Quando si può dire che un film è una grande opera e che resterà nella storia del cinema? Per esempio, quando si esce dalla sala e per qualche tempo (ore, giorni) il mondo sembra diverso. Oppure quando ci ricorda atmosfere e profondità toccate solo nei grandi classici. O ancora, più visceralmente, quando da spettatore senti che la tua pancia reagisce all’unisono con la tua testa e il tuo cuore. Tutto questo succede durante e dopo la visione di “Anime nere”, terzo film del romano Francesco Munzi (dopo i bei “Saimir” e “Il resto della notte”).
Applaudito per 15 minuti alla Mostra del cinema di Venezia (premio Pasinetti e Cinema di qualità), accolto con entusiasmo al Festival di Toronto, è ora nelle sale italiane grazie alla distributrice Good Films. Sostenuto dal miglior produttore indipendente italiano, Gianluca Arcopinto e liberamente tratto dal romanzo omonimo di Gioacchino Criaco, Munzi scende nella profonda Locride calabrese (Africo, Bova marina, Palizzi) per recuperare la trama che lega tre fratelli alla morte violenta del padre pastore. Luciano il più grande (Fabrizio Ferracane) è rimasto a vivere nel paese dei suoi e bada alle capre, il più piccolo, Luigi (Marco Leonardi) è un capo ‘ndrina, mentre il mediano Rocco (Peppino Mazzotta) è diventato imprenditore a Milano, ha una moglie settentrionale e aiuta Luigi a tenere i legami con le famiglie della ‘ndrangheta calabrese. Il figlio di Luciano, Leo, ha smesso di studiare e vuole andare a vivere e lavorare a Milano, nell’organizzazione di suo zio Luigi.
Faida di famiglia e di famiglie, territorio di costruzioni smozzicate e terre bruciate, capre e mare, tarantella e scuole abbandonate, strade bianche e ruderi. Quella fotografata da Munzi (e dal bravissimo Vladan Radovic) è una Calabria assoluta, bruciata dal sole e dall’assenza, eppure immersa nelle ombre. Di un passato che non muore mai, di una memoria che odora solo di vendetta.
La grande tragedia che si fa arte. E che ci costringe a guardare in faccia quella parte di Italia – di noi – che meno ci piace, che solleva contraddizioni e fa male come uno squarcio nella carne. Non è storia di Calabria, non cadiamo in questo stupido errore. E’ storia nostra e fa un dolore cane. La bellezza di “Anime nere” ci può riavvicinare a questo dolore e invitarci a prendercene cura. Un’occasione davvero da non perdere, per l’Italia e persino per il suo cinema. Che con Munzi sa uscire fuori dagli schemi e raggiunge punti di assoluto.
Magnifiche le musiche di Giuliano Taviani.