Nato in Danimarca nel 1970, Nicolas Winding Refn si trasferì a New York con la sua famiglia quando aveva 6 anni e, a 17, tornò a Copenaghen. Diplomatosi, ripartì per gli Stati Uniti per iscriversi alla American Academy of Dramatic Arts, dalla quale fu presto espulso. Al che, ripiegò sulla Danish Film School. La trasmissione su un piccolo canale televisivo danese di un suo cortometraggio attirò l’attenzione di un produttore, che gli propose di trasformarlo in un lungometraggio. Così, a 26 anni, Refn scrisse e diresse Pusher, un inaspettato successo di pubblico e di critica. Influenzato dallo stile di Mean Streets e Taxi Driver di Scorsese (e dai romanzi di Hubert Selby jr., in particolare Last Exit on Brooklyn, portato sullo schermo nel 1989 da Uli Ledel), Refn racconta Copenaghen come New York, una città cattiva e dura, percorsa da loser più o meno incalliti, spacciatori grandi e piccoli, prostitute, piccoli delinquenti, in generale da uomini e donne che non riescono a conciliare l’asprezza della vita quotidiana con il loro bisogno di affetto. Il suo secondo film, Bleeder, popolato di persone all’apparenza “normali”, è una discesa in una spirale distruttiva e autodistruttiva. Pusher II e Pusher III, realizzati dopo l’infelice trasferta americana di Fear X (il thriller alla Lynch con John Turturro che fu un disastro al botteghino e mandò Refn in rovina finanziaria), sono costruiti intorno a personaggi secondari di Pusher, maldestri o segnati dal destino come il protagonista del primo film. Lo stile è sempre nervoso, la rappresentazione del mondo sempre più cupa, per quanto segnata da lampi di laconico sense of humour nordico. Lo stesso accade in Bronson, una coproduzione anglo-danese nella quale racconta la storia del più cattivo detenuto delle carceri britanniche (che si fa chiamare Charly Bronson), dove l’astrazione della messa in scena si assomma alla concretezza violenta della visione del mondo. Il suo ultimo film è Valhalla Rising, presentato all’ultima Mostra di Venezia, nella sezione Fuori Concorso. (TFF)
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