Articolo di Daniela Catelli riportato dal sito Comingsoon.it:
Al RomaFictionFest il premio Oscar Dustin Lance Black con l’anteprima mondiale di When We Rise
La quarta giornata del RomaFictionFest è stata una giornata di grandi emozioni anche per i cronisti più scafati. In attesa di proporvi i nostri incontri personali con gli ospiti del festival, vi parliamo della conferenza stampa di uno di quelli più attesi, lo sceneggiatore e regista Dustin Lance Black, premio Oscar per Milk, al festival per presentare in anteprima mondiale una serie della ABC in 8 episodi, When We Rise, che verrà trasmessa in America il prossimo 26 febbraio. Nessuno – se non pochi fortunati come chi scrive, che però non può parlarne – ha visto più del trailer di questo serial, ma le aspettative sono altissime per la storia delle battaglie per i diritti civili e l’eguaglianza del dopo Stonewall, portate avanti dalla comunità LGBT e dalle varie minoranze, fino ai giorni nostri. Sono storie vere, basate su personaggi reali. I primi due episodi sono diretti da Gus Van Sant e gli ultimi due dallo stesso Black. Chi ricorda ancora il suo bellissimo discorso di ringraziamento e incoraggiamento alla cerimonia degli Oscar, sa di quanta passione sia capace quest’uomo e oggi a Roma ha potuto farne esperienza diretta. Ecco cosa ha raccontato Black – cresciuto in una famiglia mormone e dunque fortemente ostile all’omosessualità – in conferenza stampa:
Per me la cosa più difficile per chi viene maltrattato perché diverso è l’isolamento, perché quando ti senti solo arrivi a disperare e contemplare il suicidio, ed è tragico. Molto di quello che faccio oggi è aiutare le persone a non sentirsi sole e a sapere che ci sono persone che lottano per loro e per la loro libertà di avere una vita migliore. Abbiamo fatto molti progressi dai tempi di Milk, ma ora siamo in periodo che io chiamo di contraccolpo, e questa serie mostra come una generazione di persone ha lottato contro queste discriminazioni e proprio per questo momento negativo che stiamo vivendo è arrivata in un momento incredibilmente necessario.
Inevitabile la domanda su Trump, su cui incredibilmente anche parte della comunità LGBT ha espresso apprezzamento:
Donald Trump è un bigotto, non ce l’ha solo con li gay ma anche con le minoranze razziali e le donne. Non è il primo a presentarsi in questo modo sulla scena politica, ma noi sappiamo dalla nostra storia come possiamo controbattere senza perdere i nostri diritti. Per convincere chi non la pensa come noi è inutile parlarci di politica, di scienza o di leggi: se vuoi cambiarne la mentalità devi cambiarne il cuore e lo fai raccontando storie vere. Sono stati fatti dei passi importanti ma dobbiamo raccontare le nostre storie personali per combattere un’amministrazione carica di odio, come si vede anche dalla scelta dello staff di governo, non solo in America ma anche in tutto il mondo. Per farlo la gente deve usare le proprie storie, e non parlo solo della comunità LGBT, perché in fondo per un motivo o l’altro oggi ogni persona è una minoranza, dipende da come si spartisce la torta, e deve usare la propria storia e il proprio cuore come una spada, è responsabilità di tutti.
Cosa farebbe in concreto se fosse presidente per cambiare le cose? Quale consiglio direbbe a un ragazzo che si scopre gay?
Direi che la prima cosa è la parità di salario e il diritto al lavoro per tutti, perché non importa chi ami, da dove vieni, di che sesso sei o il colore della tua pelle, devi avere un lavoro per mantenere la tua famiglia. Ancora oggi vieni licenziato solo per essere gay o lesbica e le donne non vengono pagate allo stesso modo degli uomini. Il diritto di avere un lavoro e una famiglia è fondamentale per tutti. I ragazzi che si rendono conto di essere LGBT per prima cosa devono sapere di non essere soli e di avere predecessori, maschi, femmine e trans, che hanno combattuto e combattono per i loro diritti. Ho scritto un discorso nel primo episodio per il personaggio di Cleve Jones in proposito. Essere isolati è pericolosissimo. Voglio che i giovani siano sicuri. E poi devono fare coming out, perché se non lo si fa si crea una piccola ferita nella propria anima che alla lunga diventa sempre più grande e infine può schiacciarti. Può essere un percorso difficile per un po’, ma alla fine dopo averlo fatto la vita diventa molto più facile e sicura.
Dice nell’episodio che “l’arco della storia è lungo ma piega verso la giustizia”, dunque è ottimista?
No, purtroppo l’arco della storia dobbiamo pensarlo come un pendolo che oscilla e dobbiamo stare attento a quando torna indietro, purtroppo siamo in un momento del genere e dobbiamo stare uniti e lottare perché la gente venga trattata con umanità a prescindere dalla religione che pratica e dal luogo da cui proviene.
Come nasce When We Rise?
Volevo raccontare da tantissimo tempo questa storia, incentrata sull’importanza di tante persone che lavorano insieme. Ho iniziato a lavorarci 4 anni fa, il primo anno è stato impiegato solo nella ricerca delle storie vere. Volevo persone provenienti da vari movimenti e che avessero formato la loro famiglia e fossero sopravvissute. Volevo che i giovani credessero che questo fosse possibile e far loro vedere che questa gente vive, perché in genere nei biopic – e anch’io ne ho scritto uno – la persona coraggiosa alla fine muore. Nel titolo la parola WE, NOI, è scritta più grande e volevo che si rispecchiasse in tutto il progetto, quindi ho scelto registi gay, etero, maschi, femmine, di colore, ho cercato di rispecchiare la diversità della storia nel cast e nella troupe, i 4 trans della serie sono veri attori trans. Quindi non è un prodotto che ho creato da solo, sarebbe una bugia, l’ho fatto con un gruppo di persone diverse.
Perché in certi ambienti, politici, sportivi e dello spettacolo, c’è ancora timore che fare coming out possa danneggiare la carriera?
A Hollywood la paura del coming out non è dei produttori o degli attori, ma degli agenti e dei manager, che appartengono a una generazione in cui si credeva che fosse dannoso, e siccome investono così tanto su questi attori hanno paura di perdere il loro investimento. Ma iniziamo a vedere che non è vero, che questo non danneggia i film al box office e quindi ne vediamo sempre di più. Ma per fare coming out ci vuole comunque coraggio e forza. Quello che dico loro è: non dovete per forza farlo se non ve la sentite, ma se lo fate ispirerete una nuova generazione, darete forza a delle persone e salverete delle vite.
Com’è cambiata la rappresentazione dei gay al cinema e in tv?
Anche al cinema c’è stato un cambiamento, ma in televisione è stato maggiore e più veloce, la tv riesce a raggiungere più persone e ora affronta anche storie con trans, cosa per me molto elettrizzante perché nel nostro mondo non ci sono solo uomini e donne gay. Sono elettrizzato nel vedere questo movimento che viene alla luce con tutta la sua diversità, soprattutto in televisione.
Infine, una dichiarazione d’amore al nostro paese:
Una delle protagoniste della serie si chiama Roma (la femminista Roma Guy, ndr), in fondo non è una coincidenza che l’anteprima si faccia qua, adoro essere a Roma con When We Rise. La famiglia di Roma era italiana, e qua in Italia ho sempre sentito il calore della famiglia. E volevo presentare le mie famiglie a questa famiglia italiana.
Daniela Catelli