Mario Mieli è stato uno scrittore e attivista italiano, teorico degli studi di genere e considerato uno dei fondatori del movimento omosessuale italiano.
Mario Mieli nacque nel 1952 da una famiglia della borghesia industriale ebrea.
Si laureò in filosofia morale con una tesi poi pubblicata, con modifiche, da Einaudi nel 1977 con il titolo di Elementi di critica omosessuale e che divenne un fondamento delle teorie di genere in Italia e, in misura minore, all’estero (tradotto e pubblicato in inglese nel 1980 con il titolo Homosexuality and liberation: elements of a gay critique).
Mario Mieli fu uno dei primi a contestare apertamente le categorie di genere vestendosi quasi sempre con abiti considerati tradizionalmente femminili. Nei primi anni settanta si trasferì a Londra dove frequentò esponenti del movimento gay inglese. Tornato in Italia fu nel 1971 tra i fondatori del Fuori!, prima associazione del movimento di liberazione omosessuale italiano, da cui si distaccò molto criticamente quando, nel 1974, questo attuò, pariteticamente, una federazione con il Partito Radicale.
Nel frattempo si dedicava al teatro, destando scandalo nella mentalità dell’epoca con opere come lo spettacolo La Traviata Norma. Ovvero: Vaffanculo… Ebbene sì! (1976). Dava volutamente scandalo anche per il modo in cui si presentava, utilizzò anche immagini e ruoli per portare avanti la propria battaglia dei diritti individuali inalienabili.
Morì suicida nella sua abitazione di Milano nel 1983 all’età di 30 anni. A lui è intitolato il Circolo di cultura omosessuale Mario Mieli sorto a Roma nello stesso anno della morte.
Il pensiero
L’assunto di fondo del pensiero di Mario Mieli consiste nel ritenere che ogni persona è potenzialmente transessuale se non fosse condizionata, fin dall’infanzia, da un certo tipo di società che (attraverso quella che Mieli chiamava “educastrazione”), costringe a considerare l’eterosessualità come “normalità” e tutto il resto come perversione. Per transessualità Mieli non intende quello che si intende oggi nella comune accezione del termine, ma l’innata tendenza polimorfa e “perversa” dell’uomo, caratterizzata da una pluralità delle tendenze dell’Eros e da l’ermafroditismo originario e profondo di ogni individuo.
Mieli fu tra i primi studiosi ed attivisti del Movimento di Liberazione Omosessuale Italiano, accanto a Ferruccio Castellano, Massimo Consoli, Elio Modugno, Angelo Pezzana e Nicolino Tosoni. Tutti partivano dalla certezza che la liberazione dall’ancestrale omofobia dovesse fondarsi sulla consapevolezza della propria identità, censurata fin dalla nascita dalla cultura dominante, da loro ritenuta antropologicamente sessuofoba e pervicacemente omofoba.
Da queste basi partivano per abbattere la discriminazione plurisecolare nei confronti di chi non si identificava nella sessualità assiomaticamente definita come naturale e normale.
Mieli abbracciò immediatamente il marxismo, cercando di rimodularlo sulle istanze della lotta di liberazione ed emancipazione omosessuale.
Negli Elementi di critica omosessuale, Mieli volle rielaborare alcuni degli spunti teorici della teoria della sessualità di Freud, attraverso la lettura che, tra gli anni cinquanta e sessanta, ne aveva fatto Herbert Marcuse. Marcuse, infatti, in opere come Eros e civiltà (1955) e L’uomo a una dimensione (1964), aveva voluto fondere marxismo e psicanalisi.[3] Fu proprio Freud, infatti, a sostenere che l’orientamento sessuale poteva prendere qualsiasi “direzione”, riconducendo “eterosessualità” e “omosessualità” a semplici varianti della sessualità umana in senso lato. Una non escluderebbe l’altra, e anzi, in potenza, tutti saremmo pluri-sessuali, “polimorfi” o, più semplicemente, bi-sessuali.
In base a questa riflessione, Mieli riteneva che si dovesse denunciare come assurda e inconsistente l’opposizione ideologica “eterosessuale” vs “omosessuale”, essendo viziato il principio stesso di “mono-sessualità”. A questa prospettiva unilaterale, che riteneva incapace di cogliere la natura ambivalente e dinamica della dimensione sessuale, Mieli ha preferito opporre un principio di eros libero, molteplice e polimorfo.
Per Mieli era tragicamente ridicola «la stragrande maggioranza delle persone, nelle loro divise mostruose da maschio o da “donna” […]. Se il travestito appare ridicolo a chi lo incontra, tristemente ridicolissima è per il travestito la nudità di chi gli rida in faccia».
Tim Dean, psicoanalista dell’Università di Buffalo, che redasse l’appendice dell’edizione Feltrinelli di Elementi di critica omosessuale, affermava: «Nel processo politico di ristrutturazione della società (…) Mieli non esita a includere nel suo elenco di esperienze redentive la pedofilia, la necrofilia e la coprofagia» e «ridefinisce drasticamente il comunismo descrivendolo come riscoperta dei corpi (…) In questa comunicazione alla Bataille di forme materiali, la corporeità umana entra liberamente in relazioni egualitarie multiple con tutti gli esseri della terra, inclusi “i bambini e i nuovi arrivati di ogni tipo, corpi defunti, animali, piante, cose” annullando “democraticamente” ogni differenza non solo tra gli esseri umani ma anche tra le specie».
A questa rivoluzione sociale sono di ostacolo determinati elementi, ritenuti da Mieli come «pregiudizi di certa canaglia reazionaria» che, trasmessi con l’educazione, hanno la colpa di «trasformare troppo precocemente il bambino in adulto eterosessuale».
Tra i primi a parlare esplicitamente di sessualità infantile, egli ruppe un tabù, causando forti polemiche. I bambini, secondo quello che sembra il pensiero di Mieli, possono “liberarsi” dai pregiudizi sociali e trovare la realizzazione della loro “perversità poliforme” grazie ad adulti consapevoli di quanto sopra asserito:
« Noi checche rivoluzionarie sappiamo vedere nel bambino non tanto l’Edipo, o il futuro Edipo, bensì l’essere umano potenzialmente libero. Noi, sì, possiamo amare i bambini. Possiamo desiderarli eroticamente rispondendo alla loro voglia di Eros, possiamo cogliere a viso e a braccia aperte la sensualità inebriante che profondono, possiamo fare l’amore con loro. Per questo la pederastia è tanto duramente condannata: essa rivolge messaggi amorosi al bambino che la società invece, tramite la famiglia, traumatizza, educastra, nega, calando sul suo erotismo la griglia edipica »
(Elementi di critica omosessuale, 1977)
(Wikipedia)
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