Cinema

Terza giornata al Florence Queer Festival

Dai nostri inviati Antonio Schiavone e Roberto Mariella

Dear Fredy di Rubi Gatt

(Israele-Germania, 2017, 74’) Documentario

Voto:  

Da sempre il Florence Queer Festival  presta molta attenzione alla riscoperta di personaggi LGBT meritevoli e fuori dal comune ancora poco conosciuti. La storia di Fredy Hirsch è un altro anello della storia della nostra comunità da scoprire e celebrare.

Fredy Hirsch nato in Germania ad Aquisgrana nel 1916 era un atleta e insegnante sportivo ebreo omosessuale, leader del movimento dei giovani maccabei, noto per aver dato aiuto e spesso salvato la vita a migliaia di bambini ebrei in Germania e Cecoslovacchia. Il regista Rubi Gat racconta la vita di Fredy Hirsch avvalendosi di rare fotografie, filmati d’archivio, interviste a persone che erano state suoi allievi e molte animazioni.

A diciannove anni Hirsch si trasferisce in Cecoslovacchia in seguito all’approvazione in Germania delle leggi razziali, separandosi cosi dalla madre e dal fratello riparati in Bolivia. A Brno convive con un altro giovane, benestante, conosciuto come omosessuale. A Praga inizia a lavorare come insegnante di educazione fisica divenendo un punto di riferimento dei giovani ebrei suoi allievi. Con l’arrivo dei nazisti in Cecoslovacchia gli ebrei di Praga furono rinchiusi nel Ghetto di Terezin. Nel ghetto i bambini vivevano separatamente dagli adulti. Hirsch fu scelto come loro istruttore e basandosi sugli insegnamenti dei movimenti giovanili sionisti, insisteva nel mantenere nei ragazzi l’autostima, la disciplina, l’esercizio fisico regolare e l’igiene rigorosa. I tedeschi permisero le sue attività perché sentivano che ciò aiutava a mantenere l’ordine. E’ anche possibile che Fredy avesse la copertura di qualche influente nazista omosessuale.

Per aver infranto il divieto di introdursi in un campo del ghetto dove erano tenuti completamente isolati dei bambini ebrei arrivati dall’estero, venne deportato ad Auschwitz dove non si perse d’animo e riuscì a convincere Mengele a creare un asilo nido per bambini e giovani. Ad Auschwitz aveva un amante, la cosa si sapeva ma lui era comunque benvoluto da tutti e rispettato anche dalle guardie delle SS. I sopravvissuti ricordano il suo atteggiamento sicuro di sé, la sua grande bellezza, la cura nel presentarsi, la postura, capelli pettinati e gli stivali lucidi. Le foto ce lo mostrano molto bello e atletico, quasi sempre con solo i pantaloncini corti mentre fa sport. Nel 1944 insieme ad altri prigionieri aveva pianificato una rivolta che non ebbe luogo, quel giorno fu ritrovato morente. Forse si era suicidato, o forse è stato avvelenato dai medici ebrei del campo, che avevano ottenuto da Mengele la promessa di venire risparmiati.

Il regista ha dichiarato che quando iniziò a lavorare sul film, pensava che Fredy Hirsch non era stato fino a quel momento adeguatamente celebrato a causa dell’omofobia, ma durante la lavorazione del film si accorse che la gente intervistata accettava la sua sessualità e tutti lo ricordavano con grande affetto, comprendendo che questo film poteva essere un’ultima possibilità di far emergere Fredy Hirsch dall’oblio.

Indipendentemente dalla figura di Hirsch il documentario è assolutamente da vedere in quanto fornisce una testimonianza puntuale davvero commuovente di come, passo dopo passo, inesorabilmente si è arrivati al genocidio nei confronti degli ebrei, e cosa ancora più agghiacciante, il racconto è visto dal punto di vista dei bambini.

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Dei corti del concorso VIDEOQUEER di oggi uno era italiano

Satyagraha di Nuanda Sheridan

(Italia, 2017), 28’, v.o. italiano

Voto:  

Era presente in sala la giovane regista Simona De Simone, conosciuta con lo pseudonimo artistico di Nuanda Sheridan.

E’ una favola mistica che racconta attraverso bellissime immagini una storia di amore senza tempo. Un amore impossibile vissuto nel passato da una persona anziana, che in punto di morte riscopre, attraverso un viaggio spirituale, tutto quello che è stato il percorso della sua anima prima di arrivare a quel momento. Così si rende conto che questo amore, che lei ha vissuto durante la vita in realtà aveva delle origini molto più antiche, nelle sue vite precedenti, in altre epoche e altri luoghi, il lontano oriente, l’Africa, la Firenze dello scorso secolo.

He Loves me di Konstantinos Menelaou

(Grecia, 2017, 72’)

Voto:  

Il secondo lungometraggio della giornata, il greco He Loves me di Konstantinos Menelaou ci è stato presentato da Dimitri Milopulos, regista, autore e attore, tra i fondatori a Firenze del Teatro della Limonaia, vecchio amico del Florence Queer Festival, chiamato spesso a parlare quando i tratta di film greci.

Il giovane regista greco, naturalizzato inglese Konstantinos Menelaou nel suo primo lungometraggio vuole indagare sul perché i rapporti gay maschili a volte falliscono anche quando l’amore rimane. L’ispirazione gli è venuta da un’esperienza personale e dalla confusione che ne è derivata: “Durante i miei sforzi per comprendere l’essenza di questa relazione che cambia la vita, ho trovato impossibile trovare un solido significato sul perché le relazioni falliscono quando l’amore c’è ancora. Ogni regola è stata demolita e la ricerca della pace era troppo lontana.” Cosa succede quando due uomini omosessuali imprigionati in una relazione distruttiva lasciano la città, col suo rumore, la sua folla, il sesso promiscuo, le droghe per trascorrere un po’ di tempo da soli in mezzo alla natura. È possibile che il silenzio di una spiaggia deserta, possa far tornare la pace interiore e l’amore ? He Loves me non è un vero e proprio film si tratta piuttosto di un esperimento cinematografico, una performance artistica sul tema delle relazioni gay. Il film è praticamente muto. Una voce narrante fuori campo racconta in inglese la storia tra i due, mentre loro si divertono sulla spiaggia deserta. Le immagini sono molto accattivanti, con i corpi nudi dei giovani che per un bel po’ si accoppiano sulla spiaggia e nell’acqua. lo si potrebbe definire un porno soft naturalistico se non fosse che da quel punto di vista ha troppi tempi morti.

Il lavoro fatto dal regista per diversi aspetti è interessante e promettente, ma forse si poteva rendere il film più agile con un taglio di un bel quarto d’ora.

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La serata ha avuto un’impronta tutta al femminile.

L’evento principale della serata è stato lo spettacolo live di Adele Bertei seguito dalla proiezione del suo splendido corto The Littlest Trampette.

Adele Bertei inizia la sua carriera musicale a New York nel 1977 con The Contortions, prodotti da Brian Eno nell’album “No New York”. Come musicista si è esibita in tutto il mondo con le Bloods, prima band di sole ragazze lesbiche e come cantante con i Tears for Fears. Come corista ha collaborato con Thomas Dolby, Culture Club, Whitney Houston, Sophie B. Hawkins e molti altri.
E’ stata ritratta e fotografata da artisti come Kiki Smith, Richard Prince, Nan Goldin e David La Chappelle. Come attrice, è da segnalare la sua partecipazione, insieme alla sua band The Bloods, al film Born in Flames, di Lizzie Borden uscito nel 1983, pietra miliare della cinematografia lesbica militante. Nel film interpretava se stessa.

The Littlest Trampette di Adele Bertei

(USA, 2017, 13’)

Anteprima italiana Alla presenza di Adele Bertei e della produtrice Natalie Hill

Voto:  

Questo piccolo gioiello è costruito esattamente come una vecchia comica muta, in bianco e nero con le didascalie. Le eroine del film sono tutte ragazze. L’unico maschio è il grasso capitalista molestatore Big Shot. La trama è una classica storia sconclusionata tipica delle comiche.

Trampette è una giovane musicista che possiede solo la sua tromba. Quando riceve lo sfratto da casa sua, la madre ubriacona la lascia per andarsene col bieco Big Shot e consiglia a Trampette di portare la sua tromba al banco dei pegni. Mentre si reca al banco Trampette si imbatte in una banda di musiciste di strada, si unisce a loro e insieme rubano dei soldi a Big Shot. Poi Trampette incontra una trovatella e se ne innamora. Poiché sono entrambe senza soldi Trampette decide di derubare passanti con il volto coperto da una maschera con il volto di Trump, ma senza successo. La trovatella lascia Trampette per mettersi Big Shot, che le ha promesso un ricco contratto di lavoro. Trampette si rende conto che la musica è il suo unico vero amore.

Il film vuole essere la storia di una ragazza che non vuole lasciarsi incasellare in uno schema, che vuole uscire, girare liberamente in un mondo magico senza dover essere quello che gli altri vogliono. Questo corto è una prima parte di un lungometraggio che Adele Bertei vorrebbe sviluppare, per il quale spera di raccogliere dei finanziamenti, magari trovando un mecenate delle arti come i Medici.

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Ha chiuso la serata

Snapshots di Melanie Mayron

(USA, 2018), 95’

Voto:  

Anteprima italiana

L’anziana Rose vive da tanti anni da sola nella sua casa sul lago. Durante un weekend d’estate, la raggiungono la figlia Patty e la nipote Allison. Patty è rimasta da poco vedova e ha scoperto che il marito la tradiva. Patty è ansiosa, tende a negare ciò che non vuole vedere e ha una mentalità conformista che la porta a continui battibecchi sia con sua figlia che con sua madre. Sua figlia Allison, che è fotografa, ha ritrovato una vecchia macchina fotografica della nonna, con inserito un rollino fotografico non ancora sviluppato e per fare una bella sorpresa alla nonna lo fa sviluppare e le consegna la busta delle foto senza averla prima aperta. Questo è il fragile espediente che dà origine alla storia. Quelle foto ricordano a Rose un suo grande amore perduto di cinquanta anni prima, Louise. Rose rivivere in diversi flashback tutta la storia di amore con Louise. Non si capisce però come mai Rose non abbia mai sviluppato quelle fotografie così importanti. Nel film si alternano due diversi periodi, quello attuale e quello dei ricordi di Rose. In una estate degli anni ’60, lei e suo marito, da poco sposi, erano in vacanza in riva al lago, in quella casa che ancora dovevano finire di pagare. Un giorno per caso Rose incontra Louise, una ragazza dai capelli rossi che insieme al marito aveva preso in affitto un cottage lì vicino. Complice un temporale, Louise ci mette poco a superare le titubanze della timida Rose e le due si imbarcano in una bollente relazione segreta che dura alcuni anni alle spalle dei mariti. Ma Rose non vuole rinunciare ad avere una famiglia tradizionale e ad avere dei figli.

La nipote Allison ha invece scoperto di essere incinta, ma la relazione con il marito è entrata in crisi e lei non sa se vuole tenere il figlio. I segreti di Allison però non sono ancora finiti. Allison scopre di avere con sua nonna molte più cose in comune di quanto avesse mai potuto immaginare prima. Patty, in qualche modo schiacciata tra sua madre e sua figlia, scoprirà di essere in grado di accettare molte cose che prima giudicava sbagliate e riscopre anche il legame con sua madre.

L’attrice ottantaseienne Piper Laurie è strepitosa nel suo ruolo della matriarca Rose e anche le altre attrici danno tutte buona prova di sé. Snapshots è un film realizzato e interpretato da donne, con protagoniste che hanno legami familiari e rapporti affettivi solo fra di loro e gli unici maschi presenti, per pochi minuti, sono due mariti traditi cinquanta anni fa. Film indipendente, con un budget limitato, Snapshots è, nonostante alcune debolezze nella trama e nei dialoghi, un bel film tutto basato sui sentimenti, sui legami familiari che tendiamo a sottovalutare, sul potere dirompente del ricordo.

Sorprendentemente questo film è basato su eventi in parte reali: la scrittrice e produttrice Jan Miller Corran ha detto che nello scrivere questa sceneggiatura ha deciso di rendere pubblico un vecchio segreto di famiglia: sua madre quando aveva novant’anni, poco prima di morire le aveva raccontato un suo segreto molto simile. Snapshots è nato prima come un’opera teatrale nel 1990, venticinque anni dopo ne è stata tratta la sceneggiatura per il film.

(Antonio Schiavone e Roberto Mariella)

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Florence Queer Festival

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