Aldo Braibanti è uno scrittore, sceneggiatore e drammaturgo italiano. Intellettuale “a tutto tondo”, nella sua vita si è occupato di poesia, arte, cinema, politica, teatro e letteratura, oltre ad essere un esperto mirmecologo. Omosessuale dichiarato, divenuto famoso per il processo per plagio.
Laureato in filosofia teoretica, prese parte alla Resistenza partigiana a Firenze (subendo torture e sevizie ad opera dei nazi-fascisti) ed aderì al Partito Comunista Italiano, di cui divenne membro del comitato centrale. Tra il 1946 ed il 1947 fu tra gli organizzatori del Festival mondiale della gioventù ma nel 1948 abbandonò la politica attiva, dimettendosi da tutti i suoi incarichi.
Studioso di mirmecologia e autore di ceramiche e di collages, ha tenuto mostre a Firenze, Oslo, Faenza, Messina, Milano e Roma, dove attualmente risiede. Sceneggiatore dei film Pochi stracci di sole, Il pianeta di fronte e Colloqui con un chicco di riso, nel 1960 pubblicò i quattro volumi de “Il Circo” (raccolta di poesie e saggi) e nello stesso anno da alla luce l’opera “Guida per esposizione”.
Traduttore del diario di Cristoforo Colombo, nel 1969 diede alle stampe l’antologia “Le prigioni di Stato” mentre negli anni settanta diventa autore e regista teatrale di numerose commedie tra cui “Bandi di virulentia”, “Laboratorio dell’Anticrate”, “L’altra ferita”, “Il Mercatino” e “Theatri epistola”. Autore e conduttore di numerosi programmi radiofonici, nel 1979 pubblica l’opera “Object trouvé” mentre successivamente collabora con la rivista milanese Legenda. Nel 1971 fu tra i firmatari dell’appello contro il commissario Luigi Calabresi dove lo si accusava di aver assassinato l’anarchico Pinelli.
Altre sue opere letterarie di un certo valore furono “Impresa dei prolegomeni acratici” (1988) e “Un giallo o mille” (1998). Nel 2000 decise di dare vita al lungometraggio Quasi niente, un’edizione completa delle poesie dal 1940 al 1999. Alcuni suoi testi furono musicati dal compositore Sylvano Bussotti.
Nel 2005, a causa delle pessime condizioni fisiche in cui Braibanti versava, alcuni parlamentari dell’Unione (tra cui Franco Grillini e Giovanna Melandri) proposero di assegnargli un vitalizio in base alla legge Bacchelli.
Il 23 novembre 2006 il Governo Prodi concede a Aldo Braibanti un vitalizio in base alla legge Bacchelli chiudendo così, almeno agli occhi della giustizia, una pagina tra le più controverse della storia.
Il “caso Braibanti”: processo per plagio
Nel 1968, Aldo Braibanti venne condannato per “plagio”, reato introdotto dal fascismo col Codice Rocco.
Omosessuale dichiarato, Braibanti trascorse l’estate del 1960 a Como in compagnia di Piercarlo Toscani, un elettricista 19enne. Due anni dopo, quando ormai risiedeva nella Capitale, visse invece insieme al 18enne Giovanni Sanfratello, che aveva conosciuto quattro anni prima: il giovane aveva abbandonato la famiglia in quanto i genitori avevano intenzione di farlo interdire per le sue frequentazioni di sinistra e con ambienti artistici.
Nel 1964 Ippolito Sanfratello, padre di Giovanni, denunciò Braibanti per plagio: in pratica, secondo l’accusa, i due ragazzi erano stati soggiogati dall’intellettuale, che li aveva ridotti in una sorta di “schiavitù mentale”. Il ragazzo venne in seguito trasferito al manicomio di Verona, dove subì una serie di elettroshock. Dopo quindici mesi di internamento, Giovanni venne dimesso con una serie di clausole che andavano dal domicilio obbligatorio in casa dei genitori al divieto di leggere libri che non avessero almeno cent’anni.
Nella sua difesa Braibanti fece notare che i ragazzi avevano deciso di seguirlo autonomamente e da adulti: durante il processo, Sanfratello avvalorò questa tesi, mentre Toscani depose contro di lui. Al termine delle udienze, nel 1968, Braibanti venne condannato a nove anni di reclusione, successivamente ridotti a sei ed infine a quattro (due gli vennero condonati in quanto ex partigiano).
La condanna suscitò ampia eco in tutta Italia, e a favore di Braibanti si mobilitarono Alberto Moravia, Umberto Eco, Pier Paolo Pasolini, Marco Bellocchio e numerosi altri intellettuali. Si mobilitarono anche i radicali di Marco Pannella. Il processo rivelò infatti rapidamente la sua natura politica, proponendosi come l’estremo tentativo del vecchio ordine sociale (lo stesso che aveva già usato il tema dell’omosessualità nel caso dei balletti verdi), per imporre i propri valori contro la marea montante del Sessantotto. In effetti, a differenza di quanto è avvenuto in altre nazioni, nella storia italiana l’omosessualità è stata usata giudiziariamente per fini politici in questi due casi.
Braibanti fu scelto come “capro espiatorio” in quanto al tempo stesso comunista ed ex partigiano, ma anche omosessuale, in un periodo in cui l’omosessualità era giudicata “indifendibile” (in quanto “degenerazione piccoloborghese”) anche e soprattutto tra le file della sinistra. La sua era quindi, dal punto di vista propagandistico, una figura “indifendibile”, utile per dimostrare che i comunisti stavano corrompendo la gioventù italiana e i valori famigliari tradizionali. [senza fonte]Va inoltre notato che la controversa legge sul plagio, introdotta nel codice penale durante il periodo fascista, portò nel dopoguerra ad una condanna in questo unico caso e fu successivamente abolita, senza essere più stata applicata, grazie all’infuocato dibattito scatenato dalla sua condanna, con sentenza della Corte costituzionale n. 96 dell’8 giugno 1981.
Né esisteva ancora in Italia un movimento di liberazione omosessuale che potesse fare di questo processo un caso emblematico. Dalle colonne di Tempo Illustrato, Pier Paolo Pasolini fece notare che:
« Una delle cause della condanna al processo è la debolezza del Braibanti, nel senso che egli non aveva valori precostituiti, un aggancio a un sistema di vita, ad un modello culturale. »
Lo stesso Braibanti non si è mai considerato parte del movimento gay.
In un’intervista, Braibanti disse che non si considerava una vittima e che, tra gli intellettuali di sinistra, gli era stata vicina in quei momenti soprattutto Elsa Morante. Nella stessa intervista, riguardo alla nascita del movimento gay, egli dichiarò inoltre:
« Non farò mai il militante omosessuale, ma non mi piace dare un giudizio. Però penso che i movimenti gay e gli altri di questo tipo siano molto importanti, hanno la funzione di preparare molte persone che altrimenti sarebbero incapaci di inserirsi nella militanza, a sentirsi pari a coloro che credono di essere già pari e di poter combattere per la rivoluzione. » (Wikipedia)
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