Regista e produttore americano di origine cinese, autore di alcuni documentari (‘Coming Out Under Fire’, ‘Licensed to Kill’, e ‘Family Fundamentals’) che esaminano le radici e le motivazioni degli atteggiamenti anti-gay nella cultura e nella società americana. L’approccio di Dong agevola la comprensione di problematiche quali l’omofobia ed il pregiudizio razzista, incoraggiando gli spettatori a porsi essi stessi in relazione a queste questioni, cosi da potersi creare un proprio punto di vista. Ha detto Dong:”Io voglio che la gente si renda conto che molti dei problemi che abbiamo nel mondo sono dovuti agli stereotipi nella percezione che abbiamo degli altri”.
Un importante contributo di Dong come attivista GLBT è la sua determinazione nel trasferire la storia del movimento gay/Lesbico dalla trasmissione orale e scritta alla forma cinematografica. Dichiaratamente gay, vive a Silverlake nei dintorni di Los Angeles con suo marito Young B. Gee ed il loro bambino Reed.
Arthur Dong è nato il 30 ottobre 1953 a San Francisco, California, il più giovane dei quattro figli di Don M Dong e Zem Ping Dong. Essendo figlio di immigrati cinesi, da bambino doveva frequentare tutti i giorni la scuola cinese dopo la scuola americana ed aveva quindi il doppio dei compiti da fare. Essendo cresciuto all’interno della grande comunità cinese di San Francisco, da ragazzo non si era sentito parte di una minoranza (a differenza del suo compagnoYoung, anch’egli cino-americano, che essendo cresciuto in una piccola città abitata quasi completamente da bianchi, da bambino aveva dovuto provare questo sentimento della differenza). Solo alle scuole superiori Arthur comincia a rendersi conto dei pregiudizi e gli stereotipi legati alla differenza razziale e inizia a ragionarci sopra.
Nel 1969 Arthur Dong andò alle scuole superiori. Il suo insegnante di arte teneva anche lezioni sul cinema e Arthur si appassionò dell’argomento. Nel 1970 a soli 16 anni realizzò il suo primo progetto da regista: Public (1980, corto, 5 min) un corto animato di cinque minuti, girato in Super-8 sul pavimento della sua camera da letto nella casa dei genitori. Basato su di una poesia scritta da Dong stesso, “Public” descriveva le reazioni di un bambino di fronte alla cultura della violenza (Guerra in Vietnam) ed alle oppressive norme sociali.
In quel periodo nasce anche il desiderio di Dong di diventare uno storico del cinema e invece di andare a giocare a basket con gli altri ragazzi, preferisce interessarsi al restauro dei vecchi film.
“Public” vinse il primo premio al California High School Film Festival. Questo brillante exploit diede a Dong una certa notorietà: gli fu chiesto di tenere lezioni di cinema al college e venne incoraggiato dagli insegnanti a proseguire gli studi dopo le superiori, iscrivendosi ai corsi di cinematografia dell’Università Statale di San Francisco.
Ma Arthur allora si sentiva ancora solo un ragazzo e voleva vivere un po’ di esperienze prima di pensare al futuro. Abbandonati gli studi universitari, per circa sei anni, fece un di tutto prima di tornare al cinema: studiò contabilità e divenne bancario, poi fece l’operaio, il ceramista e il suonatore di strumenti popolari cinesi. Alla fine degli anni ‘70 fece un viaggio in Cina, portandosi dietro la sua videocamera. Quando tornò a San Francisco, ripensò a cosa voleva fare veramente e decise di riprendere gli studi universitari di cinematografia.
Nel 1982 ottiene il suo Bachelor of Arts a pieni voti con lode, alla San Francisco State University. Come suo progetto di specializzazione Dong scelse un soggetto che sentiva molto vicino a se: girò “Sewing Woman” (1982, 14 min), un breve documentario che raccontava il percorso che portò la madre del regista, Zem Ping, dal matrimonio combinato in un arretrato villaggio cinese, sino alla sua nuova vita negli Stati Uniti, dove diventa operaia, e lavora per oltre trent’anni in fabbriche di abbigliamento di San Francisco. Con una vecchia cinepresa trovata a scuola, risalente alla II guerra mondiale, che nessuno voleva più usare, Arthur andò a girare in bianco e nero nella fabbrica dove lavorava sua madre. Lì tutti lo conoscevano da quando era bambino. La sorella di Dong, Lorraine, oggi insegnante, scrisse il soggetto. Suo padre mise a disposizione gli album di foto di famiglia.
Dong presentò “Sewing Woman” alle selezioni per il Premio Oscar nella categoria dei documentari corti e sorprendentemente il film ricevette nel 1984 una nomination.
Invece di firmare con un distributore per questo e i suoi film successivi, Dong nel 1982 creò una sua compagnia, la DeepFocus Productions, Inc, che fino ad oggi continua a sviluppare, produrre e distribuire il suo lavoro. L’auto-distribuzione, oggi molto diffusa ed agevolata dall’avvento di internet, a quei tempi non era una pratica diffusa.
Nel 1984, Dong ottiene una borsa di studio per la regia presso l’American Film Institute’s Center for Advanced Film Studies.
Nel 1987 con il supporto dell’American Film Institute’s Independent Filmmakers Program, gira “Lotus” (corto, 27 min) una storia ambientata nella Cina del 1914, in cui la protagonista deve decidere se sua figlia dovrà, come lei, avere i piedi bendati come vuole la tradizione.
Nel 1989 gira “Forbidden City, U.S.A. ” (documentario, 56 min.) che racconta la storia di un nightclub di San Francisco con artisti cino-americani, che diventò un’attrazione internazionale durante gli anni ‘30 e ‘40, cosi come il Cotton Club di Harlem era stato per gli artisti afro-americani.
Trovato lavoro presso la KCET-TV di Los Angeles, una stazione locale della rete televisiva no-profit PBS, Dong girò in un anno (1991-1992) dodici documentari per la serie “Life & Times” su vari temi di attualità.
In questo periodo gli capitò di leggere il libro di Allen Berube “Coming Out Under Fire: The History of Gay and Women in World War II”. Rimasto colpito per come l’argomento trattato fosse una questione di diritti civili ancora molto attuale, Dong contattò l’autore, che in quel momento insegnava e proiettava in classe ‘Forbidden City, USA’ come esempio di cinema gay.
Nacque così “Coming Out Under Fire” (1994, documentario, 72 min ). Il film si concentra sulle storie personali di nove lesbiche e gay e sulle loro esperienze come “indesiderabili” nelle forze armate americane durante la seconda guerra mondiale. Attraverso materiale di archivio il film fornisce anche una visione storica dei mutamenti dell’atteggiamento del governo americano nei confronti dei gay e delle lesbiche nell’esercito, fino ad arrivare al compromesso del Presidente Clinton con la politica ipocrita del “Don’t ask, Don’t Tell”. Vengono forniti anche dati storici come la statistica per cui almeno 9000 uomini gay e lesbiche sono stati espulsi con disonore durante la II guerra mondiale.
Il film è particolarmente toccante quando i veterani raccontano dei loro momenti belli (i legami di amicizia e di amore con gli altri gay e lesbiche in tempo di guerra) e brutti (gli arresti e le espulsioni) e della loro vita quotidiana come omosessuali nascosti in un’organizzazione che li considerava non adeguati per il servizio militare e vedeva il loro orientamento sessuale come una malattia e come un pericolo per l’unità ed il morale degli altri soldati.
Il film è trasto premiato in numerosi film festival (tra cui il Sundance Film Festival ed il Berlin International Film Festival).
Quando la rete televisiva PBS realizzò la sua prima serie nazionale sulle questioni gay e lesbiche: ‘The Question of Equality’ (mini-serie TV in 4 parti ), Dong diresse il primo episodio, “OutRage ’69” (1995, 60 min.) che raccontava gli avvenimenti legati alla rivolta di Stonewall nel Greenwich Village a New York nell’estate del 1969, evento che molti storici citano come punto di partenza per il moderno movimento per i diritti civili di gay e lesbiche.
Il documentario inizia il suo racconto pochi anni prima della famosa rivolta, con interviste ai membri dell’associazione pioneristica pro-gay Mattachine Society e a vecchi gay e lesbiche che ricordano quale era la situazione precedente a quei fatti, quando i bar gay erano gestiti dalla mafia ed era illegale non solo l’omosessualità ma anche il tenersi per mano tra persone dello stesso sesso. In uno spezzone del 1967, che rappresenta bene quegli anni, vediamo Ronald Regan descrivere l’omosessualità come una “tragica malattia”. La rivolta dello Stonewall del 1969 aveva galvanizzato i gay e le lesbiche che in un primo tempo si ritrovarono riuniti sotto le bandiere del Gay Liberation Front. Il movimento poi si spezzò, quando emersero progetti più radicali ed interessi diversi (inclusi i diritti di lesbiche e transgender). Concludendo il racconto prima della comparsa dell’AIDS, Dong mostra che nonostante i diversi interessi ed approcci e la comparsa a metà degli anni ’70 di forti gruppi omofobi di destra, il movimento per i diritti dei gay e delle lesbiche è cresciuto, maturato ed ha ottenuto successi su molti fronti.
Nel 1997 Dong gira per la rete PBS con il supporto della Rockefeller Foundation e del NAATA (the National Asian American Telecommunications) “Licensed to Kill” (documentario, 80 min ).
Per questo film, egli si è recato in diverse carceri negli Stati Uniti ed ha intervistato nelle loro celle sette assassini di uomini gay, chiedendo loro direttamente: “Perché lo hai fatto?”. L’idea di occuparsi di omofobia e di aggressioni anti-gay venne a Dong dalla lettura di un rapporto in cui si affermava che negli ultimi tre anni erano stati assassinati più di 200 gay negli Stati Uniti, tutti vittime di ‘crimini di odio’. Dong decise cosi di incontrare alcuni di questi assassini, per capire chi erano e farli conoscere al resto del mondo. Cosi scelse e contattò 25 assassini rinchiusi in carcere, sette dei quali accettarono di rispondere alle sue domande davanti ad una telecamera. Ognuno con la sua storia particolare: dal giovane che giustifica il suo omicidio con la necessità di proteggersi dalle avance sessuali della sua vittima, all’uomo gay religioso che si disprezza, alla vittima di abusi che teme di perdere la sua virilità, al sergente dell’esercito arrabbiato contro i gay. Non sorprendentemente nelle interviste emergevano spesso riferimenti a dichiarazioni anti-gay fatte da leader religiosi e politici omofobi.
Le testimonianze sono poi completate da atti dei processi, rapporti della polizia, immagini di repertorio, oltre a scene di manifestazioni e dichiarazioni anti-gay.
Nel film Dong cita anche una sua personale esperienza negativa, avvenuta venti anni prima. Nel 1977, una sera molto tardi, mentre camminava verso casa con un amico, nei dintorni del quartiere di Castro, senza mostrare alcun segno esteriore di sessualità omosessuale, una macchina si fermò in mezzo alla strada, saltarono fuori quattro ragazzi, e urlando frasi omofobe cercarono di aggredirlo. Dong e l’amico allora bloccarono una automobile e si buttarono sul suo cofano; l’autista della macchina capì la situazione e li portò fuori di lì. Un paio di giorni dopo Dong lesse la notizia di un prete che era stato massacrato da una banda di ragazzi quella stessa notte e pensò “quelle sbarre di ferro erano forse per noi”. La prima domanda che si fece allora fu: “perché io?”, ma la vera domanda doveva essere: “perché queste cose accadono ? Che cosa motiva questo tipo di idee e di violenza ?”. Allora, nel 1977, le aggressioni omofobiche erano molto comuni, ma non se ne parlava; era il periodo in cui la cantante Anita Bryant conduceva con successo la sua battaglia contro i diritti dei gay. Da quel giorno Dong cominciò a fare le sue ricerche raccogliendo ritagli di giornale e altro materiale su questo argomento.
Quando il film uscì qualcuno criticò il fatto di aver dato voce a degli assassini – Dong rispose dicendo ” La mia idea era che dobbiamo capire da loro se stiamo andando verso il superamento dei problemi che hanno causato tali crimini”, “Ho voluto dare a quei carcerati la possibilità di raccontare le loro storie, senza dare alcun giudizio su di loro – La mia intenzione non era quella di presentarli come dei demoni – volevo registrare le loro storie e metterle sullo schermo perché il pubblico potesse vederle e giudicare”.
Per questo film Dong è stato premiato sia come regista che come produttore al Sundance Film Festival.
Con il successivo documentario “Family Fundamentals” (2002, 75 min.) Dong continua la sua ricerca per comprendere le cause dell’omofobia nella società americana ed i suoi effetti sulla famiglia, la cultura e il panorama politico nazionale statunitense, questa volta gettando uno sguardo nelle vite di tre famiglie, in cui odio ed intolleranza separano i genitori cristiani fondamentalisti dai loro figli gay o lesbiche. Il film potrebbe rispondere alla domanda: ’che cosa succede quando dei genitori sono convinti che i loro stessi figli porteranno la razza umana verso la distruzione?’.
Come al solito Dong non giudica gli intervistati. A chi lo ha criticato per essere stato troppo moderato ha risposto ” io volevo raggiungere un certo pubblico. Abbiamo bisogno di parlare la loro lingua per poter far passare il nostro messaggio”.
“Family Fundamentals” è stato anche premiato, tra gli altri, al Torino International Gay & Lesbian Film Festival.
Coming Out Under Fire, Licensed to Kill e Family Fundamentals sono anche stati distribuiti insieme in un unico cofanetto DVD dal titolo “Stories from the War on Homosexuality”.
Per il suo contributo alla lotta contro l’omofobia, Arthur Dong è stato anche premiato con due consecutivi premi GLAAD (Gay and Lesbian Alliance Against Defamation) Media Awards e con l’ OUT 100 Award dalla rivista OUT.
L’ultimo lungometraggio di Dong “Hollywood Chinese: The Chinese in American Film” (2007,documentario, 90 min ) è una approfondita ricerca nel mondo del cinema di Hollywood, attraverso le storie di attori, registi e sceneggiatori, che documenta, partendo dal cinema muto fino alla più recente ondata di cinema asiatico-americano, come le storie e le immagini della Cina e dei cinesi siano state inserite all’interno di questo settore di intrattenimento. Mostrando anche come spesso l’immagine cinese nei film americani sia stata deformata dal pregiudizio e dagli stereotipi sull’Asia, con tanto di cittadini cino-americani presentati nella parte di ‘musi gialli’ dal buffo accento inglese.
Anche questo film ha riscosso un grande successo nel circuito dei festival ed ha vinto tra gli altri il Premio come Miglior Documentario al Golden Horse International Film Festival di Taipei, premio considerato l’Oscar cinese.
Arthur Dong da diversi anni lavora a Los Angeles, dove vive con suo marito e suo figlio.
Il 9 agosto 2008 aveva festeggiato in un ristorante cinese di Los Angeles il suo matrimonio con il suo compagno Young B. Gee, professore di inglese.
Arthur e Young si erano incontrati l’11 febbraio 1978 a Berkeley, in un concerto di musica cinese. Entrambi appassionati della loro cultura, prendevano separatamente lezioni di musica cinese. La loro insegnante pensò che sarebbero stati bene insieme e fece quindi in modo di farli incontrare. E infatti i due si sono innamorati a prima vista. Ma la loro era una attrazione basata anche su di una profonda condivisione di valori e di tradizioni culturali. Entrambi avevano genitori che erano immigrati dalla regione cinese dello Toishan e che avevano trasmesso ai loro figli i valori della famiglia e anche l’amore per il loro cibo. Per la prima volta nella loro vita sentimentale Arthur e Young potevano presentare in casa dei fidanzati che potevano parlare cinese ai rispettivi genitori.
Arthur e Young si trasferirono a Los Angeles nel 1984: Young frequentava dei corsi di specializzazione presso la UCLA e Arthur studiava presso l’American Film Institute. I due hanno comprato la loro prima casa nei pressi di Glassell Park nella periferia nord-est di Los Angeles, California. E la loro famiglia è subito aumentata con l’aggiunta di un cane e di due gatti ( Herbie, Zippers e Velcro).
Ma Young e Arthur avevano il progetto di una famiglia più numerosa, il che richiedeva una casa più grande in un quartiere dotato di buone scuole, cosi nel 1998 si trasferirono nella loro nuova casa a Silverlake, sempre nell’area di Los Angeles.
Sette anni dopo, nel 2005 il loro sogno di avere un bambino è diventato realtà quando hanno adottato il loro figlio Reed, che allora aveva sei mesi.
Nel maggio 2008, quando il matrimonio tra coppie dello stesso sesso è diventato legale in California, Arthur e Young si sono decisi a fare il grande passo. Ha detto Arthur. “Dopo essere stati insieme per 30 anni, non avevamo mai avuto una cerimonia che celebrasse ufficialmente il nostro legame o anche una festa per i nostri anniversari. Abbiamo sempre avuto la tendenza a essere piuttosto riservati riguardo alle nostre vite personali. Ma quando la Corte Suprema della California ha stabilito che avevamo finalmente il diritto allo stesso riconoscimento legale ed al rispetto dovuto a qualsiasi altra coppia, abbiamo capito che era arrivato il momento.”
Così, nel agosto del 2008, Arthur e Young si sono sposati presso un ristorante cinese nella Chinatown di Los Angeles. Avrebbero potuto celebrare il loro matrimonio in un ristorante o un albergo nella parte elegante della città, ma volevano che il loro matrimonio riflettesse ciò che essi erano e che fosse una celebrazione del loro patrimonio culturale. “Noi facciamo entrambi parte della prima generazione nelle nostre famiglie nata e cresciuta negli Stati Uniti. Avere un banchetto a Chinatown con animazione tradizionale era molto più in linea con gli usi delle nostre famiglie – Noi volevano anche che la nostra cerimonia facesse parte della lotta per la piena uguaglianza”, così Young e Arthur hanno invitato i media cinesi per coprire l’evento e hanno chiesto ai loro ospiti invece di doni, di considerare la possibilità di un contributo per sostenere la battaglia per la libertà di sposarsi.
Durante la cerimonia loro figlio Reed è scoppiato in lacrime sul palco perché voleva mettere lui gli anelli alle dita dei suoi papa. Dopo che è stato accontentato, ha baciato i suoi papà sulla guancia e ha sorriso per i fotografi. Nella stanza piena di parenti ed amici tutti si sono alzati in piedi ad applaudire.
Arthur e Young hanno pubblicamente assicurato che continueranno a trovare il tempo necessario, tra i loro rispettivi impegni lavorativi e la crescita di loro figlio, per partecipare alla lotta affinché siano garantiti i diritti civili di tutte le coppie e famiglie. (R.M.)
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