Incontro promosso dal Circolo Culturale TBGL, Harvey Milk presso la sede del Guado di Via Soperga 36 Milano. Presente l’autore con Alessandro Rizzo e Ivan Cattaneo – 8/4/16
Venerdì 8 aprile scorso, abbiamo potuto assistere ad un incontro molto interessante e divertente organizzato dal Circolo Harvey Milk e dal suo responsabile culturale Alessandro Rizzo, presso la sede del Guado (Cristiani omosessuali) in via Superga 36 a Milano.
L’occasione è stata la presentazione, finalmente a Milano, dell’ultimo libro di Bruno Casini ‘Sex and the World. Viaggi gay e rock’nroll‘ (Zona Editrice). Noi tutti già conosciamo bene Bruno come Direttore Artistico del Florence Queer Festival. Con Bruno era presente Ivan Cattaneo, che oltre ad essere un cantante di successo ed un pittore, è stato negli anni ’70 uno dei primi protagonisti del movimento per i diritti degli omosessuali. Chi conosce Bruno sa bene che è un oratore appassionato e instancabile, non tutti nel pubblico però sapevano che la stessa cosa si può dire di Ivan Cattaneo. Bruno e Ivan hanno involontariamente gareggiato in cultura storica, acutezza di ragionamento e umorismo, parlando non solo del libro, ma anche delle tante facce del mondo gay dagli anni ’70 ad oggi: i viaggi, la musica, la libertà sessuale, i libri, la nascita del movimento LGBT, i festival del Parco Lambro, l’AIDS, il rapporto tra le diverse generazioni di gay.
Hanno contribuito a rendere ancora più interessante la serata i preziosi interventi dal pubblico di Paolo Rumi, Willy Vaira e Teodoro Scorcia.
Il BANANA MOON
Ivan C.
Bruno Casini negli anni ’70 (dal 1977) era il fautore a Firenze di un meraviglioso locale, il ‘Banana Moon’, un locale veramente alternativo. Non c’erano etichette, non era un locale gay, era una specie di centro sociale ante litteram. C’era questo grande salone con dei i letti coi cuscini, dove poi si dormiva. Era un locale veramente bello anche perché erano belli i tempi, ci si sentiva veramente liberi, alternativi. Non ci si sentiva gay, ci si sentiva liberi, liberi insieme agli altri. Come diceva Mario Mieli, la rivoluzione sessuale avviene attraverso tutti i generi, non può avvenire solo per le femministe o per gli omosessuali: o avviene assieme a tutti gli altri, nello stesso tempo, oppure ci sarà sempre un gradino ancora da fare. Al Banana Moon ci si trovava tutti: hippy, lesbiche, femministe, omosessuali, artisti e poeti, tutti che facevano capo a Bruno, perché lui era un trait d’union, un galvanizzatore di tutte queste energie. C’era lui, poi c’era Fiorella con suo marito che si chiamava Alberto. La prima volta che ho conosciuto Firenze, l’ho conosciuta proprio lì. E allora Firenze aveva una marcia in più rispetto a Milano. Perché a Milano non c’era ancora un ‘Banana Moon’ vero e proprio. C’erano altre situazioni, magari più avanti per certi versi. C’erano i gay che si riunivano negli appartamenti, come le sette carbonare. Ci si trovava tutti insieme, Mario Mieli, Corrado Levi… era molto bello però mancava la parte pubblica. Forse Firenze aveva meno privato e più pubblico, perché si era più portati a eliminare le etichette di gay e non gay. A Bruno va questo grande onore, di avere iniziato questo spazio, che poi purtroppo è stato chiuso, dopo solo tre anni – come sempre in Italia.
Bruno C.
Era un periodo molto diverso da oggi. Le prime uscite Ivan le ha fatte proprio al ‘Banana Moon’, facendo concerti. Con un pubblico anche molto severo e critico, perché se ti ricordi, ci furono anche delle contestazioni, che tu risolvesti benissimo, chiacchierando con il pubblico. Ci sono stati poi gli spettacoli di Mario Mieli, i concerti di Jimmy Onano, di Roberto Polce, i ‘Trousse, Merletti e Giarrettiere’ in cui militava una giovanissima Platinette. Il teatro gay al Banana Moon ha sempre trovato spazio. Ricordo anche Dominot e Alfredo Cohen, che purtroppo non ci sono più. Tra l’altro so che il festival di Torino quest’anno dedica una cosa ad Alfredo Cohen. Cohen fece un bellissimo disco, prodotto da Franco Battiato; ‘Come barchette dentro un tram’, peccato che la IT Records, l’etichetta che lo stampò e lo distribuì, non lo ha più ristampato. Pochi anni fa lo ha ristampato una piccola etichetta di Padova.
Io in questo mio libro ‘Sex in the World’ ho messo molto di quel periodo, ci sono tutti i miei viaggi dagli anni ’70 ad oggi, l’ultimo è del 2009. Dopo aver scritto il libro sul Banana Moon, il libro sui Litfiba, il libro sulla moda ‘Felici e Maledetti’ e ‘Ribelli nello spazio’ sugli anni 70′, ho pensato: ‘nel prossimo libro voglio parlare di me, voglio raccontare un po’ della mia storia’ e l’ho fatto attraverso i miei viaggi. I viaggi sono importanti perché arricchiscono, sono esperienze fondamentali che ti portano sempre cose positive. Cosi ho cominciato a scrivere questi racconti. Ma la cosa è nata un po’ per caso. Mi piace che ci sia qui anche Ivan perché Ivan, è tra l’altro presente nella mia discografia consigliata: io consiglio i suoi primi tre dischi, che sono fondamentali per quel periodo. Il primo disco di Ivan uscì nel 1975, ‘UOAEI ‘per Ultima Spiaggia, poi uscì ‘Primo secondo e frutta (Ivan compreso)’, il terzo ‘Superivan’ e tra l’altro sono tutti dischi oggi ricercatissimi, valutatissimi, alle mostre del disco raro hanno dei prezzi pazzeschi. Per noi del Banana Moon, appena Nanni Ricordi ci mandò il suo primo disco, Ivan Cattaneo diventò il primo della classifica. Mi ricordo che arrivò con delle basi e la chitarra, perché allora non c’erano i musicisti; ci furono due concerti molto belli e Ivan rimase con noi diversi giorni. Il bello del Banana Moon era che gli artisti convivevano con noi nei giorni di programmazione, quindi al di là del rapporto artistico, c’era anche un rapporto di grande amicizia. Alla sera c’era lo spettacolo, ma poi il giorno, tutti a pranzare insieme, a girare insieme per la città. Così è stato per Mario Mieli, Alberto Camerini, Alfredo Cohen, Dominot, gli Skiantos, per tutti quei musicisti che son passati in quel posto che oggi purtroppo non esiste più.
Negli anni settanta, ci sono stati festival, campeggi, riviste… usciva il Fuori, usciva Lambda, riviste importanti su cui hanno scritto importanti protagonisti che tutt’oggi noi leggiamo. In quel periodo c’era probabilmente più coraggio culturale, da parte degli spazi. Il Banana Moon era uno dei tanti punti di riferimento in Italia che producevano e programmavano. Io mi ricordo che c’erano rassegne di teatro omosessuale a Milano al teatro Pierlombardo, a Roma al teatro in Trastevere, c’era il Convento Occupato a Roma, il Centro di Controcultura di via Maroncelli qui a Milano che era la sede di Re Nudo, lo stesso Macondo, locale storico milanese degli anni ’70, organizzava incontri. I locali erano più luoghi di incontro e di discussione. Allora erano tempi forse più difficili di quelli di oggi però estremamente più esplosivi. Per me il fatto di andare al Parco Lambro da Firenze, mentre lavoravo al Banana Moon e militavo nel Fuori, era una cosa molto importante. Oggi mi sembra che la situazione sia molto cambiata. Oggi è solo l’associazionismo che fa queste cose, ma se tu esci dall’associazionismo e vai nei i locali storici che ancora esistono dagli anni ’70, non fanno più questo tipo di militanza culturale.
Bruno Casini e Ivan Cattaneo
VIAGGI E LIBRI
Bruno C.
Ho cominciato a scrivere questo libro così per caso, mi sono detto ‘mah, non so se poi uscirà’, poi il mio editore mi ha spronato a pubblicarlo. Attraverso i viaggi io racconto veramente tutto quello che è successo nella mia vita: la musica, le esperienze erotiche, i festival, i concerti … In molti di questi racconti si parla dei viaggi per andare ai concerti. Uno di questi parla di quando andai a vedere gli Stones a Zeltweg in Austria e devo dire che gli Stones vanno visti almeno una volta nella vita, perché è un’esperienza unica, pazzesca, un rito magico. In un altro racconto parlo del concerto degli U2 a Torino, allo stadio delle Alpi, con un giovanissimo Ligabue che apriva il concerto come supporter. Ma poi ci sono i viaggi a San Francisco, a New York, a Berlino, la Berlino degli anni 80′ divisa dal Muro, insomma tutti quei viaggi che mi hanno arricchito, e devo dire che ogni viaggio è stato una sorta di vademecum, perché in ognuno c’era sempre qualcosa da conoscere. La cosa bella è stata raccontare la notte, raccontare il giorno, raccontare i libri, perché poi nei viaggi ci si porta dietro anche i libri, tutte le letture che ci sono passate tra le mani dagli anni settanta ad oggi: da ‘Elementi di critica omosessuale’ di Mario Mieli, che per me è stato un po’ il libro che mi ha più sconvolto, era stata la sua tesi di laurea e usciva per Einaudi, una casa editrice molto ufficiale e poi ‘Cent’anni di solitudine’ e i libri di Tondelli negli anni ottanta, i libri di Leavitt , il clubbing, le notti che non finivano mai, questi anni ’80 voraci e coinvolgenti. Insomma racconto un po’ tutte queste storie. Finisco con l’ultimo racconto, che è la storia del Florence Queer Festival. Quest’anno è la quattordicesima edizione che facciamo, è un festival fatto da volontari, sul cinema LGBT; facciamo vedere produzioni indipendenti, documentari, clip, corti, film autoprodotti, insieme a libri, mostre e teatro. Ho voluto chiudere con il Florence Queer Festival perché per noi è una cosa molto importante per Firenze.
I viaggi che facevamo negli anni settanta erano viaggi veramente molto avventurieri, improvvisati. Oggi spingi un pulsante e compri tutto, albergo, biglietti, concerti, in cinque secondi ti costruisci un percorso in tutto il mondo. All’epoca c’era il sacco a pelo, lo zaino, i libri, le cassette, perché c’erano ancora le cassette, e partivi. Nel 1975 io vado a Kabul in Afghanistan con una 127 Fiat. Tre mesi a Kabul, Herat , Kandahar , Bamiyan e Band-e Amir… Quell’itinerario era pazzesco. All’epoca in Iran c’era lo Scià di Persia, era praticamente America, in Afghanistan c’era il regno, era un’oasi hippy, freak, si andava lì non solo per vedere Bamiyan e Band-e Amir , ma anche per fumare hash. In questo percorso ti costruivi la tua identità: conoscenze, amicizie, letture, musiche… Molto spesso era la musica che ti coinvolgeva con gli altri.. Che cosa ascolti? Io ascolto Led Zeppelin. Io ascolto Crosby, Stills, Nash & Young. L’oriente è stato un mio mito, un mio pallino. Dal 1973 al 1975 ho fatto la Tunisia, l’Algeria, il Marocco, l’Afghanistan, la Turchia… Poi ad un certo punto mi sono stufato e sono andato a Londra a vedere il punk. E’ stata una scelta radicale. E da lì e dal Banana Moon, è partita l’onda della California, di New York, Parigi, Lisbona, Berlino e chi più ne ha più ne metta.
Tra l’altro c’erano delle cose buffe in quel periodo. A me piacerebbe fare, non so se lo farò, un documentario sui Magic Bus. I Magic Bus erano questi autobus a due piani, modello inglese, che partivano da Amsterdam e arrivavano a Kabul. Erano viaggi senza scadenza di arrivo: tu partivi ma non sapevi quando arrivavi. Si fermavano, stavano tre giorni in un posto, cinque giorni in un altro e nascevano queste convivenze pazzesche, grandi amicizie, grandi esperienze. Era il periodo in cui si leggeva tutti: si leggeva l’antipsichiatria, si leggeva Laing, Cooper; ‘La politica dell’esperienza’ è stato un libretto che ho consumato in questi viaggi, poi tutti i poeti maledetti. Di quel periodo mi ricordo intere nottate a parlare di libri, di autori, Artaud, Baudelaire….
Questo mio libro è un libro molto coraggioso, perché mi sono messo a nudo come in copertina, in tutti i sensi, la foto di copertina era del periodo del Banana Moon, gli occhiali sono gli occhialini di Fiorella Caspoli, che gli ho fregato quel giorno; è la spiaggia di Sperlonga, nel ’77, in una pausa estiva, per pensare alla programmazione successiva del Banana Moon.
Ivan C.
Tra l’altro, io la prima volta che ho visto il tuo libro, a parte la copertina – nemmeno loro avrebbero osato tanto – ho pensato ai poeti della Beat Generation, che andavano a Tangeri e facevano tutte le loro scorribande insieme, e ai racconti, in cui loro mettevano le poesie, i vari Peter Orloski, con Allen Ginsberg e tutti gli altri. E quindi il libro mi ha ricordato un po’ quel modo di raccontarsi, quel modo di vivere. Poi il periodo è grosso modo lo stesso… magari il loro era un decennio prima, però eravate su quelle tracce, su quelle orme.
Bruno C.
Tra l’altro io sono sempre stato un affamato di letteratura Beat Generation: il primo libro di Kerouac ‘Sulla strada’, ‘Jukebox all’idrogeno’ di Allen Ginsberg, i libri di William Burroughs, ‘Il pasto nudo’, ‘Nova Express’, ‘La scimmia sulla schiena’, sono stati libri che mi hanno un po’ formato nella mia crescita e poi il mio viaggio a San Francisco, in cui io vado nella libreria City Lights di Ferlinghetti, che ancora esiste, e mi trovo davanti Ferlinghetti che mi vende i libri della Beat Generation. San Francisco è un’altra di quelle città che io, tutti, abbiamo amato, perché negli anni settanta c’erano la liberazione sessuale, Harvey Milk, Castro, ma non solo, poi la psichedelia, Ashbury il quartiere degli hippy, Janis Joplin, il Fillmore. Io mi sono sempre diviso tra cultura rockettara e cultura gay, mi sono sempre mosso in queste due dimensioni e San Francisco era proprio la città che avrei amato.
Ivan C.
Allora c’era proprio questo gusto del viaggio epico. L’avevamo un po’ preso dai poeti della Beat Generation, ma anche a livello più commerciale se vogliamo c’erano i Beatles che andavano in India col Maharishi, Claudio Rocchi che andava in India… C’erano tante cose per cui eri portato a fare quel tipo di viaggio, che non era quello che facevano i tuoi genitori, assolutamente… Anche perché la generazione di quelli nati negli anni ’50 per la prima volta faceva cose completamente diverse da quelle dei loro genitori. Le generazioni di oggi sono uguali ai loro genitori, non c’è più quella spaccatura che avevamo noi. Anzi, oggi, ci sono genitori più moderni dei figli. Io penso che ci sia da tracciare una linea di demarcazione molto netta: noi non eravamo la famiglia Brambilla in vacanza quando partivamo. Partivamo – magari con un’auto-illusione – pensando di fare una cosa molto diversa e importante. Quando sono andato a Londra, nel ’71, per me era come una missione. Io viaggiavo meno di te, perché ero pigro, quando arrivavo in una città e mi trovavo bene ci rimanevo tre o quattro anni. Però il trend era proprio quello: andavi per esplorare e fare nuove esperienze. Ed era proprio così poi alla fine, perché le nuove esperienze le facevi, conoscevi delle persone incredibili, forse anche perché quel tipo di anni lo concedeva. Viaggiare adesso io lo trovo di un noioso… Forse per la globalizzazione. Per me andare ora a Londra è come andare a Busto Arsizio. Allora era uno squarcio incredibile, perché l’Italia non era Londra, era veramente un’altra cosa. Noi volevamo fare un salto epico, da cavalieri underground, ci illudevamo di questa cosa, ma era molto bello. E poi col senno di poi – sono passati quarant’anni – il crederci faceva sì che veramente quei viaggi erano importanti. Certo ragazzi, quando sono andato a Londra avevo 19 anni, nel bene e nel male recepivo tutto. Mi ricordo che sono stato a Collville House in una via laterale di Portobello Road, dove c’era la prima Comune gay . Io non avevo ancora fatto l’amore, ero molto ingenuo, molto pulito… un po’ ciula. E innamorato di tutti questi ragazzi, ma non sessualmente… ero innamorato del loro modo di vivere, che in Italia non c’era ancora. Mi ricordo che loro si ritrovavano insieme la domenica, c’era solo musica classica e ballavano in questo salone, un loft enorme. Però io avevo la barba e a loro non andava bene, allora avevano telefonato a Mario Mieli dicendo ‘ma chi ci hai mandato? Un agente della Cia?’, perché era stato Mario Mieli a darmi il loro indirizzo. Provavo stupore, però anche un po’ di sospetto, perché non ero abituato a quel tipo di vita, di cose; però era bellissimo.
RE NUDO – IL PARCO LAMBRO – I COM
Bruno C.
Mentre parlavi, mi veniva in mente il Parco Lambro, il Festival del proletariato giovanile. Io ho dedicato nel libro un racconto al Parco Lambro. La rivista Re Nudo cominciò a fare questi festival a Ballabio nel ’71 e poi a Alpe del Vicerè, poi sul Ticino e infine tre volte al Parco Lambro qui a Milano. Dei tre festival al Parco Lambro, io ne ho visti solo due e mi sono trovato lì quando arrivarono i COM, i Collettivi Omosessuali Milanesi, con la loro protesta e l’occupazione del palco .. Mi ricordo che circola sui social network questa foto storica in cui ci sei tu, Mario Mieli, Jimmy Onano e la Bambola.
Ivan C.
C’è anche un video. Era il ’75, il giorno prima si erano esibite le Pentole e Fornelli, il primo gruppo di cantautrici femministe che facevano spettacolo, sono salite ed è successo di tutto… C’è anche da dire una cosa, c’era stato questo grosso cambiamento nella struttura di Re Nudo. Sino a Ballabio Re Nudo era un festival veramente underground, molto freak, molto separato da tutto, anche i luoghi erano separati, si andava in posti isolati in campagna. Invece poi nel ’75 ci fu la grande decisione di portarlo a Milano al Parco Lambro, per cui arrivava anche tanta gente che di underground non aveva proprio nulla. Gli stessi partecipanti di sinistra non erano preparati al discorso omosessuale. Per cui quando io sono salito sul palco c’erano centomila persone e non erano underground, era tutta un’altra cosa. Andrea Valcarenghi voleva fare la sua Woodstock italiana, le prime feste erano state delle prove tecniche, però la gente non era ancora preparata. Tra l’altro mi avevano fatto salire sul palco subito dopo Bennato e prima della Premiata Forneria Marconi, che allora erano i numeri uno, erano anche preparati a livello tecnico, avevano la loro casa discografica e tutto il necessario. Io ero un ragazzino, sono salito con solo la chitarra e ho detto ‘Io sono gay, questa canzone la dedico al mio ragazzo’ e appena ho finito di dire questo, mi hanno seppellito in una marea di fischi. Sono riuscito a cantare due canzoni, ma proprio non mi hanno neanche sentito, perché c’era un caos assoluto. Li ci siamo resi conto tutti, Mario Mieli e tutti quelli dei COM, che non era più un festival underground, che avremmo dovuto scontrarci con quelli di Lotta Continua, che dicevano che noi eravamo dei viziosi. Lì c’è stato uno scontro frontale con quello che voleva sembrare un movimento underground e invece non lo era. Valcarenghi aveva creato questa cosa pensando di aprire finalmente a certi temi, ma sarebbero dovuti passare ancora tanti anni e ancora oggi non siamo totalmente pronti. Quindi poi Mario Mieli, io, Jimmy Onano e quel ragazzo che chiamavamo la Bambola, siamo saliti sul palco dicendo che avremmo lasciato il Festival di Re Nudo perché non aveva niente di alternativo ed era in atto un’omofobia dilagante (anche se allora non si usava ancora quella parola) nei confronti degli omosessuali, e ce ne andammo. Ma ancora prima di noi era capitato alle femministe, che la sera in cui si esibirono ottennero lo stesso trattamento: gli urlavano ‘puttane’, ‘troie’, di tutti i colori proprio perché erano femministe. Avevamo cosi tastato per la prima volta con mano una cosa di cui non ci eravamo resi conto. Io avevo già fatto altri concerti, all’Alpe del Vicerè, poi al Pierlombardo con gli Area, alla ex-chiesa di via Cesare Correnti, ma era un pubblico tutto d’élite, eravamo tutti di noi che ce la cantavamo e ce la suonavamo, eravamo tutti illuminati, la grande intelligenza milanese, però quando siamo arrivati li al Lambro abbiamo capito che non era così, questi ci volevano massacrare, sul serio. Il Parco Lambro è stato una vera delusione.
Ero stato con Mario Mieli anche a vedere il concerto di Lou Reed e gli lanciavano i sacchetti di plastica riempiti di acqua, anche sugli amplificatori, col pericolo di prendere delle scosse paurose. Era una cosa anche estetica, per cui se tu ti tagliavi i capelli corti, se avevi la cravatta, eri sospetto. I Kraftwerk, per esempio, erano considerati dei nazisti. Non erano abituati anche a quel tipo di estetica completamente diversa. Mi ricordo che una sera io sono andato con Jimmy Onano a vedere un concerto di Bennato alla palazzina liberty, io ero appena arrivato da Londra e avevo i capelli cortissimi, giubbotto in pelle (giubbotto in pelle guai…!), con spille e cose punk, e loro ci guardavano come fossimo dei nazisti. Qualsiasi cosa che andava aldilà era da fascisti, ma soprattutto viziati. Avevano il concetto bolscevico che l’omosessuale era un viziato della società. Questa era una cosa terribile che faceva proprio male. L’Organizzazione Mondiale della Sanità non aveva ancora detto che l’omosessualità non era una malattia, noi brancolavamo nel buio, non eravamo come oggi, con tanta capacità acquisita nel corso degli anni, eravamo molto ingenui, stavamo anche noi ancora sperimentando insieme agli altri. Per cui se uno ti diceva ‘tu sei un viziato’ tu dicevi di no, però poi ci pensavi un attimo ‘mah, forse sono un viziato’, ‘magari ho sbagliato qualcosa’, ‘mia madre forse nell’educazione…’.
Bruno C.
Tra l’altro va riconosciuto a Majid Valcarenghi, all’epoca Andrea Valcarenghi, che Re Nudo è stata la prima rivista che ha lanciato quello slogan importantissimo ‘il personale è politico’, ed è stata la prima rivista che ha parlato di omosessualità, di droghe, anche con slogan molto forti e provocatori come ‘la rivoluzione si fa con il fucile e con la marjuana’. E’ stata la prima rivista che ha accettato le istanze femministe, le istanze omosessuali, di un movimento che era appena nato. A Torino e Milano era nato il Fuori. Felix Cossolo (qui presente) è uno dei fondatori. Re Nudo è stato veramente un punto di partenza, cosi come lo erano i COM, un collettivo importantissimo dove sono nate un sacco di esperienze. Io ricordo l’esperienza bellissima di Nostra Signora dei fiori, lo spettacolo di Jean Genet, con Mario Mieli e tutto il COM, Corrado Levi, Roberto Polce, Jimmy Onano, la Bambola, giravano nei teatri off in tutta Italia. E poi la rivista Il Vespasiano, all’epoca molto importante.
Ivan C.
Mi ricordo che c’era la pubblicità su Re Nudo del Fuori, c’era questo pulcino che usciva dall’uovo, l’ho vista e quindi sono andato a comprare la rivista Fuori, prima non la conoscevo. Majid Valcarenghi, Andrea, era molto avanti in queste cose e l’ha anche pagata per questo. Non avendo mai preso delle posizioni veramente politiche, come invece si usava allora, per gli altri era troppo sul vago, sul personale. Poi chiaramente quando è subentrato Osho Rajneesh, lui è andato su di un piano ancora più difficile e più intimo, secondo me anche più giusto, però anche più distaccato ed è stato chiaro che si era un po’ perso. Poi sono cambiati anche i tempi.
Anche noi stavamo crescendo insieme agli altri. Lo stesso Mario Mieli, diceva delle cose, faceva delle butades che a volte davano fastidio a molti. Angelo Pezzana lo odiava, con Dario Bellezza. Mi ricordo un convegno a Roma al Partito Radicale, in Piazza Argentina. Mario mi coinvolgeva in cose a cui io non ero preparato, io ero molto più indietro di lui chiaramente. C’era Dario Bellezza che stava leggendo poesie dal palco, c’erano Marco Pannella, Adelaide Aglietta e tutti i radicali, Mario mi portò dietro Bellezza mentre stava leggendo e io ho incominciato a cantare, a fare vocalizzi, e Mario ballava, gli abbiamo rotto le palle in una maniera secondo me anche ingiusta alla fine. Però noi cercavamo una strada bene o male, non avevamo la verità in mano. Ecco una cosa che mi dà fastidio degli omosessuali di oggi – adesso parlo da vecchio – è il dare tutto per scontato. Mi dà fastidio quando vedo un gay di diciotto anni che dà tutto per scontato e dovuto. Allora io dico no, c’è stata tutta una lotta per arrivare a questo, c’è stato un passaggio. Anche quando dicono ‘Ah, ma ci hanno menato per strada’, io dico che hanno dato per scontato che ora sia tutto facile, che è passato tutto, finito tutto. E invece ci sono delle cose che sono ancora da superare, per cui se tu vai in giro per strada scheccando e truccatissimo, ti devi prendere le tue responsabilità, come me le prendevo io; se tu non te le prendi, può succedere che arrivi un nazista o qualcun altro che ti mena e purtroppo succede. Dico questo non perché io, o Felix o te dobbiamo essere riconosciuti come padri fondatori, non me ne frega niente, mi interessa che loro capiscano che ci sono stati dei gradini evolutivi, ci sono state delle lotte da fare e non sono ancora finite.
LA MUSICA DEGLI ANNI SETTANTA
Bruno C.
Noi all’epoca, negli anni ’70, ma anche negli anni ’80, viaggiavamo molto e ogni viaggio era assorbente. Andare al Parco Lambro e conoscere Nanni Ricordi, Ivan Cattaneo, Andrea Valcarenghi, Franco Battiato, conoscere tutti quegli artisti, per noi era importante. L’ultima Spiaggia ha fatto dei dischi che tutt’oggi sono di un avanti pazzesco. Il disco di Paola Pitagora ‘Sputa fuori strega’, il ‘Disco dell’Angoscia’, fatto da Jannacci, Ricky Gianco e ci sei anche tu se non sbaglio che canti alcuni brani.
Ivan C.
Nanni ricordi era un personaggio incredibile, insieme a Gianni Sassi. Erano due personaggi molto simili. Gianni Sassi aveva creato la Cramps per cui gli Area, Finardi, Camerini etc. e Nanni Ricordi aveva creato l’Ultima spiaggia, con me, con Jannacci, Gianfranco Manfredi, Roberto Colombo e poi anche episodi sporadici come appunto la Paola Pitagora che aveva fatto questo disco ‘Sputa fuori strega’, sul femminismo, e un altro disco con Miranda Martino che si chiamava ‘Ottimo Stato’. Erano anni particolari. Ricordi non era gay e neanche Gianni Sassi. Sassi aveva prodotto il disco di Alfredo Tich che si chiamava ‘Masturbati’. Erano interessati, c’era questa intelligenza, un nuovo modo di proporre delle tematiche che erano anche omosessuali.
E’ inoltre molto importante l’evoluzione e la rivoluzione che allora stava avvenendo nel costume, lo si vedeva anche attraverso l’estetica e la gestualità. A Londra nascevano dei personaggi che non erano gay, che però seguivano questo trend che oggi chiameremmo Metrosexual : c’era Peter Gabriel che non è mai stato gay, Brian Eno e tanti altri, Lou Reed era sposato, David Bowie sposato. Probabilmente non sapremo mai se erano gay oppure no. Forse erano come quegli intellettuali inglesi che ogni tanto cedevano al lato selvaggio. Alla fine l’unico omosessuale a Londra era Elton John, che era il meno alternativo, il più normaloide.
L’AIDS
Bruno C.
Noi siamo stati giovani negli anni ’70 , il problema dell’Aids arriva nei primi anni ’80. Siamo cresciuti con un discorso di liberazione, senza questo spettro che ti circonda. Con l’AIDS cambiano tutti i ritmi culturali, i ritmi di vita quotidiani. Purtroppo l’AIDS c’è ancora, purtroppo il vaccino è sempre una cosa che sembra arrivare ma non arriva e purtroppo si muore ancora di AIDS. Noi siamo stati fortunati, perché negli anni ’70 l’AIDS non c’era. Mi piacerebbe molto raccontare degli anni ’70 tutto il discorso della liberazione sessuale, a San Francisco, New York e anche in Italia. Nel prossimo Florence Queer Festival vorrei dare un tema su questo versante, anche perché la liberazione sessuale è stata importante per tutti noi.
Ivan C.
L’AIDS secondo me ha portato il movimento gay indietro di trent’anni, perché ha bloccato tutto, ha cristallizzato tutto quanto. Il movimento gay stava esplodendo, probabilmente saremmo riusciti ad avere quello che diceva Mario Mieli ai tempi, una rivoluzione sessuale vera e propria, quello che diceva Reich, una rivoluzione delle donne, degli uomini, una rivoluzione anche estetica dei costumi, per cui avremmo avuto tutto un altro tipo di società. Però guarda caso proprio agli inizi degli anni ’80 veniva fuori questa malattia, che veramente sembrava studiata a tavolino: una commistione fra sesso, sangue, malattia, tabù, a favore dei perbenisti. Sembrava studiata alla perfezione, secondo me molti hanno cantato vittoria, hanno esultato in certi ambienti. E’ inutile dirlo, il sesso è una grande benzina, una grande energia che fa camminare il mondo: i figli nascono dal sesso, le relazioni nascono dal sesso; quando tu ti fai una masturbazione in proprio, compi un atto antisociale, perché risolvi tutto tra te e te, chiuso nella tua stanza. Il sesso è veramente quella cosa che ti apre agli altri, attraverso il sesso tu devi relazionarti ad un altro. Tutto è stato tutto bloccato dall’AIDS e non ha più proseguito sino ad oggi. Anche le nuove generazioni sono figlie di questo evento traumatico. Anche se loro magari non lo sanno e magari molte volte non usano il preservativo, hanno questo tipo di imprinting, che arriva da quella malattia.
Tiziano Sossi, Bruno Casini e Ivan Cattaneo
VECCHIE E NUOVE GENERAZIONI GAY
Ivan C.
Allora secondo me, noi avevamo questo dna un po’ idealistico, per qui ci piaceva mettere insieme tutto, in maniera molto generale e lottavamo per una vita completamente diversa. Gli omosessuali di oggi sono molto più pragmatici, hanno degli obiettivi a breve scadenza, con delle cose molto precise, i matrimoni gay, le unioni civili, le adozioni… per cui oggi si affronta un problema alla volta, però ci si è dimenticati tutto quello da cui noi eravamo partiti. Se agli omosessuali degli ’70 dicevi ‘vogliamo sposarci’ si mettevano a ridere, perché avevano letto David Cooper ‘Morte della famiglia’, avrebbero detto ‘ma che cazzo mi vieni a dire’. Non è quello l’obiettivo, oggi magari per certi versi si, ma non è solo quello, perché devi guardare a tutto quello che c’è intorno, la vera rivoluzione sessuale da dove si deve partire. Tu puoi aver raggiunto il tuo status quo per cui sei sposato con il tuo compagno e hai anche adottato un figlio, poi però esci e trovi uno che ti mena, per cui sei al punto di prima, non è cambiato niente.
Ci sono pochi omosessuali della nuova generazione, particolarmente colti, che sono interessati alla memoria storica e cercano dei trait d’union col passato. Io avrei voluto a 19 anni conoscere degli omosessuali più vecchi di me, che mi potevano insegnare qualcosa, ma non ce n’erano. Ce n’erano alcuni stizzosi, un po’ cosi, tipo i vari Pasolini, Zeffirelli, che erano un po’ indisposti verso.. Soprattutto verso di me, perché poi io ero già liberato e un po’ troppo emancipato per i tempi e davo anche un po’ fastidio. Mi sarebbe piaciuto avere qualcuno, non che insegnava dall’alto cattedraticamente, ma che mi raccontava qualcosa dei suoi tempi. Probabilmente non avevano grandi cose da raccontare perché non c’era una liberazione omosessuale allora, quindi era tutto vissuto in maniera molto singola, molto culturale, come poteva aver vissuto Pasolini, Giovanni Testori o altri. Però erano tutte esperienze singole, non confrontate fra di loro, naturalmente, per cui non c’era poi l’etichetta di tematica gay. Noi siamo quelli che hanno cominciato per primi a dare un nome alle cose, a viverle in quel modo e a confrontarci. Però non c’è stato poi un continuum fino ad oggi , vuoi perché sono rimaste pochissime aggregazioni, associazioni, come c’erano allora.
Bruno C.
I miei libri sono libri di racconti, libri di memorie… Mi viene in mente una frase di Ivan Della Mea che dice ‘la memoria è lotta’, bisogna ricordare per risvegliare un po’ le coscienze attuali e secondo me io nel mio piccolo, non sono un grande autore, non sono molto conosciuto a livello popolare, però nel mio piccolo racconto tutto quello che è successo negli anni ’70 e ’80. Molte cose le abbiamo perse per strada… mi viene in mente Giorgio Gaber ‘La mia generazione ha perso’ un disco che fa capire anche come molte delle tematiche politiche che ci eravamo accaparrati negli anni ’70 siano state poi rimesse in discussione: tutte queste lotte, il Maggio Francese, il ’68, le occupazioni universitarie degli anni ’70, le barricate, gli scontri con la polizia. Per me è importante che escano libri come questo o come quello di Claudio Fucci (presente in sala) di Volo Libero, lui fa un bellissimo progetto editoriale: ‘ Crisco Disco’, un libro che racconta la cultura LGBT e la cultura Disco degli anni ’80 . Molti ragazzi che vengono a queste presentazioni dicono: ‘ma cavolo, molte cose non le conoscevo’. A me piace leggere di queste cose, anche se il mondo deve andare avanti. Come dice la maglietta di Paolo (Rumi) ‘I tempi che corrono dove vanno?’. Bisogna raccontarli i tempi che corrono e che hanno corso, lo so che forse non serve a niente, ma bisogna rimboccarsi le maniche e cominciare a raccontare quello che è successo. Servirà a qualcosa ? Speriamo.