannome dato al meccanico romano Giuseppe Della Pelle che dopo vent’anni di officina si appassiona alle corse di rally e diventa un asso, campione di rally che nel 2002 vinse la targa come “fenomeno dell’anno” nel circuito amatoriale di rally fuoristrada nazionale. Un nome non facile da portare: gli è stato assegnato per la sua abilità di far ruotare l’auto durante le esibizioni e vincere le gare. Un uomo forzuto e atletico, pure gran seduttore: si sposa due volte e ha una figlia dal primo matrimonio. I successi in pista si susseguono. Poi, la svolta radicale. Nei primi anni Novanta la personalità femminile di Giuseppe viene a galla, il desiderio di essere una donna prende il sopravvento: nel 1995 inizia a prendere gli ormoni, sviluppa le curve che ha iniziato ad amare e il suo desiderio inizia a collimare col grande sogno, diventare quello che dentro di sé ha lentamente coltivato tra un tornante e l’altro.
Ossia passare sull’altra metà della luna, dove le dune da rally hanno ombre che non conosciamo. E conoscere una nuova se stessa, Beatrice. Poi, un’altra grande svolta. Nel 2003 conosce Marianna Dadiloveanu, badante rumena della madre, emigrata in Italia dopo aver gestito per lungo tempo un negozio di alimentari di famiglia. Beatrice si innamora follemente di Marianna che ha già un figlio. Essendo ancora anagraficamente maschio, Beatrice Della Pelle può sposare Marianna alla presenza della sua nuova famiglia ‘allargata’. La cerimonia si svolge a Nemi sui colli Albani.
Beatrice lascia poi il rally e torna al suo primo lavoro, il meccanico, dove ancora oggi lo/la si può trovare fra spoilers e contagiri in un’officina del quartiere romano di San Giovanni. Ma resta il desiderio di avere un piper da ristrutturare, tutto per lei e Marianna, e dipingerlo di fucsia.
L’incredibile storia di Giuseppe viene raccontata nel documentario “Fuoristrada” di Elisa Amoruso, premiato al Festival di Roma e in uscita nelle sale il 27 marzo grazie a Istituto Luce Cinecittà.
Un esperimento produttivo insolito, una cine-cordata composta da “meloproducodasolo” in associazione con Young Film e Tangram Films, senza alcun finanziamento pubblico.
“Ho sentito il bisogno di raccontare questa storia perché si è presentata ai miei occhi – spiega la regista – con la forza di una storia d’amore unica, prorompente, fondata su un sentimento così forte da superare qualunque barriera sociale e culturale. Una famiglia non convenzionale, un’unione diversa, eppure simile a tutte le altre, fondata sull’amore”.
“Un viaggio alla scoperta dei mutamenti del costume e alla riscoperta di valori innati – continua la regista – mutati nella forma ma solidi nella loro essenza. Ho seguito questa coppia unica, nel suo quotidiano, cercando di descrivere i piccoli momenti autentici delle loro giornate, assieme alle grandi prove che questa forma d’amore – così sfuggente e concreta, così poco definibile eppure definita – ha attraversato e attraversa”.
“La storia di due esseri umani, in Italia – conclude Elisa Amoruso – che compiono scelte importanti, che vanno “fuoristrada”, prendono rotte diverse, strade sconnesse, e si ricongiungono sullo stesso sentiero”.
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