In mattinata, con ingresso gratuito, è stato prima proiettato lo spot ‘Normalità soggettiva’ di Manuele Potito, presente in sala e quindi
Né Giulietta, né Romeo di Veronica Pivetti (Italia, 2015), 104’, v.o. italiano
Alla presenza della regista e protagonista Veronica Pivetti
Né Giulietta né Romeo, buon esordio alla regia di Veronica Pivetti, che è anche protagonista nella parte di Olga, la mamma del protagonista, è una commedia che ha il pregio di essere divertente, pur trattando in modo più che corretto temi molto seri come il bullismo, l’omofobia, il coming out, il difficile rapporto tra genitori e figli (compreso quello tra genitori e nonni), i guasti di una psicanalisi professata da specialisti poco seri.
Tutto questo attraverso il racconto delle traversie di un sedicenne, Rocco ( Andrea Amato), che si scopre innamorato di un nuovo compagno di classe. Rocco viene aggredito nelle docce della scuola da un compagno omofobo. Quando poi Rocco ed il nuovo vengono scoperti in atteggiamenti intimi, quest’ultimo nella fuga si fa molto male. Quindi Rocco decide di intraprendere un viaggio picaresco verso Milano, per assistere al concerto di un giovanissimo cantante gay, idolo degli adolescenti, accompagnato dalla sua migliore amica ed ex fidanzata Maria e dal suo amico fraterno Mauri (che però faticherà ad accettare l’omosessualità dell’amico). Stesso viaggio, verso Milano dovranno compierlo, alla ricerca di Rocco, la mamma, Olga, una giornalista e la nonna Amanda, una arzilla signora, nostalgica del Duce, ma dal grande cuore. Mentre il papà di Rocco, psicanalista affermato, separato da Olga, predica bene, ma razzola molto male, ed è del tutto assente. Anche per Olga e Veronica il viaggio rappresenterà un percorso verso la consapevolezza di come stanno le cose e la loro accettazione.
Tutte le volte che è stato proiettato, il film ha sempre ottenuto un’ottima accoglienza di pubblico, ma non è risultato un successo commerciale, per il fatto che è stato fatto uscire in pochissime copie (17) in tutta Italia. Il film ha subìto una forma di boicottaggio strisciante, probabilmente proprio perchè può raggiungere una grossa fetta di pubblico, che magari non si interessa particolarmente dei diritti degli omosessuali, ma ama la commedia. Il film ha comunque ora una seconda vita grazie al supporto di Amnesty International e Agedo e alla buona volontà di alcuni presidi che hanno organizzato proiezioni per gli studenti delle scuole superiori.
Il primo documentario del pomeriggio fa parte di quei lavori che il festival quest’anno ha scelto per parlare della ‘silver age’. Dopo gli eccessi sessuali di ‘Sex and silver gay’, questo ‘Las Ventana Abiertas’, dedicato alle lesbiche anziane, appare molto più tranquillizzante, ma anche qui appare la ferma determinazione a non farsi da parte, a non voler rinunciare all’amore, al sesso e all’impegno sociale.
Las Ventana Abiertas (Windows come Open) di Michele Massé (Francia, 2015). Documentario 62’, v.o. spagnolo, sott. italiano
Voto:
Erano presenti le protagoniste francesi del film Micheline Boussaingault e Jocelyne Pasqualini.
‘Las Ventana Abiertas’ raccoglie le testimonianze di quattro donne lesbiche di circa 70 anni, componendo un discorso che rivela molto del passato collettivo della comunità lesbica. Micheline Boussaingault e Jocelyne Pasqualini sono una coppia che vive a Parigi, delle quattro intervistate loro sono le meno impegnate politicamente, coinvolte soprattutto nella loro storia romantica. Poi ci sono Boti Rodrigo Garcia (divorziata) ex presidente della Federación Estatal de Lesbianas e Empar Pineda (sposata), co-fondatrice del coordinamento delle organizzazioni femministe dello Stato spagnolo, che vivono a Madrid.
Le quattro persone intervistate ci parlano del loro impegno nel movimento LGBT, delle loro relazioni sentimentali, del sesso, del loro modo di vivere in un’età in cui sono considerate “vecchie”. Nessuna di loro ha accettato di essere messa da parte a causa della sua età, sono curiose, attente agli altri e a cosa succede nella società. Empar è cresciuta nella Spagna di Franco, in cui non si doveva parlare di omosessualità, sapendo di essere “diversa”, ma senza avere una parola per definire questo suo stato. All’università ha capito di essere una lesbica e questo l’ha resa felice, anche se conoscersi e accettarsi non sono la stessa cosa. La coppia francese (le due sono insieme solo da pochi anni) è uscita allo scoperto tardi. Micheline, nonostante un rapporto a lungo termine con una donna, aveva ancora problemi a dichiararsi lesbica a sessant’anni e Jocelyne, che era stata sposata ad un uomo e poi è rimasta vedova, quando ha scoperto che una delle sue figlie era gay, ha provato un senso di colpa. Ora Micheline e Jocelyne stanno recuperando il tempo perduto, sono ancora in fase di luna di miele e apprezzano i suggerimenti sessuali contenuti nel fumetto ‘Il blu è il colore più caldo’ di Julie Maroh ripreso dal regista Abdellatif Kechiche in ‘La vita di Adele’.
Il sesso è un importante tema di questo film. Si parla di come sia importante trovare il giusto tempo per il sesso quando con l’età e l’abitudine il desiderio cala un po’. L’amore e il sesso sono una cura contro l’invecchiamento.
Il progresso nei diritti lgbt è un altro grosso tema. Hanno tutte visto il matrimonio omosessuale diventare legale nei loro paesi e nella loro vita. Per Boti l’attivista, questo ha significato anche il dover affrontare lo scorso anno un divorzio dalla compagna sposata nel 2005, ma anche il divorzio è un aspetto importante della normalizzazione delle relazioni omosessuali. Nella coppia francese ci sono ancora timori per l’omofobia, Jocelyne ne è preoccupata, per le reazioni della gente in strada e nel suo condominio e per il timore di finire in una casa di cura dove gli operatori sanitari potrebbero discriminare una donna lesbica.
A seguire abbiamo visto
‘Bullied to Death’ di Giovanni Coda / Italia 2016 / 75’
Voto:
Con il regista erano presenti gli attori Giovanni Dettori e Sergio Anrò e il musicista Cosimo Morleo. Ha preceduto il film il video musicale ‘Leave the Boy’ di Cosimo Morleo, con immagini tratte da ‘Bullied to Death’
Già passato in molti festival in giro per il mondo, ‘Bullied to Death’ è ormai carico di riconoscimenti. Di questo film si è già detto tanto, gli unici che non sembrano essersi accorti del suo successo sono le istituzioni sarde che non hanno sostenuto il film come promesso e meritava.
‘Bullied to Death’ che affronta il tema dell’omofobia e del bullismo è il secondo episodio di una trilogia. Il precedente film di Giovanni Coda ‘Il Rosa Nudo’ descriveva la condizione degli omosessuali nei campi di concentramento nazisti, prendendo spunto dalla vita di Pierre Seel, arrestato dalle SS all’età di 17 anni, insieme al suo amante. La trilogia si concluderà con un film sul femminicidio, il cui inizio lavori è previsto per il 2017. Prima Giovanni Coda girerà un altro film dal titolo ‘Mark Diary’.
‘Bullied to Death’, come già dice il titolo è un film sul bullismo giovanile e sull’odio dei violenti che si manifesta contro ragazzi che scoprono la propria sessualità gay o trans. Nel film vengono letti scritti (lettere, messaggi sui social media…) di vere vittime del bullismo, dell’omofobia e della transfobia: giovani gay, lesbiche e trans uccisi o indotti al suicidio in diverse parti del mondo. Tra le varie storie ne spiccano due, due suicidi, un ragazzo trans che da sempre voleva cambiare sesso, ma che è stato osteggiato in tutti modi dalla famiglia e isolato dai compagni, ed un quattordicenne americano, Jamey R, suicidatosi nel settembre del 2011 dopo ripetuti atti di bullismo a scuola e sul web seguiti al suo coming out pubblico. La narrazione del film si svolge durante un arco di 24 ore, per poi saltare al 17 maggio del 2071 a sessant’anni esatti dalla morte di Jamey, durante la giornata mondiale contro l’omofobia e la transfobia, in cui un gruppo di artisti si ritrova in una performance commemorativa, dove si immagina che siano vivi e anziani Jamey e la giovane trans ora diventata una vera donna.
Sia ‘Bullied to Death’ che ‘Il Rosa Nudo’ trattano di vicende terribili, ma riescono a farlo mantenendo la forma di un’opera d’arte multimediale, con immagini, musiche, quadri viventi ed atmosfere dal forte impatto emotivo che sono state paragonate dal poeta Cataldo Dino Meo a ‘Nostra Signora dei fiori’ di Jean Genet, alle performance di Mario Mieli, alle maschere del teatro greco, alle tele del Caravaggio. Coda è riuscito nell’intento di creare uno stile e un linguaggio poetico talmente personale, da essere ormai immediatamente riconoscibile. Notevole anche la colonna sonora davvero originale (con alcuni brani di Cosimo Morleo). Tra gli attori c’è da segnalare la presenza di Gianni Dettori, un artista conosciuto e amato a Milano, dove per anni si è esibito en travesti nei locali. Il film è una co-produzione Italo-Americana, ed è interpretato in lingua inglese.
La serata è stata aperta dal lungometraggio
AWOL di Deb Showal (USA, 2016), 85’, v.o. inglese, sott. italiano
Voto:
AWOL è un racconto di formazione che ha per protagonista una ragazza lesbica di provincia coinvolta in una storia d’amore destinata a finire a causa di tutta una serie di circostanze sfavorevoli. Joey (Lola Kirke) è una coraggiosa ed equilibrata ragazza diciannovenne, che ha appena terminato le scuole superiori ed è incerta su cosa fare per il futuro. Joey abita in una cittadina della Pennsylvania in grave crisi economica a causa della chiusura delle miniere di carbone. Dato che le prospettive di trovare un lavoro decente sono davvero scarse, la madre le consiglia di arruolarsi subito nell’Esercito, esperienza che le darebbe l’opportunità di vedere il mondo e le fornirebbe del denaro per poi eventualmente iscriversi all’università e, non ultimo, le farebbe mettere a frutto la sua attitudine per i lavori manuali. Joey preferirebbe aspettare a decidere. Nel frattempo, lavora per un gelataio che ha un banchetto in una fiera della contea. Lì incontra Rayna (Breeda Lana), una donna già adulta, con una bellezza e un’esuberanza selvaggia. Rayna corteggia Joey, la porta a casa e la fa bere. Dopo una notte a base di sesso e alcool, Joey si risveglia e scopre che Rayna non è esattamente come se l’era immaginata: Rayna ha due figlie, un marito camionista spesso assente e vuole mantenere ben nascoste le sue inclinazioni omosessuali.
Joey cerca di convincere Rayna a lasciare suo marito, che evidentemente non ama e a ricominciare con lei ed i bambini una nuova vita, ma Rayna anzi incoraggia Joey ad arruolarsi, quando il marito perde il lavoro e quindi è sempre in casa. Quindi Joey si arruola, quando poi torna a casa per le feste natalizie, la relazione tra le due donne ricomincia. Ora Rayna ha cambiato idea, e spinge Joey ad abbandonare l’esercito e fuggire insieme.
Rayna però si rivela in realtà una persona non affidabile e mette nei guai Joey. Il marito di Rayna, che appariva rozzo e minaccioso, era forse il migliore dei due, probabilmente solo esasperato dalle continue infedeltà della moglie, con ragazzine che poi abbandonava.
Lo strano titolo ‘AWOL’ è una sigla che sta a significare Absent Without Official Leave, cioè assente ingiustificato; con questa sigla viene etichettato nell’esercito Usa, chi abbandona senza giustificato motivo il servizio militare.
La regista Deb Shova era rimasta colpita da un fatto di cronaca che parlava di una giovane soldatessa lesbica che aveva abbandonato il servizio militare ed aveva chiesto asilo in Canada. Si era così chiesta quali ragioni poteva aver avuto quella soldatessa per abbandonare l’esercito, se ragioni personali oppure politiche e morali. E visto che negli Usa il servizio militare è facoltativo, quali motivazioni avevano spinto quella ragazza ad arruolarsi?
Il film era nato nel 2010 inizialmente come un cortometraggio, con lo stesso titolo, che la Shoval aveva girato nella sua città di origine in Pennsylvania quando era ancora una studentessa. Grazie al successo incontrato con il cortometraggio, la Shoval ha poi deciso di ampliarlo in un lungometraggio. AWOL è un film con una bella storia, una ambientazione molto interessante in quella America rurale socialmente arretrata che noi europei non conosciamo e non capiamo. Come però molti altri film americani indipendenti a basso budget ha una impostazione e una recitazione piuttosto televisiva.
Ha concluso la serata
‘Theo et Hugo dans le Même Bateau’ di Olivier Ducastel, Jacques Martineau.
Voto:
Con la presenza dei due registi.
I due registi Olivier Ducastel e Jacques Martineau sono una presenza assidua ai festival LGBT, i due sono noti al pubblico gay per un discreto numero di film di successo, come “Le avventure di Felix”, “Questa casa non è un albergo” e “L’arbre et la forêt”.
Di ‘Theo et Hugo dans le Même Bateau’, il loro settimo lungometraggio, si è già detto molto. Il film è stato accolto con successo al 30mo Teddy Award della Berlinale e da noi ha avuto una calorosa accoglienza al TGLFF di Torino e al Festival MIX di Milano. Ormai celeberrima è la sua scena iniziale, un’orgia maschile della durata di venti minuti. Durata che Ducastel ha giustificato con il fatto che ha voluto girare tutto il film in tempo reale e 20 minuti sono la durata giusta per una attività sessuale di quel genere.
Il film ci racconta le prime ore della storia d’amore tra due giovani gay. Una notte, in un locale di cruising parigino, L’Impact, durante un’orgia, Theo vede il viso di Hugo ed è un colpo di fulmine. Pur continuando a fare sesso con altri, ad un certo punto i visi di Theo e Hugo si avvicinano e si baciano, poi finalmente i due arrivano a fare sesso tra di loro. Usciti insieme dal locale finalmente si presentano e hanno ancora voglia di fare sesso. L’orologio segna le 4,40 di notte.
Mentre pedalano insieme nella Parigi notturna a Theo nell’euforia scappa di dire che non ha usato il preservativo quando ha penetrato Hugo. Hugo, che è sieropositivo, ne rimane sconvolto e subito si informa su come può fare Theo per ottenere un trattamento urgente post-esposizione alla sieropositività. Theo, a sua volta arrabbiato, vuole recarsi al pronto soccorso da solo, ma Hugo lo segue. Quando poi i due escono dall’ospedale iniziano a girovagare per la città. In un girotondo di sentimenti, prima scoprono il piacere di conoscersi, poi riemerge in Theo la paura per il virus, poi i due tornano in sintonia amorosa. Le poche persone che li incontrano, un gestore di un Kebab e una donna anziana sulla prima metrò, percepiscono l’amore tra i due e si confidano volentieri con loro. Alle 5,59 i due sono ormai una coppia.
Questo film è innanzitutto una bellissima storia d’amore raccontata in una forma incredibilmente originale. Un altro suo grosso pregio è quello di fornire con grande chiarezza un esempio di quali possono essere i problemi di un sieropositivo al giorno d’oggi, fornendo anche informazioni pratiche molto utili su cosa bisogna subito fare appena si ha il dubbio di essere entrati in contatto col virus (una tri-terapia di 28 giorni). Informazioni importanti, per molti giovani d’oggi che probabilmente non hanno quasi mai sentito parlare di AIDS. Da segnalare la bravura dei due attori protagonisti Geoffrey Couet (Theo) e François Nambot (Hugo) che davvero sembrano avere la confidenza e l’intimità dei due amanti del film.
(teso di Roberto Mariella, video di Antonio Schiavone)