Segnatevi questo nome. Scrivetelo da qualche parte. Ripetetelo ossessivamente: Ezra Miller. È un avvenente attore diciottenne americano, figlio di un boss della Hyperion Books, proprietà della Disney, e di una ballerina. L’anno scorso, a Cannes, ha fatto impazzire le ragazzine nel ruolo del figlio problematico di Tilda Swinton nel disturbante …E ora parliamo di Kevin (We need to talk about Kevin) della regista scozzese Lynne Ramsay, tratto dal romanzo omonimo di Lionel Shriver – è una scrittrice, poco conosciuta da noi, il cui vero nome è Margaret Ann, – e adattato dalla regista con Rory Stewart Kinnear.
Sguardo profondo e sottilmente malizioso, taglio della bocca da mini-joker irrefrenabile, espressività matura che lo fa apparire più grande della sua età, qualcuno si ricorderà di Ezra Miller nel ruolo di Vince junior, il ragazzo fanatico di donne obese in City Island – quello che New York nasconde con Andy Garcia, in cui emerse la rivelazione Steven Strait, uscito in sordina nell’estate di due anni fa. Ha poi girato qualche lungometraggio fra il teeny e il “magone per famiglia incasinata” come Afterschool e Another Happy Day per poi approdare in concorso sulla Croisette dove al photocall si è presentato elegantissimo con giacca nera e bowler (la classica “bombetta”) sulla cui tesa spuntava un sette di picche.
Ezra interpreta il ruolo del demoniaco Kevin, figlio di una donna con cui non riesce a stabilire un rapporto fin dalla tenera età e si trasforma in un feroce assassino quindicenne, responsabile di una strage nella scuola eseguita con una meticolosità perversa riconducibile (anche se il film sembra solo suggerirlo) a un segreto, che non vi sveliamo, riguardante la madre e il padre (John C. Reilly che sembra non invecchiare mai), con cui al contrario sembra provare profondo affetto, al contrario della sorellina minore a cui ne combina di tutti i colori. Kevin non mostra attrazione sessuale né per le femmine né per i maschi, anzi irride i genitori perché sembrano interessati a saperlo; si masturba freneticamente in bagno e quando la madre lo sorprende la osserva con malignità.
“Lavorare con tutti in questo film è stata una vera benedizione. Mi sento talmente privilegiato – spiega Ezra Miller – Tilda è il coraggio personificato. Riesce a dare vita alla lotta interiore di questa donna che cerca di capire dove abbia sbagliato; Tilda conferisce un calore eccezionale al personaggio di Eva. È così brava. Mi sento completamente perso nelle scene in cui c’è lei, è così reale e presente”.
La Swinton, anche produttore esecutivo, parla così di Ezra e Lynne: “Ezra è stato un dono per noi. Non ci si aspetterebbe che un ragazzo della sua età riesca a dare così tanto. Non era necessario spiegargli tutto, ha capito questa storia in maniera innata. È molto intelligente e tranquillo. È stato fantastico lavorare assieme a lui. Lynne, invece, ha un occhio meraviglioso e questo è indiscutibile: è anche una delle registe più gentili, concentrate, rispettose, piene di risorse e piacevoli che ci siano”.
Alla Ramsay non interessa spiegare le ragioni psicologiche di una così profonda devianza filiale, né il perché della strage – sulla scia di Elephant del maestro Gus Van Sant – quanto piuttosto creare un’atmosfera di crescente angoscia e spiazzamento dalle parti di Joshua attraverso uno stile molto particolare, quello sì notevole: sofisticato, rapsodicamente imprevedibile, costruito con una serie di flashback a scatole cinesi, dalla dominante rossa che invade lo schermo allagandolo (sangue, salsa di pomodoro, vernice).
Il premio Oscar Tilda Swinton, musa suprema di Derek Jarman, sublime come sempre, è la madre Eva di origine armena, divorata dai sensi di colpa, incapace di darsi una spiegazione, riavvolta nei sui tragici ricordi. Il suo pallore da trance perenne, i suoi gesti rallentati, i suoi improvvisi scatti reattivi sono resi sullo schermo con un’abilità sorprendente (ha vinto l’European Film Award come migliore attrice).
Ma alla fine del film sorge un sospetto: la trama ricorda in più punti anche Il quinto figlio, capolavoro del Premio Nobel inglese Doris Lessing, oggi magnifica novantaduenne, tant’è che in una scena criptica si intuisce che Eva è una scrittrice, anche di un certo rilievo, ma la regista sembra spaventata all’idea di approfondire la questione.
Da vedere.
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