Dal sito ufficiale del Torino Gay & Lesbian Film Festival
Dal 4 al 9 maggio 2016 a Torino, nella città in cui è nato, presso la Multisala Cinema Massimo del Museo Nazionale del Cinema si svolgerà la 31a edizione del TGLFF – Torino Gay & Lesbian Film Festival, consolidatosi negli anni come un punto di riferimento irrinunciabile per il panorama cinematografico nazionale e internazionale. Come ha dichiarato il direttore Giovanni Minerba, «Il claim di quest’anno, Infiniti sensi, precise direzioni, sintetizza il lavoro di ricerca svolto in trentuno anni di festival».
Il Direttore Giovanni Minerba e lo scrittore Alessandro Golinelli presentano la 31ma edizione del TGLFF
PRECISE DIREZIONI di Giovanni Minerba
Buio in sala, luce sullo schermo, filo rosso per entrare nel 31° Torino Gay & Lesbian Film Festival, la finzione che si mescola alla realtà nel raccontarla, riannodarla, ricostruirla. Questo Festival continua a essere un luogo aperto e disponibile allo scambio, al confronto, al rispetto, per aiutare a creare una società più giusta, più libera, più moderna, più attenta. Ma pur se molte cose cambiano, l’Italia continua a essere lontana dalla piena attuazione del dettato costituzionale che sancisce la pari dignità sociale di tutti i propri cittadini.
Continuo a chiedermi per quanto ancora dobbiamo soltanto tenere a mente e non vedere concretamente realizzato e attuato quanto disse il Presidente Obama nel suo discorso di insediamento: «La nostra missione non sarà completa fin quando i nostri fratelli e sorelle, gay, lesbiche, trans, non saranno trattati come chiunque altro davanti alla legge». Noi portiamo verso il nostro pubblico un amore lungo anni, un amore che ha osato finalmente dire il suo nome, e che oggi chiede di essere riconosciuto, tutelato, legittimato e protetto come tale, come qualunque altro amore.
Pur conoscendo volti e nomi degli antagonisti (e dei protagonisti!), restano gli stimoli a continuare, senza soste né sconti, a proporre la magia del Cinema. Perché le proposte sono state sempre generate dal cuore, dalla sapienza, dalla ricerca, anche dall’occasionalità, ma soprattutto dallo spirito del confronto, possibilmente costruttivo.
Noi non facciamo altro che continuare semplicemente a essere noi stessi, reagiamo imperterriti, eternamente ostinati a fare il nostro mestiere, perché c’è qualcosa che non riusciranno a toglierci mai: il pubblico. Siete voi, la vostra stima, il vostro affetto, il pensiero a Ottavio, a guidare le nostre scelte, a comporre il codice e il filo artistico che legano fra loro ogni titolo programmato e a far sì che si compia la magia dello schermo.
Per una volta ancora, siano questi film a continuare a cambiarci la vita.
Nei ringraziamenti non rituali è bene ricordare che non saremmo qui senza il determinante appoggio e contributo del Ministero dei Beni e delle Attività Culturali, della Regione Piemonte, della Città di Torino e della Fondazione CRT, i pochi ma coraggiosi sponsor e partner, senza la vigile e decisiva presenza del Museo Nazionale del Cinema. Buon Festival!
A PARTIRE DA STONEWALL di Alessandro Golinelli
Può capitare di risvegliarsi una mattina e di trovarsi all’improvviso cambiati, cresciuti, adulti. È ciò che è successo al trentunenne TGLFF perché anche il cinema a tematica gay e la società occidentale, compresa quella italiana, sono maturati. Non si diventa adulti all’improvviso, però, come ci ricorda il film Stonewall di Roland Emmerich, non a caso titolo di apertura del festival, ci sono voluti anni di lotte. Ma ora, il cinema gay non può più solo raccontare di amori impossibili o nascosti, o di battaglie per la parità dei diritti. L’interrogativo non è più se svelarsi al mondo, ma cosa significa amarsi, come si costruisce un amore, senza più la scusa di una società che lo ostacola, che lo rende impossibile appunto, come è sempre stato. È questa la domanda che sottende numerose pellicole quest’anno, specie in concorso, come Kater, il film austriaco già vincitore del Teddy 2016 alla Berlinale, dove un gesto insensato interno alla coppia impone un lungo calvario a un legame felice e perfettamente inserito nella società; come Stuff, dove la crisi in una coppia lesbica con due figlie nasce per i soliti motivi: stanchezza, routine, tentazioni, e non per pressioni esterne. O come Those People, che intreccia le vite di tre rampolli dell’alta borghesia newyorchese dove i pregiudizi sociali vengono resuscitati a sostegno dei propri. È il tema di fondo, l’amore nel mondo post Stonewall, di Théo e Hugo dans le même bateau di Olivier Ducastel e Jacques Martineau, una riflessione sulla responsabilità, la sincerità, la fisicità, dopo una notte di sesso libero e non protetto, in un’epoca post Aids, consapevole. O anche di Beautiful Something, una pellicola della sezione Extra, dove quattro giovani gay di Philadelphia non possono incolpare la società per la loro infelicità, per la difficoltà a trovare la quadratura tra le varie combinazioni di sesso e amore. E senza dubbio la liberazione sessuale è al centro delle lezioni del professore di filosofia, che coinvolge un discepolo nella ricerca del pansessualismo, nel film del raffinato regista taiwanese Scud, Utopians, dove rispunta l’utopia di un sesso senza confini e definizioni dopo anni passati a costruire identità, o precise direzioni, come dice il claim del festival, pur influenzate da infiniti sensi, anche inesplorati.
La direzione che ci indicano però altri due film in concorso è forse la più sorprendente, il ribaltamento di fronti: l’omosessuale non è più soggetto debole della storia, come nel mondo pre Stonewall, anche nelle situazioni nelle quali era sempre costretto ad esserlo. Come nell’amore impossibile tra gay e etero. Invece Wo willst du hin, Habibi?, mette in scena un gay liberato, addirittura musulmano, che tesse con leggerezza e disincanto la tela della seduzione nei confronti di un bad boy, fino all’happy end, per nulla scontato. O come nel rapporto col padre, dove era spesso il figlio gay a perdere, mentre Viva ci racconta di una giovane drag queen a L’Avana capace di amare il padre, ex pugile violento e omofobo, sino all’ultimo istante, sino a riconquistarlo con sensibilità, determinazione, forza.
In un modo meno drammatico, anzi fin troppo ottimistico forse – uno dei meriti del cinema e del nostro festival è saper essere un passo avanti – il rapporto padre figlio viene ribaltato anche in ben quattro cortometraggi: Xavier, dove un padre capisce e sostiene le inclinazioni omosessuali del figlio ancora bambino, Nasser, dove una ragazzina musulmana che ama vestirsi da uomo riceve dal padre l’approvazione negatale dalla madre, Lost and Found, dove è il temuto genitore a togliere dai guai il figlio ricattato per i suoi gusti sessuali, e Crossroads, dove un ragazzo sottovaluta l’amore del padre dopo una reazione violenta. Il ribaltamento di scena, poi, è il tema anche di un film del Premio Queer, Girls Lost, dove un trio di ragazze tormentate dai bulli si trasforma in maschietti bevendo un nettare magico.
Ma il cinema gay si dimostra adulto perché è capace di guardare il passato con indulgenza, ammirazione, coma fa anche il festival con gli omaggi a Ettore Scola, con Una giornata particolare preceduto da un video dello sceneggiatore Maurizio Costanzo, David Bowie, geniale creatore di videoclip e attore, oltre che grande musicista, e la proiezione di Un Chant d’amour per ricordare Jean Genet e rendere omaggio a Gianni Rondolino.
Tra i film in concorso, Summertime racconta un amore non del tutto impossibile nell’epoca del femminismo degli anni ’70, in Francia, tra una giovane campagnola e una cittadina più matura. Holding the Man ci trascina in una storia d’amore che ha fatto scandalo nell’Australia degli anni Settanta, seguendo l’autobiografia di uno dei due protagonisti, con un occhio di ammirazione, perché riconosce che quel legame non si è lasciato corrompere dagli ostacoli della società. Come testimonia anche Remembering the Man, un quasi making-off del film, con testimonianze dei protagonisti reali. Anche California, un film del Premio Queer, si guarda indietro con la stessa indulgenza e ammirazione, raccontando l’iniziazione amorosa di due adolescenti negli anni Ottanta in un Brasile terrorizzato dai primi casi di Aids. E altrettanto teneramente, Big Father Small Father and Other Stories mette sotto la lente del disincanto le disavventure di tre giovani nel Vietnam anni ’90, alle prese con la miseria e la lotta per la sopravvivenza. Il Premio Queer, però, incentrato su nuovo cinema, giovani autori e protagonisti adolescenti, ripropone per forza di cose i temi classici della giovinezza, anche dello stesso cinema a tematica: come la confusione sessuale, le domande impossibili, la paura della propria diversità, il desiderio di approvazione e le pulsioni autodistruttive di Connor Jessup, protagonista traumatizzato ma determinato, di Closet Monster, o del gruppo di ragazzini sbandati del durissimo film spagnolo The Heroes of Evil. Turbamenti interiori, motivati dalla propria peculiarità e non principalmente dall’ambiente ostile. In ogni caso i giovani registi non rappresentano più gli omosessuali come i deboli del gruppo. Questi sono comunque più avanti dei genitori, come in Barash, dove una diciassettenne innamorata di una compagna di scuola mette in crisi con tenacia e coraggio le ipocrisie della società israeliana, ufficialmente liberata. O in O ninho, di Filipe Matzembacher e Marcio Reolon, dove il protagonista intraprende un coraggioso e sorprendente viaggio alla ricerca del fratello gay scomparso. Per inciso, anche molti cortometraggi propongono giovani coraggiosi: come il protagonista di Perpetual, che organizza la sua propria iniziazione, o come la ragazzina protagonista di Victor XX, capace di combattere i pregiudizi degli eterosessuali e delle lesbiche nei suoi confronti di transgender. O come il sedicenne abusato durante il college in Lost Years, il bambino che affronta il padre gay in Double Negative, il giovanissimo gay che sfida i bulli in un gioco pericolosissimo in En la azotea, e infine i ragazzi iracheni che gridano la loro omosessualità dai tetti di Bagdad in The Society.
Nel cinema gay adulto, sulle direzioni prevalgono le sensazioni, perché gli autori, sollevati dal peso di dover raccontare l’emarginazione, sembrano avere minori limiti tematici, e il coraggio di porsi domande originali: così si chiede quanto l’essere omosessuali influenzi la nostra percezione dell’immigrazione, come nel film Die Geschwister dove un giovane gay ha a che fare con una strana coppia fratello/sorella di immigrati clandestini. O ci si chiede se essere lesbiche cambi la concezione del potere come nel sontuoso ritratto della regina Cristina di Svezia, The Girl King, di Mika Kaurismaki. Oppure, per citare ancora i cortometraggi, si ipotizza che l’Alzheimer ci permetta di rivivere il passato come avremmo desiderato, in Wayne; che un gay nel futuro, per le sue indecisioni, abbia modificato irrimediabilmente il passato, come in The Future Perfect; che un giovane che tenta il suicidio riceva un miracoloso aiuto in Trigger; o che un anziano possa sostituire l’amore della sua vita cercandolo in discoteca come in Mr. Sugar Daddy, o che, ancora, un ragazzino del Settecento si risvegli ai giorni nostri, come in Merletti e Borotalco, un corto italiano.
A riprova che anche la società italiana è cambiata basta la qualità dei prodotti cinematografici nazionali, che non è mai stata superiore a quest’anno, dai documentari La Tarantina, su un noto “femminiello” napoletano e Lina Mangiacapre: artista del femminismo. Segno di maturità del nostro cinema, raggiunto anche grazie al fatto che istituzioni come il Centro Sperimentale di Cinematografia hanno cominciato a produrre corti a tema da alcuni anni, con risultati sempre più convincenti come il già citato Merletti e Borotalco, Colla, suadente e poetica notte di iniziazione a Procida, o La Tana, su un incontro fortuito tra due ex amanti in villeggiatura e il documentario Al di là dello specchio. Ma anche gli indipendenti ottengono risultati, con il bel film sul bullismo Bullied to Death del pluripremiato Giovanni Coda, lo struggente corto in concorso, SkSonderkommando, su una storia gay nei lager nazisti, o Misteriosofica fine di una discesa agli inferi di Giuseppe Bucci.
Ma il mondo non è cambiato in meglio dappertutto. Gli omosessuali sono ancora messi a morte come ci ricorda l’intenso The Culprit, ambientato in Iran. Integralismo religioso e arretratezza culturale fanno sì che l’omosessualità sia illegale in molti paesi e in altri si possa comunque essere sottoposti ad abusi, anche nel mondo post Stonewall. Per questo il festival ha voluto mettere l’attenzione su alcune pellicole come Fair Haven, su un ragazzo reduce da una clinica per curare l’omosessualità, Oriented, su tre giovani gay palestinesi costretti a vivere in Israele, o Henry Gamble’s Birthday Party, dove una festa di compleanno diventa l’occasione per sfogare i propri pregiudizi e le proprie tensioni su un giovane ospite gay.
Ma il TGLFF è nato con uno spirito rivoluzionario, con la volontà di strappare un velo, dallo schermo e dal mondo. Così si è voluto puntare un riflettore sulla Tunisia, dove l’omosessualità è illegale e combattuta dall’integralismo religioso. Un paese dove oggi, però, si è acceso un dibattito; una società giovane, dove il movimento gay è alle prime armi, esattamente come accadeva da noi quando Giovanni Minerba e Ottavio Mai hanno creato il festival. Due cortometraggi ci daranno l’occasione di capire se la rivoluzione dei gelsomini sia completamente sbocciata, Face à la mer, un sorprendente coming out, un classico del cinema gay dei primi anni, e Boulitik, su altro tema immortale, l’ipocrisia. Lo stesso che affronta, con ironia e leggerezza, Baby Steps, il film che chiude il festival e che mette a nudo le falsità dei parenti di fronte a una coppia gay che vuole un figlio con l’utero in affitto. Non da noi, a Los Angeles…
L’IMMAGINE GUIDA
L’immagine guida di quest’anno rappresenta l’identità proteiforme, vulcanica, sensibile, di un Festival attento ad accogliere creatività e storie differenti, a proporre vite sottotraccia e provocazioni, a stimolare dibattiti e riflessioni. Sempre lungo una linea di coerenza etica e sociale, che ha contribuito e contribuisce a definire i valori della nostra contemporaneità. L’audacia ha in sé genio, potere, magia.
IL VERNISSAGE E IL FINISSAGE
La serata di apertura che si svolgerà il 4 maggio alle 20.30 prevede la proiezione in anteprima italiana di Stonewall di Roland Emmerich (USA, 2015). Il film scelto per il vernissage, diretto dal regista tedesco, è interpretato da Jeremy Irvine, Jonathan Rhys Meyers e Vladimir Alexis. La pellicola racconta la storia di Danny Winters, cacciato di casa perché gay, che si trasferisce a New York nel 1969 ed entra in contatto con la nascente scena LGBT del Greenwich Village.
La serata di chiusura (9 maggio, ore 20.30), durante la quale verranno annunciati ufficialmente i vincitori, prevede, la proiezione in première italiana di Baby Steps di Barney Cheng (Usa/Taiwan, 2015), primo lungometraggio del regista, prodotto da Li-Kong Hsu, storico produttore di Ang Lee.
I NUMERI
L’edizione di quest’anno avrà in programma 84 film, tra lungometraggi, cortometraggi e documentari, che sono rappresentativi della pluralità di voci proprie del cinema LGBT. Si contano ben 54 anteprime italiane, 2 anteprime europee e 9 anteprime mondiali. Le nazioni più rappresentate, con 18 film, sono gli USA e l’Italia, a cui è dedicata la sezione Km 0: gli italiani. Spiccano poi la Germania, con 8 titoli, il Regno Unito con 6, Canada e Francia, entrambi con 5 pellicole. Tra le altre, si segnalano opere dall’Iraq (in coproduzione con la Germania), dal Vietnam, da Taiwan e da Cuba. Un’attenzione particolare sarà riservata a India e Tunisia. Verranno assegnati 5 premi: il Premio Ottavio Mai, individuato da una giuria di 3 esperti composta dal direttore della sezione Panorama della Berlinale e creatore del Teddy Award, Wieland Speck, la cantante Paola Turci e l’attore Alessandro Borghi; il Premio Queer e il Premio al miglior cortometraggio, che potranno contare su due giurie composte dagli studenti del DAMS dell’Università degli Studi di Torino e dell’Agenzia formativa tuttoEuropa. Il pubblico assegnerà poi due riconoscimenti: il premio The Best Torino al miglior lungometraggio (scelto tra i titoli del Concorso lungometraggi e del Premio Queer) e il premio per il Miglior cortometraggio.
I FILM E GLI OMAGGI
Il 2016 è stato già segnato dalla scomparsa di importanti personalità artistiche e culturali, che hanno lasciato una grandissima eredità. Fra questi, durante il 31° TGLFF saranno ricordati: Gianni Rondolino, con la proiezione di Un chant d’amour di Jean Genet (Francia, 1950), opera da cui rimase impressionato dopo averla vista al 7° TGLFF; David Bowie, del quale sarà ripercorsa la vita artistica con una selezione dei suoi videoclip più significativi curata in collaborazione con il festival Seeyousound, e Ettore Scola, con Una giornata particolare (Italia, 1977) nella versione restaurata dalla CSC-Cineteca Nazionale presso il laboratorio L’Immagine Ritrovata di Bologna (con la supervisione di Luciano Tovoli). Alla proiezione, che sarà preceduta da un videomessaggio di Maurizio Costanzo, sarà presente la figlia Silvia Scola.
Fiore all’occhiello della programmazione: Chemsex (Uk, 2015) di William Fairman e Max Gogarty. Il film racconta sedici storie legate a una pratica divenuta emergenza nella comunità gay londinese e non solo: il chemsex, una combinazione di sesso e droghe sintetiche, usate per far cadere le inibizioni in un contesto sessuale estremo. Saranno presenti il regista William Fairman e il medico David Stuart, fra i protagonisti del documentario.
Gli “infiniti sensi” di quest’anno si esprimeranno anche con una nutrita partecipazione di film italiani, a testimonianza della grande attività dei registi nostrani. Fa il suo ritorno al TGLFF il cagliaritano Giovanni Coda che, dopo aver partecipato, nel 2013, con Il rosa nudo (che ha ricevuto diversi riconoscimenti), porterà a Torino il suo nuovo lavoro Bullied to Death (Italia/Usa, 2016). Uno spazio del festival, poi, sarà dedicato interamente al Centro Sperimentale di Cinematografia con quattro titoli. Si tratta dei cortometraggi La tana di Lorenzo Caproni, Colla di Renato Muro e Merletti e borotalco di Riccardo Di Mario, Lilia Miceli, Anna Peronetto e Sara Tarquini, quest’ultimo prodotto dal Dipartimento animazione del CSC Piemonte. In programma anche il documentario Al di là dello specchio di Cecilia Grasso, che narra la storia delle Eyes Wilde Drag, gruppo di performer e attiviste che, dal 2007, realizza spettacoli e laboratori per diffondere l’arte legata al mondo delle drag king. Premiato come miglior documentario ai recenti Teddy Awards della Berlinale e presentato al Sundance 2016, Kiki di Sara Jordenö (Svezia/Usa, 2016) farà invece parte della selezione fuori concorso del 31° TGLFF. “Kiki” è un movimento di arti performative, diffuso a New York, che funge da collante per la comunità LGBT afroamericana. Al documentario, in veste di coautore, ha collaborato il ballerino e attivista Twiggy Pucci Garçon, da anni impegnato nell’organizzazione e nella promozione di eventi nel Bronx. Per sancire, una volta di più, il legame tra i Teddy Awards e il TGLFF, quest’anno sarà proiettato Welcome All Sexes: 30 Jahre Teddy Awards di Rosa von Praunheim, omaggio del regista alla manifestazione berlinese.
I TEMI
Le tematiche dei film, in concorso e fuori concorso, spazieranno dalla religione ai rapporti affettivi e sessuali, dal bullismo ai rapporti familiari che saranno ad esempio protagonisti del film Né Giulietta, né Romeo (Italia, 2015) di Veronica Pivetti che sarà presente al festival e protagonista di un dibattito organizzato con l’Ordine degli psicologi del Piemonte e il Coordinamento Torino Pride sabato 7 maggio alle 10.30. Alla religione, analizzata in una più ampia accezione di rapporto dei vari credo con la vita di tutti i giorni e con alcuni fenomeni sociali, sarà dedicata la sezione Liberaci dal male, composta da sei film e alcuni eventi speciali.
IL TGLFF ANCHE PER I BAMBINI
Per il Torino Gay & Lesbian Film Festival la cultura è un diritto: per questo motivo la programmazione ogni anno è pensata per poter abbracciare un pubblico il più vasto ed eterogeneo possibile. In quest’ottica e in controtendenza con un diffuso modo di pensare che considera i bambini e il mondo LGBT due mondi distanti e inconciliabili, il TGLFF, in collaborazione con Giovani Genitori e Famiglie Arcobaleno, ospita per il terzo anno consecutivo Cinema con bebè, iniziativa rivolta a tutte le famiglie con bambini. La mattina di domenica 8 maggio verrà proiettato il film d’animazione Il viaggio di Arlo di Peter Sohn, con una formula su misura per i più piccoli e per i loro genitori: volume ridotto, luci soffuse, fasciatoio, merenda, scalda biberon e passeggino parking.
Il Torino Gay & Lesbian Film Festival è amministrato dal 2005 dal Museo Nazionale del Cinema di Torino e si svolge con il patrocinio del MiBACT – Direzione generale per il Cinema, della Regione Piemonte e del Comune di Torino.
Il Torino Gay & Lesbian Film Festival è online su: www.tglff.it
I FILM DEL CONCORSO LUNGOMETRAGGI