Robert Brasillach è stato uno scrittore, giornalista e critico cinematografico francese, principalmente noto per essere stato l’editore di Je suis partout, un giornale nazionalista che appoggiò diversi movimenti fascisti ed espresse supporto per Jacques Doriot. Omosessuale.
Dopo la liberazione della Francia nel 1944 venne giustiziato in seguito al processo e al rifiuto di De Gaulle di concedere la grazia, a causa della sua politica collaborazionista verso il Terzo Reich. La sentenza rimane un caso controverso nella storia giuridica francese, perché basata su “crimini intellettuali” piuttosto che su azioni militari o politiche[1].
« “PRESIDENTE: La Corte condanna Brasillach Robert alla pena di morte; ne ordina la fucilazione. UNA VOCE DAL PUBBLICO: È una vergogna! BRASILLACH: È un onore…!”. »
Nato da genitori di origine catalana, Brasillach rimase ben presto orfano di padre, ufficiale dell’Armata coloniale francese, ucciso in Marocco nel 1914.
Si trasferì con la madre e la sorella Suzanne prima a Sens dove frequentò il liceo, poi a Parigi per entrare al liceo Louis-le-Grand e all’École normale supérieure nel 1928 (suoi compagni furono: Jacques Talagrand conosciuto come Thierry Maulnier, Roger Vailland e Maurice Bardèche che diventerà suo cognato sposando la sorella Suzanne). Questo periodo è a lungo descritto nei primi capitoli di Notre avant-guerre, libro di memorie scritto nel 1939-1940.
Si fece presto conoscere come critico cinematografico e letterario scrivendo per la Revue française, la Revue universelle e nel 1931 iniziò la collaborazione alla pagina letteraria dell’Action française. Sempre nel 1931 pubblicò un saggio critico, Présence de Virgile e l’anno successivo Le Voleur d’étincelles, suo primo romanzo. Brasillach era già considerato negli anni 30 come uno dei più grandi talenti della Francia letteraria. Le sue simpatie ideologiche lo avvicinarono all’Italia di Mussolini e alla Spagna dove si recherà diverse volte e da questi viaggi trarrà lo spunto per scrivere l’ Histoire de la guerre d’Éspagne in collaborazione con Bardèche nel 1936. Fu presente al congresso di Norimberga del 1937 di cui riferirà in Cent heures chez Hitler.
Dal 1931 alla guerra collaborò con l’Action française, il celebre quotidiano di Charles Maurras, per il quale stravedeva salvo prenderne le distanze nel momento in cui le loro strade differirono: Maurras si spostò a metà del decennio verso una maggiore diffidenza nei confronti dei tedeschi mentre Brasillach uscì dallo scetticismo antigermanico per abbracciare in modo più diretto le politiche fasciste e naziste. Questa adesione rimase tuttavia su un piano ideale più che concreto, sul piano di un giovane anti-borghese e anticonformista che vedeva nel fascismo «la poesia stessa del secolo XX».
Scrisse quindi anche altri romanzi, tra cui i più celebri sono Les sept couleurs, La Conquérante e Six heures à perdre. Tra i saggi va ricordato anche quello su Léon Degrelle, belga che fu a capo di un grande movimento popolare, dove affluivano migliaia di giovani.
Sostenitore del Fascismo e del Nazionalsocialismo prima della guerra e poi durante il conflitto, fu, dal 1937 al 1943 (con l’intervallo della prigionia tedesca dal 1940 al 1941 a seguito della chiamata alle armi e della sconfitta francese) caporedattore del settimanale fascista Je suis partout, nel quale lasciò trasparire la sua critica aspra verso gli Ebrei, il Fronte Popolare francese, la Terza Repubblica francese e la sua ammirazione per il nazionalsocialismo. Nel 1943, fu scavalcato da Pierre-Antoine Cousteau, collaboratore militante, alla testa del settimanale. Convinto della giustezza delle sue idee, Brasillach fu paradossalmente allontanato a causa della sua linea: fascista convinto, rivendicava un fascismo alla francese, che fosse alleato col nazionalsocialismo tedesco e non un semplice clone; pur favorevole alla vittoria della Germania, la giudicava sempre meno probabile e rifiutava di annunciarla pubblicamente come certa.
Processo ed esecuzione [modifica]
Dopo lo sbarco in Normandia, Brasillach si rifiutò di fuggire all’estero, nascondendosi nel Quartiere latino a Parigi. Nel settembre del 1944, essendo stata arrestata sua madre con l’accusa di collaborazionismo, si costituì alla Prefettura di polizia di Parigi, consegnandosi alle autorità per salvare l’anziana donna.
Il nuovo governo francese guidato dal generale De Gaulle procedette immediatamente contro i rappresentanti del governo di Vichy e dei collaborazionisti. La prima condanna fu pronunciata nell’ottobre del 1944 contro l’editore della rivista antisemita Aujourd’hui, Georges Suarez ed eseguita il 9 novembre del 1944. Sempre nel 1944 ebbe luogo il processo contro il direttore politico (1928-1943) della rivista antisemita Gringoire, Henri Béraud. Di conseguenza, Brasillach fu arrestato immediatamente e rinchiuso nella prigione di Fresnes (attuale Val-de-Marne) dove attese il suo processo, che ebbe luogo nel gennaio del 1945 davanti alla corte di assise della Senna. Il giorno stesso fu condannato a morte dopo un processo durato venti minuti. La sua difesa fu affidata a Jacques Isorni, che fu pure, qualche mese più tardi, difensore del maresciallo Pétain già a capo della cosiddetta “Repubblica di Vichy”. Alla lettura della sentenza una voce dal pubblico urla indignata: “È una vergogna!”. Calmissimo, Brasillach ribatte: “È un onore!”.
Nei giorni che seguirono, una petizione di famosi intellettuali tra i quali Paul Valéry, Paul Claudel, François Mauriac, Daniel-Rops, Albert Camus, Marcel Aymé, Jean Paulhan, Roland Dorgelès, Jean Cocteau, Colette, Arthur Honegger, Maurice de Vlaminck, Jean Anouilh, Jean-Louis Barrault, Thierry Maulnier ecc., sostenuta anche dagli studenti parigini e molti accademici, implorò al generale De Gaulle la grazia per il condannato a morte. Il generale respinse la domanda e all’alba del 6 febbraio Brasillach fu fucilato al forte di Montrouge. Fu sepolto nel cimitero di Charonne, nel XX arrondissement di Parigi.
Il 6 febbraio 1945 cadeva fucilato al Forte di Montrouge. Aveva appena gridato “Vive la France!”. Uomo di pensiero e di brucianti passioni, poeta e romanziere, aveva dato intima adesione al Fascismo non tanto per la sua ideologia quanto per la poesia e il giovanile lirismo che in esso aveva trovato; e mai, nemmeno sul punto di essere condannato a morte soltanto per la sua idea, rinnegò quel che aveva creduto e quel che aveva amato. Dalle lettere scritte durante la prigionia, si evince come Brasillach auspicasse una possibile riconciliazione franco-tedesca, in chiave europeista e anti-americana.
Nelle fonti de Gaulle depositate negli Archives nationales, è stata ritrovata una nota relativa a “l’affare Brasillach” recante una lista delle accuse pendenti sullo scrittore. Tra esse, egli è accusato di essere “uno dei responsabili dell’assassinio del ministro e deputato Mandel”, personalità di cui egli invocava regolarmente la morte nel suo giornale “Je suis partout” (per contromisura all’uccisione di Philippe Henriot) e per cui de Gaulle provava stima e rispetto.
La critica cinematografica
Brasillach fu affascinato dal cinema molto presto. Il frutto di questa passione, oltre a numerose cronache nei giornali, è la sua Histoire du cinéma pubblicata per la prima volta nel 1935, che sarà oggetto di una nuova edizione nel 1943 e scritta in collaborazione con il cognato Maurice Bardèche. Contrariamente ai critici dell’epoca, Brasillach adotta per il cinema un punto di vista politicamente neutro, tranne qualche aggiunta antisemita di circostanza nel 1943. La sua sete di cinema lo porta a frequentare assiduamente Henri Langlos del Circolo del cinema. Benché entusiasta dei classici (Charles Chaplin, Georg Wilhelm Pabst, René Clair, Jean Renoir…) e dei film hollywoodiani (John Ford, Frank Borzage, King Vidor…) fece prova di gusti originali e mostrò una insaziabile curiosità per il cinema straniero. Fu anche il primo a parlare in Francia del cinema giapponese e particolarmente di Yasujiro Ozu, Kenji Mizoguchi e Heinosuke Gosho. In prigione, lavorò alla terza edizione della sua Histoire du cinéma e preparò un adattamento del Falstaff che sperava di girare con Raimu. (Wikipedia)
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