Dalla Mostra del Cinema di Venezia le recensioni del critico Sandro Avanzo
Suspiria
di Luca Guadagnino
Tendenza: 1/5 (L)
Voto:
Tremate, tremate, le streghe son rinate! Il rifacimento/omaggio che Guadagnino fa dell’originale di Argento non è un semplice remake; lo si sapeva da tempo. Dal cult del ’77 prende i personaggi principali (comprese le fondamentali tre madri), l’ambientazione della scuola di danza, talune situazioni para-horror auto-ridicolizzate da divertenti effetti speciali da b-movie anni ’50 (come la mano da alieno da scherzo di carnevale); e alla fine, da regista di classe, realizza un’opera del tutto originale e autonoma. Guadagnino ri-ambienta la storia nella Berlino del ’77, epoca di guerra fredda e di Muro ancora diametro divisivo di tutta la città e rilegge gli eventi che va a filmare alla luce degli scritti di Lacan, per altro esplicitamente citato sia in sceneggiatura che in un paio di scene. Ne risulta un’opera molto ricca, stratificata e complessa, che mette la maternità nelle varie sue forme alla base della narrazione, si focalizza sul senso femminile del sociale, indaga sulla creatività della donna. Si esce di sala con l’impressione di aver visto un’opera che necessita di più di una visione per essere apprezzata nel suo reale valore e che non andrebbe vista nel calderone del concorso veneziano dove troppi titoli, troppe immagini, troppe storie si accavallano insieme senza dare il tempo di un’autentica e ponderata riflessione.
Di certo si percepisce di trovarsi davanti a un lavoro queer per lo spirito e per il barocco delle immagini più che a un film lesbico in senso specifico. In una sola scena si ascoltano le parole “ti amo” tra un’allieva e la direttrice della scuola, ma potrebbero essere anche frasi di semplice affetto e di rispetto senza alcuna valenza erotica, e del resto anche la tavolata di sole donne che bevono e si divertono tra abbracci e tenerezze rimandano più alla sorellanza e all’affiatamento femminista che non ai tirsi di menadi infoiate. Assai più camp risulta invece il coinvolgimento nel cast di interpreti icone di culto nel mondo gay come Tilda Swinton, Angela Winkler o Ingrid Caven (moglie di Fassbinder). Costei, a metà pellicola, canta a cappella una Ninna Nanna di Brahms da assoluto brivido. Questa sola sequenza vale il biglietto di ingresso sala al film.
La Quietud
di Pablo Trapero
Tendenza : 5/5 (LLL)
Voto:
Se si dice sorellanza si dice La Quietud. Se si dice lesbismo si dice La Quietud. Se si dice incesto si dice La Quietud.
Pablo Trapero che già aveva conquistato il lido con Il clan leone d’argento 2015, porta ora fuori concorso l’ultima sua opera trasgressiva e caustica, tutta ambientata nella magnifica fazenda immersa nelle campagne fuori Buenos Aires che dà il titolo al film. È qui che torna dalla Francia la primogenita Eugenia, a seguito di un ictus che ha colpito l’anziano padre. Sembra un ritorno alla magione di famiglia, tutto abbracci e ti ricordi? sì mi ricordo!, in cui si trova di nuovo sotto lo stesso tetto con la madre Esmeralda e con la sorella Mia. Ben presto, però, antiche ferite e segreti rimossi tornano a galla pronti a un’esplosione deflagrante quando alla tenuta arrivano anche Vincent, marito di Eugenia, ed Esteban, compagno delle vacanze di gioventù delle sorelle. Sembra una riunione felice, ma è solo la premessa di un inferno sommerso che attende solo di scatenarsi con tutti i propri demoni, una declinazione di Festen in salsa pampera.
Tutti mentono, ciascuno per un proprio differente motivo personale e ciascuno crede o finge di credere alle menzogne degli altri dentro una ragnatela che intrappola l’intera cerchia dei personaggi. Il tutto poi è esaltato ed elevato al quadrato dall’incredibile e inquietante somiglianza fisica tra le due sorelle, autentiche gocce d’acqua. Al centro degli intrighi ci sono mariti che sposano una sorella e la tradiscono con l’altra amata da sempre, gravidanze isteriche, amanti segreti che pretendono prove di paternità per un bambino in arrivo, mogli che in tribunale riversano sui mariti le proprie colpe per scansare i misfatti commessi, genitori che hanno sempre odiato le figlie e figlie disposte a ogni sacrificio per i genitori, con ricco corredo di scene di sesso lesbico ed etero al limite del porno (la lunga e sensualissima sequenza di Eugenia e Mia che scopano ricordando le comuni esperienze sessuali di adolescenti entra di diritto nel panteon del cinema erotico!), in un intreccio di situazioni e paradossi inarrivabili perfino nelle più imbrogliate e complicate telenovelas brasiliane.
È importante notare che tutti i misteri, i fraintendimenti e i non detti ruotano intorno al tema della maternità e della figliolanza: la sterilità di Eugenia, Esmeralda che l’ha concepita in atti di violenza coniugale, la devozione di Mia per il padre morente, il desiderio di paternità di Esteban… Troppo, troppo, troppo insistito e troppo esplicito il tema per non voler indicare altro rispetto a sé. Una possibile e realistica traccia la si può trovare nel quadro storico in cui le vicende sono calate, quella particolare epoca tra la fine della dittatura dei generali e l’avvio della nuova democrazia in Argentina. Se leggiamo il film di Trapero come una metafora della storia del suo paese negli ultimi decenni, allora sia il titolo che tutti i personaggi assumono un significato allegorico e tanto i paradossi che gli eccessi trovano una plausibilità e una giustificazione, con le due anime della nazione (quella popolare e quella borghese) che si guardano da sempre con attrazione e repulsione e che oggi potrebbero alfine fondersi davvero tra loro e dar vita a un’identità novella, così come nel finale del film l’una sorella dona all’altra un proprio ovulo perché costei possa portare a termine quella gravidanza tanto desiderata e inseguita. Se leggiamo il film in questi termini, proprio la distanza tra il realismo e la metafora diventa il limite principale di Trapero perché qui non sarebbe riuscito a sfumare a sufficienza l’intersezione tra i due piani del rispecchiamento. Opera coraggiosa, la sua, per l’uso delle immagini erotiche e per l’uso alternativo dell’idea di famiglia, ma distante dai risultati cui ci aveva abituati con Mondo Grua o Carancho. Di certo un fondamentale apporto al risultato finale gli viene dalle tre magnifiche attrici, le sensuali e generose Bérénice Bejo e Martina Gusman (nella vita reale è moglie del regista) e dalla meravigliosa caratterista Graciela Borges che incanta nella sua perfidia e imperiale inclemenza.
Sandro Avanzo