David Grieco, amico di Pasolini (compare senza accredito in una scena del film “Teorema”), ha pubblicato lo scorso anno un libro, “La macchinazione – Pasolini. La verità sulla morte“, che ora diventa un film sugli ultimi mesi di vita di Pasolini e sui tanti misteri che l’hanno accompagnato. Dice di Pasolini: “Non ha mai avuto paura e per questo ha fatto paura a molti. Pasolini ha mostrato all’Italia e al mondo un’onestà intellettuale senza compromessi e con ogni mezzo possibile. Per questo non aveva “protettori” e non li ha avuti nella morte come nella vita. Oggi, a più di 40 anni dalla sua morte, è arrivato il momento di raccontare la verità sul suo assassinio“.
Per questi motivi Grieco, Massimo Ranieri (che interpreta Pasolini) e altri membri della troupe si sono presentati davanti alla Camera dei deputati il 25 febbraio 2016, presentando il loro film e chiedendo l’apertura di una commissione d’inchiesta sull’intera vicenda.
In questa occasione Grieco ha esordito con queste parole di stretta attualità: “Si potrebbe potrebbe parlare per ore della vicenda di Pasolini. Nonostante il libro che ho scritto, gli articoli pubblicati, nonostante questo film, quando parlo di questa cosa vengo ancora e sempre sopraffatto dall’indignazione, non come amico di Pier Paolo Pasolini, ma come italiano. La storia che ci hanno raccontato fino a questo momento è assurda: non c’è una sola parola di vero in tutta la ricostruzione ufficiale degli eventi. Sono in qualche perverso modo contento che in questi giorni dobbiamo parlare anche della morte di Giulio Regeni: perché alla fine si tratta della stessa storia, di una morte oscura che si vuole nascondere utilizzando la coperta corta di sordide vicende di omosessuali. Ho molto apprezzato che, riguardo il giovane ricercatore, Matteo Renzi abbia detto: ‘vogliamo la verità e non ci interessano gli interessi del business’. A maggior ragione, la verità la vogliamo anche su Pasolini: non dobbiamo trattare con uno stato non democratico, ma con noi stessi, e ci dobbiamo confrontare con questa vergogna.”
L’avvocato Maccioni, che nel 2009 aveva ottenuto di riaprire le indagini sull’omicidio, dopo “una sentenza in primo grado, firmata dal fratello di Aldo Moro, che era ineccepibile, e che fu poi stravolta da quella della Corte d’Appello”, ma che il 25 maggio del 2015 la Procura di Roma ha ritenuto di archiviare nuovamente, nonostante, dice Maccioni, “fossero nel frattempo emersi elementi di notevole interesse: ma la mia richiesta di non archiviazione è caduta nel vuoto. A questo punto, e dopo la petizione che ho lanciato su internet e che è stata firmata da oltre 11mila italiani, ritengo modestamente che, attualmente, l’unica soluzione sia quella di una commissione parlamentare d’inchiesta. Anche io come cittadino mi sento di rappresentare tutte quelle persone che vogliono sapere la verità: non la verità di un gracile 17enne che ha compiuto un omicidio dopo aver subito un tentativo di violenza sessuale, ma quella di un delitto politico a tutti gli effetti. Una verità che è il vero elemento inedito portato avanti dal film di Grieco“.
L’attore Massimo Ranieri ha dichiarato: “Con Pasolini ci siamo visti una volta sola, rapidamente. Ci siamo incrociati negli spogliatoi in occasione di una partita di calcio che ci vedeva coinvolti. Mi disse solo: ‘ma allora è vero che ci somigliamo,’ e poi purtroppo non ho più avuto modo di incontrarlo. Grazie a David ho avuto modo di dare vita a un ruolo che sentivo inevitabile, e quello ne La macchinazione è stato uno dei lavori più duri della mia carriera, psico-fisicamente, perché mi richiedeva la massima concentrazione.”
Sull’interpretazione di Massimo Ranieri, il regista Grieco ha scritto su Facebook: “Nel film “La Macchinazione”, Massimo Ranieri parla con la sua voce e non imita in alcun modo Pier Paolo Pasolini. Massimo Ranieri interpreta Pasolini e diventa Pasolini senza usare espedienti. Dopo pochi minuti di film, vi accorgerete che Massimo Ranieri È PASOLINI, come indica il post del film. Massimo è Pier Paolo e riesce ad esserlo in modo profondo, perché questi due uomini, così apparentemente diversi, sono profondamente uguali. Uno è settentrionale ed introverso e l’altro è meridionale ed estroverso, ma hanno in comune alcune cose molto importanti: il coraggio delle proprie idee, l’indipendenza, e un senso di giustizia innato, quasi infantile. Non so se il film che abbiamo fatto è bello o brutto, necessario o superfluo. Questo lo giudicherete voi. Ma so per certo che l’interpretazione di Massimo Ranieri rimarrà per sempre nella storia del cinema italiano. Su questo, sono pronto fin da ora a litigare con chiunque fino allo sfinimento.”
La colonna sonora del film riporta la celebre suite tratta da “Atom Heart Mother” dei Pink Floyd, pubblicato nel 1970, quando “i Pink Floyd volevano imprimere una nuova direzione alla propria musica, trovare dopo la psichedelia una natura più orchestrale, con un album che sbalordì il pubblico e riuscì a ottenere il Disco d’oro”. Questa scelta risponde all’esigenza del film di ricreare e costruire il contesto culturale degli anni ’70. E nessuno meglio dei Pink Floyd avrebbe potuto farlo. Per la prima volta, dopo aver rifiutato la richiesta di Kubrick per “Arancia Meccanica“, il gruppo inglese ha concesso “Atom Heart Mother Suite” per la colonna sonora del film.
La sinossi ufficiale del film:
Nell’estate del 1975, Pier Paolo Pasolini sta montando il suo film più aspro e scandaloso, Salò.
Sono giorni in cui il quadro politico italiano sembra aprirsi a prospettive inedite. Dopo il referendum per il divorzio e il trionfo alle elezioni amministrative, il PCI appare in grado di conquistare il governo del Paese, abbattendo così la storica pregiudiziale anticomunista del mondo occidentale.
Mentre lavora al suo film, Pasolini continua la stesura di un libro fluviale intitolato Petrolio. In quest’opera di genere ibrido fra il romanzo e il saggio, lo scrittore, con un coraggio ai limiti dell’incoscienza, denuncia le trame di un potere politico ormai corrotto fino al midollo.
In quegli stessi giorni, Pasolini frequenta un ragazzo di borgata, Pino Pelosi. Pasolini e Pelosi s’incontrano periodicamente, suscitando le chiacchiere e il sarcasmo della periferia romana. In questa borgata si muovono loschi figuri ben poco poetici e ben poco ‘pasoliniani’, gente cha ha scelto la delinquenza pura. A muovere i primi passi è un’organizzazione criminale che, grazie a potenti appoggi e amicizie altolocate, si avvia a diventare padrona della città: la Banda della Magliana.
Sono il suo impegno d’intellettuale e la sua vita privata a rendere Pasolini un bersaglio ideale per una macchinazione in cui sembra convergere contro di lui tutta la negatività del momento storico.
Quando, la notte del 26 agosto, viene sottratto dagli stabilimenti della Technicolor il negativo di Salò, scatta una trappola mortale che vede la sinergia fra delinquenza comune, delinquenza organizzata e una criminalità politico-finanziaria.
Nella notte fra il primo e il due novembre del 1975, Pier Paolo Pasolini si reca all’Idroscalo per riavere il negativo del film. Ciò che in realtà si trova ad affrontare, forse animato anche da una semi-conscia brama sacrificale, è una trama pianificata in ogni dettaglio da tanti complici volontari e involontari, tutti ormai indistinguibili, tutti ormai ugualmente colpevoli.
Le verità ipotetiche sulla morte di Pasolini che circolano da anni sono tante. Pasolini è stato ucciso da Pelosi che ha fatto prima da informatore per il furto delle bobine di Salò e poi da esca per l’agguato all’Idroscalo. Pasolini è stato assassinato dalla famigerata Banda della Magliana. Pasolini è stato eliminato su ordine di Eugenio Cefis perché indagava sui loschi traffici del presidente di Eni e Montedison che avrebbe fondato la P2 e nel ‘62 fatto precipitare l’aereo di Mattei. Pasolini si è fatto uccidere e si è fatto Cristo pianificando il suo martirio nei minimi dettagli, come sostiene l’amico e pittore Giuseppe Zigaina. «LA MACCHINAZIONE» sposa tutte queste ipotesi intrecciandole in un ordito semplice e verosimile. Perché c’è del vero in ognuna di queste tesi. Una verità sepolta sotto tante verità.
Riportiamo alcune pagine tratte dal libro di David Grieco, La macchinazione, Rizzoli, Milano 2015, alla base del film.
Al luogo fissato per l’appuntamento, io non vedo Faustino Durante e lui non vede me. Più tardi, arriviamo all’Idroscalo separatamente. Lui mi ha preceduto. Mentre mi avvicino, mi guida la voce di Faustino che sbraita contro i carabinieri. Il luogo dove hanno trovato il corpo senza vita di Pier Paolo Pasolini è un campetto di calcio allestito alla buona, con quattro assi in bilico che rappresentano le porte, accanto a delle casupole abusive. L’area del delitto non è stata né circoscritta né transennata, sul posto bivacca una folla insensata, il terreno è calpestato da tutti, si notano persino dei ragazzini che si sono messi a giocare a pallone nell’altra metà del campo.
Pasolini giace, coperto da un lenzuolo, in mezzo a quel delirio. Proprio come in un film di Fellini.
Mentre i carabinieri provvedono a isolare la larga porzione di terreno indicata da Faustino Durante, il medico legale si china a raccogliere bastoni e frammenti di legno. A un certo punto, mi viene vicino e mi dice a bruciapelo: «È stata una mattanza». Poi raggiunge il cadavere di Pasolini, solleva il lenzuolo, e si china a esaminare il corpo. Mi fa segno di avvicinarmi. Me ne guardo bene. Sto in piedi per miracolo e non ho nessuna intenzione di guardare da vicino come l’hanno conciato.
Accovacciato accanto a Paolo, Faustino mi parla senza guardarmi: «L’hanno ammazzato con la macchina. Gli sono passati sopra. Più di una volta. Si vedono i segni dei copertoni sovrapposti. Le altre ferite sono tante, ma non sono mortali. Sì, è stata sicuramente la macchina. Se la macchina non gli fosse passata sopra non sarebbe morto. Questo posso dirtelo fin da ora senza timore di sbagliare».
[…] La descrizione più tremendamente efficace della morte di Pasolini proviene dall’Ansa: «Quando il suo corpo venne ritrovato, Pasolini giaceva disteso bocconi, un braccio sanguinante scostato e l’altro nascosto dal corpo. I capelli impastati di sangue gli ricadevano sulla fronte, escoriata e lacerata. La faccia deformata dal gonfiore era nera di lividi, di ferite. Nerolivide e rosse di sangue anche le braccia, le mani. Le dita della mano sinistra fratturate e tagliate. La mascella sinistra fratturata. Il naso appiattito deviato verso destra. Le orecchie tagliate a metà, e quella sinistra divelta, strappata via. Ferite sulle spalle, sul torace, sui lombi, con il segno degli pneumatici della sua macchina sotto cui era stato schiacciato. Un’orribile lacerazione tra il collo e la nuca. Dieci costole fratturate, fratturato lo sterno. Il fegato lacerato in due punti. Il cuore scoppiato».
Meno male che ho saputo resistere all’invito di Faustino Durante.
[pp. 18-19 e 20]
« Fra i tanti che indagano intorno alla morte di Pier Paolo Pasolini c’è anche un investigatore molto speciale. E’ Sergio Citti.
Dieci giorni dopo la morte di Pasolini, Sergio si reca all’Idroscalo portando con se una macchina da presa 16mm e filma una ricostruzione dell’accaduto usando l’auto di un amico. Citti vuole mostrare e dimostrare che Pino Pelosi è passato di proposito sul corpo di Pasolini, poichè esso si trovava nella direzione opposta rispetto alla via di fuga dell’auto. Ma la scoperta più interessante in cui Sergio involontariamente inciampa è un’altra. Citti trova sul terreno una grossa chiazza di olio di motore molto fresca che sembra testimoniare la rottura, molto recente, di una coppa dell’olio.
Sergio mi fa vedere le immagini e dice : « Guarda tutto quell’olio. Secondo me proviene dalla macchina che ha investito Paolo. Passando sopra il suo corpo, la macchina non poteva non rompere la coppa dell’olio. La macchina che ha ammazzato Pasolini non può essere la sua. Paolo è stato sicuramente investito da un’altra macchina. Anche perchè la macchina che l’ha investito ha urtato un paletto di cemento. Dovrebbe essere ammaccata sul muso. Quella di Paolo ha il muso intatto ».
A mia volta, io parlo di questo particolare con Faustino Durante. Il medico legale mi conferma che i dubbi di Sergio Citti sono fondati. Faustino ha avuto modo di dare un’occhiata all’Alfa Gt di Pasolini presso il garage dove viene custodita e non ha notato, sotto la scocca dell’auto, alcun segno di ciò che è accaduto.
Del resto, il giornalista del « Europeo » Gian Carlo Mazzini lo aveva già scritto nel suo articolo intitolato I sei errori della polizia : « la strada dove è stato ritrovato il corpo di Pasolini è percorsa longitudinalmente da profondissime buche, che a detta degli esperti è quasi impossibile superare con una Gt notevolmente bassa senza toccare il terreno almeno con la coppa dell’olio… ».
Questo elemento, pur così evidente, finirà trascurato da tutti. Ne riscorpiremo la fondamentale importanza, purtroppo, soltanto molti anni dopo ».
[Pg 52-53]
Sergio Citti. Detto il saggio, il filosofo, il pupo. O semplicemente Mozzone. Corto e tozzo, un ovale perfetto come un uovo, al centro un nasino da putto, occhi profondi, sempre imbronciato ma capace di sorrisi luminosi. Sergio Citti deve a Pier Paolo Pasolini quanto Pasolini deve a Citti. Mai rapporto fu più paritario. A mio modo di vedere, senza l’uno non esisterebbe l’altro.
Paolo incontra Sergio nei primi anni Cinquanta, una mattina, sulla via Appia. Al volante di una Topolino molto più che usata, Pasolini si sta recando a Ciampino, dove ha trovato lavoro come insegnante in una scuola privata dietro un modestissimo compenso di 25.000 lire al mese. La Topolino si ferma durante il tragitto. Ha bucato una gomma. E Paolo non è capace di cambiarla.
Sergio Citti passa, si ferma e lo soccorre. In un baleno, gli sostituisce la ruota. Pasolini gli chiede se fa il meccanico di mestiere.
«No, faccio il pittore» risponde Sergio.
«Ah, che coincidenza! Io mi chiamo Pier Paolo Pasolini e faccio lo scrittore.»
«Anch’io» gli fa Sergio a bruciapelo.
«Anch’io cosa?» domanda Paolo.
«Anch’io faccio lo scrittore» sentenzia Citti.
Paolo lo guarda sempre più sorpreso, gli chiede il numero di telefono, si rimette al volante e riparte.
Sergio Citti fa l’imbianchino. Che a Roma, ma soltanto a Roma, si dice «pittore». Furbo e dispettoso, Sergio ha capito che Paolo non ha capito. Allora ne ha sparata un’altra, ancora più grossa: «Anch’io faccio lo scrittore».
Sergio Citti in realtà è quasi analfabeta. Scrive a mano molto lentamente, calcando con forza e distanziando le lettere come fanno i bambini. Soffre di un complesso atavico per mancanza d’istruzione. Del resto non usa la penna. Usa il pennello. Quello grosso. Quando Pasolini gli telefona, Sergio lo aveva già dimenticato.
«Vorrei farle leggere delle cose che scrivo io, ma vorrei anche leggere quello che scrive lei. Quando ci possiamo vedere?…» chiede Pasolini.
Sergio inventa una scusa. Qualche giorno dopo, quando arriva la seconda telefonata, non riesce a sottrarsi. Ora lo scherzo è diventato un problema. Sergio non scrive. Sergio sogna. Fa sogni bellissimi. Al bar, quando li racconta agli amici, non si sente volare una mosca. Con la sua calligrafia stentata, Sergio si mette a scrivere la trama di un sogno che ha fatto. Il primo che gli viene in mente. Più tardi, nel 1961, quel sogno, descritto in modo approssimativo su un foglio di carta a quadretti, si trasformerà in un film. Il primo film di Pier Paolo Pasolini. Il suo titolo è Accattone.
[pp. 105-106]
[Molte] «fantasiose» asserzioni di Pier Paolo Pasolini sono già state confermate, quasi parola per parola, il 4 agosto del 2000 a «la Repubblica», dal generale dei servizi segreti, già iscritto alla P2, Gianadelio Maletti. Maletti, naturalizzato sudafricano e oggi in esilio a Johannesburg, concede al giornalista Daniele Mastrogiacomo un’intervista che lascia senza fiato.
«So di avere un debito di verità nei confronti dell’Italia» esordisce Maletti. In seguito, il generale racconta come la cosiddetta strategia della tensione – cioè l’insieme di attentati, bombe e stragi che ha insanguinato l’Italia – sia stata orchestrata dai servizi segreti e da uomini di governo con la regia della Cia e quindi affidata a sicari fascisti o mafiosi.
«La Cia voleva creare» spiega Maletti, «attraverso la rinascita di un nazionalismo esasperato e con il contributo dell’estrema destra, Ordine Nuovo in particolare, l’arresto di questo scivolamento verso sinistra. Questo è il presupposto di base della strategia della tensione. […] La Cia ha cercato di fare ciò che aveva fatto in Grecia nel ’67 quando il golpe mise fuori gioco Papandreu. In Italia, le è sfuggita di mano la situazione. L’effetto che alcuni attentati dovevano produrre è andato oltre. Per piazza Fontana, che io sappia, è andata così. Devo presumere anche per piazza della Loggia, per l’Italicus, per Bologna. Riguardo ai politici, voglio aggiungere una sensazione che per me è quasi una certezza. A quel tempo, molti di loro, compreso il capo dello Stato, Leone, furono costretti ad accettare il gioco. Perché ognuno aveva avuto la garanzia che il gioco non avrebbe superato certi limiti.»
[pp. 184-186]