Filippo De pisis

Filippo De pisis
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  • Data di nascita 01/01/1970
  • Data di morte 02/04/1956
  • Luogo di nascita Ferrara/Italia
  • Luogo di morte Italia/Milano

Filippo De pisis

Filippo de Pisis pseudonimo di Luigi Tibertelli è stato un pittore e scrittore italiano, uno tra i maggiori interpreti della pittura italiana della prima metà del Novecento, arrivato alla pittura dopo aver pubblicato, nel 1916, un volume di versi, Canti della Croara. Omosessuale dichiarato.

De Pisis inizia adolescente a scrivere poesie, ma principalmente dedica molto del suo tempo allo studio della pittura sotto la guida del maestro Odoardo Domenichini nella sua città natale, Ferrara, ed è proprio la pittura in seguito a portarlo a vivere una vita avventurosa, appassionata in varie città sia italiane Roma, Venezia e Milano, sia europee Parigi e Londra.
Colpito da una malattia nervosa abbastanza seria e dopo un breve ricovero nell’ospedale psichiatrico di Venezia viene esentato dal servizio militare.
Nel 1915 incontra De Chirico e il fratello Alberto Savinio a Ferrara per il servizio militare e nel 1917 Carlo Carrà. Conosce e si entusiasma rimanendo suggestionato del loro modo di concepire la pittura e, inizialmente, ne condivide lo stile metafisico ma poi brevi soggiorni a Roma e a Parigi all’inizio degli anni venti gli aprono nuovi orizzonti pittorici. Inizia a rielaborare un suo stile fatto di suggestioni e soggetti del tutto originali, dove il tratto pittorico diventa spezzato quasi sincopato che Eugenio Montale lodandolo definì “pittura a zampa di mosca”.
De Pisis dopo avere scritto prose, liriche e poesie raccolte nei Canti della Croara ed Emporio nel 1916, nel 1920 inizia a scrivere il saggio La città dalle 100 meraviglie, pubblicato in seguito a Roma nel 1923, dove si può notare l’influenza dei fratelli De Chirico con la loro visione nostalgica e malinconica della pittura. Alla ricerca di nuovi stimoli si trasferisce nel 1925 a Parigi. Il soggiorno si protrasse interrottamente per quattordici anni rivelandosi proficuo sotto vari aspetti, ed essenziale sotto l’aspetto artistico. Conosce Edouard Manet e Camille Corot, Henri Matisse e i Fauves, per un uso più gestuale del colore e, oltre alle nature morte, dipinge nel periodo parigino paesaggi urbani, nudi maschili e immagini d’ermafroditi.
Nel 1926 de Pisis, presentata da De Chirico riesce ad esporre la sua prima mostra personale parigina alla Galerie au Sacre du Printemps,continua in seguito ad esporre anche in Italia e inizia a scrivere articoli per L’Italia Letteraria e altre riviste minori ed entra a far parte degli “italiani di Parigi”, un gruppo d’artisti che comprendeva de Chirico, Savinio, Massimo Campigli, Mario Tozzi, Renato Paresce e Severo Pozzati, e il critico francese George Waldemar (che alcuni anni prima aveva scritto una monografia su de Pisis) presenta la mostra “Appels d’Italie” alla Biennale di Venezia del 1930. L’anno dopo, per illustrare il libro del suo grande amico Giovanni Comisso, esegue una serie d’acquarelli, poi parte per l’Inghilterra, un viaggio breve che ripeterà ben tre volte, stringendo rapporti d’amicizia con Vanessa Bell e Duncan Grant. Nel 1938 ritornato in Italia De Pisis è ospite di Italo Mus con il quale inizia, nello studio del pittore a Saint Vincent, una proficua ma breve collaborazione.
Allo scoppio della seconda guerra mondiale nel 1940, i sintomi della malattia nervosa, della quale era affetto fin da ragazzo, sono sempre più evidenti, ma continua lo stesso a lavorare. Si trasferisce a Milano, nel 1944 è a Venezia a studiare ispirato la pittura di Francesco Guardi e di altri maestri veneziani del XVIII secolo. Qui, negli anni 1946-47, frequenta anche il pittore forlivese Maceo (1899 – 1992).

Nel maggio 1948 è a Venezia per la Biennale, la prima del dopoguerra, che gli dedica una sala personale con trenta opere dal 1926 al 1948, ordinata e presentata da Rodolfo Pallucchini. Si parla anche di una candidatura al gran premio, ma un telegramma da Roma ne proibisce il conferimento a lui perché omosessuale.

Più tardi, a Roma, scoperti i toni caldi della pittura settecentesca, li riversa nelle nature morte e nei fiori, che divennero l’argomento prediletto.
Le sue opere ottengono il successo che meritavano soprattutto alle Biennali di Venezia del 1948 e del 1954, ma le precarie condizioni di salute negli ultimi due anni non gli permetteranno più di svolgere alcun lavoro; ricoverato in una clinica di Brugherio (Monza), de Pisis muore il 2 aprile del 1956. (Wikipedia)

“…Filippo de Pisis primo fra tutti: la su aversatilità. La sua gaiezza manifesta… Era uno che dipingeva col pappagallo sulla spalla ed era capace di chiedere ai ragazzini suoi amanti: “Di che colore vuoi che faccia queste finetre?” Scrisse anche: “Vado a Parigi perchè non sono fascista”. Insomma, era tante cose insieme! Una vita di continua flessibilità mentale.culturale, più che legata al suo essere gay, intrinseca al suo essere gay. Su de Pisis facemmo un inserto su Lambda, la rivista di felix Cossolo, intorno al 1980, e mi fa piacere ricordare che Mario Mieli mi disse: “Leggendola ho cambiato la mia idea su de Pisis”. I fanciulli di de Pisis, estenuati, dolci, maculati, sono l’apice della cultura in senso lato e anche della cultura gay, paragonabili ai lavori del Pontormo…” (Quando eravamo froci. Gli omosessuali nell’Italia di una volta, di Andrea Pini)

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