Giovanni Forti (1954-1992) è stato un giornalista italiano, omosessuale dichiarato.
A 19 anni entra nel quotidiano comunista “Il manifesto”, quindi è inviato di “Reporter”, quotidiano fondato, tra gli altri, da Enrico Deaglio e Adriano Sofri. Poi passa all'”Europeo”, e quindi all’ “Espresso”, di cui diventerà corrispondente da New York.
Dopo un periodo d’incertezza, nel corso del quale ha anche una relazione eterosessuale con Giovanna Pajetta, figlia di Giancarlo Pajetta da cui nasce un figlio, fa coming out come gay, e aderisce al neonato movimento di liberazione omosessuale. Organizza anche a Genova un incontro fra i militanti gay legati all’area della sinistra extraparlamentare e collabora col periodico gay “Lambda”.
Nel 1987 scopre di essere sieropositivo. Parla pubblicamente della sua condizione, diventando così una delle prime persone in Italia a discutere in prima persona, e a dare testimonianza, della condizione sociale e umana della persona sieropositiva o con Aids.
Di famiglia ebraica, nel 1991 Forti si unisce simbolicamente con rito ebraico al giornalista americano Brett Shapiro, che aveva conosciuto nel 1990. Il rito di benedizione (perché di questo si trattava, anche se la stampa italiana parlò impropriamente di “matrimonio gay” con rito ebraico) viene celebrato in una sinagoga gay americana. Il settimanale L’espresso, per cui scrive Forti, pubblica le foto del “matrimonio”, che fanno molto effetto sull’opinione pubblica.
Dopo la cerimonia, i due vivono insieme, a Roma, con il figlio adottivo di Shapiro, Zac, e con il figlio biologico di Giovanni Forti.
L’ultimo anno
Il 16 febbraio 1992 Forti pubblica su l’Espresso una cronaca limpida, ed insieme ottimista, della sua malattia, che ormai è in fase avanzata.
Giovanni Forti muore a soli 38 anni. “L’Espresso” gli dedica la copertina e pubblica il suo ultimo scritto. Il compagno, che lo assisterà fino alla fine, lo ricorderà nel libro L’intruso.
Alla sua memoria fu intitolato, per qualche tempo, il circolo Arcigay di Bari. (Wikipedia)
La sorella Flaminia lo ricorda così:
“…avevamo un rapporto davvero speciale, una grande confidenza reciproca e ho tantissime lettere del suo periodo Newyorkese o di periodi in cui io sono stata fuori. Allora ci si scrivevano le lettere e noi amavamo raccontarci le nostre vite e ho un preziosissimo (per me) pacco di nostre lettere che ogni tanto mi rileggo, e mi sembra di sentirlo parlare…
Sapevo tutto di lui, mi confidava anche quello che non diceva quasi a nessuno, la sua parte “oscura e notturna”, la sua “addiction” come lui stesso la chiamava. Io lo adoravo così com’era, con tutte le sue contraddizioni, era il mio fratellone maggiore e la sua morte è stata una delle perdite più dolorose della mia vita.
Amava tutte le donne della sua vita, a cominciare da nostra madre, la madre di mia madre, e noi tre sorelle. Ci amava senza se e senza ma con tutte le nostre contraddizioni e difetti.
Non giudicava mai nessuno era veramente una persona meravigliosa…”
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