Cinema

Da Venezia 73 le recensioni del critico Sandro Avanzo - prima parte

Premessa: il calendario delle proiezioni di Venezia 73 è particolarmente complesso, con orari cruciali e numerosi accavallamenti tra i film in corsa per il Queer Lion, per cui potrà accadere che non si riesca a essere tempestivi con tutte le segnalazioni e le recensioni. Se si arriverà con qualche ora di ritardo, non ce ne vogliano i follower che cercano qui le info desiderate e mettano in campo un po’ della loro pazienza. Troveranno però via via le risposte a tutte le loro attese e alle loro curiosità di sapere.

 

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THE YOUNG POPE

di Paolo Sorrentino

Voto: stella4_5-5
Pertinenza LGBT: GG

Avreste mai pensato di sentire un papa inneggiare alla masturbazione, all’uso della pillola e ai matrimoni fra gay? Nella realtà non ancora, ma può succedere sullo schermo tv, come in una delle prime sequenze del serial “The Young Pope” firmato dal premio oscar Paolo Sorrentino in onda dal 21 ottobre sui canali Sky. Si tratta del sogno di un incubo del neo papa appena eletto? Per ora non è dato saperlo, dal momento che a Venezia 73 si son potute vedere solo le prime due folgoranti puntate, ma le premesse sono anticipatrici di sorprese shock come quelle accennate. Di certo si è visto che tra i tanti intrighi di potere entro le mura vaticane l’omosessualità ha un suo non trascurabile ruolo. Se sei un cardinale e il papa ti chiede se nel conclave hai votato a suo favore e tu non l’hai fatto, e se poi continua a chiederti se il tuo orientamento sessuale vira verso il tuo stesso sesso e tu sei gay, puoi anche far parte della cerchia dei cardinali più accreditati e potenti ma non potrai mai venir collocato al vertice degli uffici della formazione dei nuovi sacerdoti e di lì verrai rimosso. Fiction o realtà è un dato assodato! Immagini ricche, barocche, coloratissime, esteticamente belle da brivido raccontano un intreccio pieno di colpi di scena come ogni buon serial richiede; Sorrentino firma qui un’opera che non è di taglio televisivo, ma un film espanso che obbedisce ai dettami della tv solo per quanto riguarda i moduli di inizio e fine di ogni puntata atti a mantenere e far crescere la suspense, per il resto è cinema allo stato puro, cinema europeo per approfondimento delle psicologie dei personaggi e per tipo di inquadrature e montaggio… e non un semplice cinema ma un grande cinema!

 

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NOCTURNAL ANIMALS
di Tom Ford
Voto: stella4-5
Pertinenza tematica LGBT: G

Anche se il “nostro” Tom Ford introduce il soggetto gay in modo del tutto ininfluente sulla vicenda principale del suo “Nocturnal Animals“, non “ci” fa mancare alcuni momenti molto ghiotti, come la sequenza in cui riprende il marito dell’amica della protagonista. Elemento di spicco del mondo dell’arte contemporanea made in USA (ma tutt’altro che una macchietta), in elegante tait color viola-lavanda, di lui la moglie dice ironicamente “In fondo ci sono dei vantaggi nell’essere sposata a un gay: sei sicura che sarai per sempre l’unica donna della sua vita“. Ma in un altro momento il tema emerge con più significanza, nel racconto che la brava ed espressiva Amy Adams fa dell’incontro col proprio primo marito ai tempi dell’università. Il tramite tra loro era stato il fratello coetaneo ancora incerto e inconsapevole circa le proprie tendenze sessuali che frequentava come miglior amico l’affascinante Jacke Gyllenhall senza essere ancora cosciente che non si trattava di semplice amicizia, ma di passione amorosa. Toccante e pieno di vero affetto il ricordo della situazione ad anni di distanza quando Gyllenhall commenta con una punta di rimorso “non sono stato un buon amico, non l’ho più sentito da allora e non ho idea di quanto possa aver sofferto, dovrei proprio farmi di nuovo vivo con lui.” Sono gli unici momenti “omosessuali” di un film ottimo, tratto dal romanzo “Tony e Susan” di Austin Wright (in italiano in Edizione Adelphi), momenti inseriti in sceneggiatura da Tom Ford forse per non scontentare il suo affezionato pubblico gay ma anche per alleggerire il tono drammatico di una vicenda che vede al centro una affermata gallerista a cui un giorno vengono recapitate le bozze del romanzo dello scrittore con cui era stata sposata per un paio d’anni nel periodo universitario. Si tratta di un manoscritto pieno di violenza e di sofferenza (una famiglia aggredita nella notte sulle isolate strade del Texas da un gruppo di balordi violenti, la moglie e la figlia stuprate e uccise, il marito pieno di rimorsi e desiderio di vendetta, un disilluso tenente di polizia quasi in fase terminale di cancro che arriva a dare il proprio risolutivo contributo a base di armi e pallottole), un manoscritto la cui commovente lettura porterà in equilibrio i rispettivi debiti e crediti tra i due ex-coniugi. Ottima la sceneggiatura (qualcuno ha commentato “Ma avevamo bisogno che fosse proprio uno stilista a venirci a insegnare come si scrive un copione?“), di grande forza la regia (l’attacco notturno del branco in mezzo al buio del deserto, fatto solo di campi e contro-campi, tutto verbale, aggressione violentissima di soli sottintesi violenti e battute in parata e controffesa senza mai l’uso di una sola arma è quanto di più efficace si è visto nel genere dai tempi di “Il promontorio della paura“), interpreti azzeccatissimi in tutti i ruoli, anche in quelli secondari (addirittura titanico Michael Shannon come detective dallo sguardo sfuggente e dalle frasi spezzate ed essenziali, ma capace di grande pietà e compartecipazione emotiva); in sintesi un’opera seconda che per Ford è più di una conferma come regista dopo l’indimenticabile “A Single Man” di sette anni fa.

 

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L’ESTATE ADDOSSO
di Gabriele Muccino
Voto: stella2-5
Pertinenza tematica LGBT: GGG

C’è un parallelismo che lega “L’estate addosso” di Gabriele Muccino al film di Tom Ford, ed è l’analogia tra gli incontri fondamentali nelle coppie. Nel film dello stilista americano vediamo una sorella che si innamora del miglior amico del fratello (pure innamorato di costui), nel film del regista italiano transfuga negli USA vediamo un amico della sorella che finisce per innamorarsi del fratello di lei e finire insieme per formare una coppia alquanto solida. E’ la storia melodrammatica che viene raccontata dai due in un lungo flashback con tanto di crisi familiare, i genitori conservatori e cristiani integralisti che cacciano di casa il figlio degenere e la fuga liberatoria verso la salvifica San Francisco, città della libertà e della tolleranza. Il tutto mostrato in uno stile da telenovela latinoamericana, stile che non si capisce quanto premeditatamente voluto o casualmente riuscito. La coppia gay narra questa vicenda a due ospiti italiani freschi di maturità, Marco e Maria, che si trovano a condividere il classico viaggio di fine scuole superiori e che capitano a casa loro attraverso strane circostanze. Quella che doveva costituire una permanenza solo di qualche giorno nella capitale della West Coast, si tramuta quasi in un mese di ospitalità con tanto di conclusivo viaggio della felicità a Cuba. Prima c’erano stati lo scazzo perenne tra i due italiani (ma lo si sa già dall’inizio che “chi disprezza poi compera“), c’era stato lo scandalo davanti alla vita para-coniugale omosessuale vissuta apertamente da parte della ragazza così bigotta da essere soprannominata “suorina” dalle amiche, la considerazione di uno dei ragazzi americani che non si può vivere solo in funzione di un capitale da far fruttare, ma che forse il sogno di allevare cavalli può portare una maggior felicità e la spinta dell’altro a far in modo che quel sogno si possa avverare (“lavorerò io anche per te“)… tutta una serie di stereotipi e cliché che sono la parte più greve del film. E’ qui che il film di Muccino non funziona, qui dove presenta temi usurati ma facili da proporre, già predigeriti come un hamburger di MacDonald’s. Elementi di facile fruizione per un pubblico popolare a cui far credere di potersi emancipare ed entrare senza un processo di maturazione culturale e civica nell’epoca contemporanea in cui perfino i matrimoni tra persone dello stesso sesso sono diventati legali. Proprio come accade al personaggio di Maria che grazie all’attrazione fisica e intellettuale verso il bel Matt cancella in poche ore anni di pregiudizi e concetti morali ereditati e perseguiti trasformandosi da “suorina” in scatenata frequentatrice di disco lesbo/gay in una delle scene più ridicole della pellicola. Non si rimprovera qui a Muccino di aver fatto un film politicamente scorretto, ma di aver raccontato una storia composta di elementi plausibili sì, ma di esser ricorso ad argomenti di cronaca “alla moda”, alla ricerca di quel facile consenso popolare che ha viziato il suo cinema fin dai tempi di “L’ultimo bacio“. Non sono le vicende che racconta ad essere banali, è la mancanza di un loro spessore e complessità che fa del suo film una melassa para-televisiva con stretti rapporti di parentela con titoli come “Braccialetti rossi“. Sarà un caso che abbia scelto come protagonista un attore star del piccolo schermo come Brando Paciotto??? (… che comunque sfoggia un lato B nudo di tutto rispetto!)

 

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JOURS DE FRANCE
di Jérôme Reybaud

Voto: stella4-5
Pertinenza LGBT: GGG

Folgorati sulla via di Damasco! “Jours de France” era stato annunciato come un ottimo lavoro, ma non ci saremmo mai aspettati dal giovane Jérôme Reybaud un’opera di tale profondità e verità di psicologie e sentimenti. Al centro dell’azione un viaggio di quattro giorni attraverso le differenti lande della Francia, la metropoli, i distretti della provincia fatti di borghi pittoreschi e piccole città, perfino le Alpi al confine con l’Italia, ogni volta illustrati con la maniacale attenzione per le coordinate geografiche. E’ Pierre Thomas a intraprendere questo lungo viaggio su una potente Alfa Romeo. Una mattina prima dell’alba abbandona Paul, l’uomo che ama e con cui convive da almeno 15 anni. Perché lo faccia non ci viene detto, ed è il fulcro fondamentale di tutta la vicenda, noi vediamo solo il suo andare, seguiamo i suoi tanti incontri, le sue avventure erotiche, il suo peregrinare apparentemente senza una meta. Si lascia guidare dal caso, dai paesaggi, da un baedeker elettronico ai luoghi di incontri gay, dai messaggi erotici trovati sui muri dei cessi pubblici, da commissioni accettate più come recupero del proprio tempo passato che non per dovere o gratitudine. Il suo è un viaggio sentimentale alla ricerca di una solitudine fatta di ricchezza ma anche di povertà interiori, un percorso che gli permetta di capire cosa davvero si aspetti dagli anni che ancora la vita gli concederà. Lui, quarantenne, ha rapporti sessuali con il ventenne che vuole fuggire dal paesello, come col sessantenne che può scopare solo se il partner è un perfetto sconosciuto, come pure con l’etero che riesce ad affascinare ma che non è per nulla interessato al sesso gay. Del resto non hanno differente valenza gli incontri con l’ex insegnante di letteratura, con la cantante che si esibisce nei ricoveri per anziani, con l’ecologista che impreca per il cruising omosessuale quando deturpa la natura dei boschi isolati, con la quasi eremita ritiratasi nell’isolamento delle vette alpine. Il tour de France di Pierre Thomas è viaggio attraverso i corpi tanto quanto i luoghi, contrappasso del tormento che può dare l’unione e verifica di una stabilità di cui si son perse fiducia e prospettive. Dall’altro lato c’è il compagno Paul che non si limita ad aspettarlo a casa, ma lo segue per tutto il paese utilizzando Grindr. Per non togliere la sorpresa del finale dei due diversi ricercare non diremo il finale, ma ci limitiamo a riferire che il film contiene numerose sequenze ad alto tasso erotico… e non è detto che quelle più eccitanti siano le più esplicite (indimenticabile la scopata dei due corpi maschili nudi e separati dalla parete della stanza d’albergo!!!). Si respira aria del cinema di Rivette, di Téchiné, di Guiraudie, di quel Vecchiali a cui l’autore aveva dedicato nel 2012 il documentario “Qui êtes-vous Paul Vecchiali?“, di quel cinema francese che tanto ha contribuito alla affermazione e alla diffusione della cultura gay.

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Pamilya ordinaryo (Ordinary People)
di Eduardo Roy Jr.

Voto: stella2_5-5
Pertinenza LGBT: G

Se i responsabili del Queer Lion avessero avuto modo di vedere in anticipo il film filippino “Ang babaeng humayo” del regista Lav Diaz probabilmente non l’avrebbero ammesso al concorso. Non per mancanza di valori specificamente cinematografici dell’opera che pure sono di alto livello, quanto per la scarsità di temi gay in esso trattati. Un transessuale, ma forse sarebbe meglio definirlo un travestito, è effettivamente presente e ha un ruolo di rilievo nell’azione, perché il suo rapimento di un neonato alla giovanissima madre segna l’avvio di tutta la storia, ma la sua presenza sullo schermo si limita a un paio di sequenze. A onor di cronaca vanno segnalate un altro paio di brevi episodi relativi al padre del bambino che si prostituisce in auto per raccogliere il denaro che gli permetterà di pagare il bus con cui andare alla ricerca del figlio, e al pestaggio di un gay nel momento in cui il rapimento diventa un caso mediatico televisivo e a quel punto tutti i gay sono considerati rapitori e come tali legittimati nell’essere pestati. Nulla di più in un film girato quasi per intero con la camera a spalla che attraverso la vicenda del bimbo rapito alla coppia di diciassettenni, e della loro disperata ricerca del piccolo per le strade e i quartieri di Manila mostra il degrado ma anche la vita pulsante nei rioni più fatiscenti e miseri del paese. Interessante e vitale quasi più come film di documentazione antropologica che non come film di fiction.

 

avanzo-sandro60Sandro Avanzo

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