Si considera una “dissidente sessuale” prima ancora che un’oppositrice politica. Ma Amina Abdullah, 34 anni, lesbica dichiarata, madre americana e padre siriano, è diventata una delle voci più esplicite della protesta contro il regime di Bashar Al Assad, anche al di là della barriera linguistica creata dall’arabo in Occidente. Perché sul suo blog “A Gay Girl in Damascus” Amina scrive soprattutto in inglese. Dalla capitale siriana, in un misto di candore, umorismo e brutale onestà, descrive i tentativi (finora riusciti) delle centinaia di spie, sgherri e poliziotti di arginare, almeno a Damasco, il dissenso più duro. Racconta di quanto avviene in tutto il Paese dove la rivolta continua ormai da due mesi, dalle province curde del Nord fino a Deraa, la prima città ad insorgere nel Sud al confine giordano. Parla della repressione terribile: i morti sono ormai centinaia, migliaia i feriti e gli arrestati, i desaparecidos.
LA CRESCITA DEL BLOG – Il blog di Amina, di famiglia ricca e ben introdotta con parenti nello stesso governo, sta diventando famoso tra chi segue le vicende siriane, passate in secondo piano in questi giorni per la morte di Osama, ma sempre più drammatiche. Il post di mercoledì scorso, My Father the Hero, ovvero Mio padre l’eroe, descriveva una nuova fase della repressione: gli arresti di massa. Anche nella casa di famiglia della blogger, in piena notte, si sono presentati due funzionari della sicurezza che volevano portarla via perché “salafita”, estremista islamica. Ma il padre è riuscito a convincerli dell’assurdità dell’accusa.
L’OUTING – Perché la famiglia sa bene che Amina è lesbica: l’outing risale a otto anni fa, dopo un matrimonio fallito in Usa e il ritorno in Siria. «Mia figlia ha fatto cose che io non avrei fatto, ma mai permetterò che le succeda qualcosa, se l’arrestate dovrete prendere anche me – ha detto il padre – Lasciatela qui, chiedete scusa e anzi ringraziatela: è grazie a mia figlia e a gente come lei che tutti i siriani avranno libertà ed eguaglianza, non per il vostro Bashar». Un racconto lungo, appassionato, scritto benissimo e che benissimo starebbe in un romanzo anche se purtroppo è vero. Che dà un’idea reale e tremenda di quanto stia avvenendo in Siria. E che si alterna nel blog a poesie d’amore (sempre meno), alle ultime informazioni di proteste e vittime, ai reportage dalle manifestazioni con lacrimogeni e arresti, alle domande sul futuro (“E’ iniziata la guerra civile?”). «Scrivere sul blog per me è un modo per non avere paura», ha detto Amina alla corrispondente del Guardian Katherine Marsh, tra i pochi giornalisti stranieri ancora a Damasco. «Se io riesco a fare outing, ad essere esplicita su così tanti fronti, altri potranno seguire il mio esempio e unirsi al movimento». E ancora: «Essere lesbica in Siria è molto duro, ma sempre più facile che essere un oppositore politico». Infatti. Se le sue preferenze sessuali non le han creato troppi problemi (anche perché parte dell’élite e “mezza straniera”), Amina sta ora pagando assai caro il recente outing politico. La madre con gli altri figli ha lasciato il Paese, il padre e lei si sono nascosti, separatamente. “Gone Underground” si intitola il post del 4 maggio: «Sono tornati a cercarmi, io ero fuori e non mi hanno preso. Ora mi nascondo da amici. Non voglio morire da martire, nemmeno per una giusta causa, e quindi farò di tutto per restare libera, c’è tanto da fare. Non sarà facile… eppure…». Amina è sempre nascosta. Ma continua a scrivere.
Cecilia Zecchinelli (Corriere.it)
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