NOSTRI RESOCONTI DAL 13° FLORENCE QUEER FESTIVAL - PREMIO GIURIA

I film , i libri, gli incontri, i video e le immagini in diretta dal Florence Queer Festival

INTERVISTA A DANIELE SARTORI E PRINCIPE MAURICE

regista e protagonista di ‘Portraits – Prince Maurice: a tribute‘.

A Daniele Sartori abbiamo chiesto come ha capito che Principe Maurice era un soggetto adatto per un suo film. A Principe Maurice abbiamo invece chiesto di dirci perché considera Klaus Nomi una sua musa ispiratrice e poi di spiegarci questa frase di una sua intervista: ‘ Bisogna stupire, bisogna far pensare, lasciare qualcosa dentro, elargire emozioni con la poesia, con una musica diversa da quella che il pubblico ascolta di solito’. In una frase: ‘Bisogna creare bellezza’.

Cerimonia di Chiusura

Il Florence Queer Festival ha aperto la cerimonia di chiusura della sua tredicesima edizione, con una performance dal vivo della nota artista di burlesque Sylvie Bovary, spettacolo realizzato nell’ambito del progetto Queerslesque, che comprendeva anche una mostra fotografica, nel foyer del cinema Odeon, con le immagini di alcuni tra i più noti artisti e performer di burlesque a livello internazionale.
I Direttori artistici del Festival, Bruno Casini e Roberta Vannucci, hanno quindi elencato i ringraziamenti di rito. Tra gli altri hanno ringraziato la Regione Toscana, il Comune di Firenze, l’Istituto Francese, l’Associazione IREOS e tutti i suoi volontari che insieme ad Arcilesbica Firenze e Music Pool hanno organizzato il festival, lo staff della fondazione Sistema Toscano, Cinemagay.it che ha seguito quotidianamente il Festival, lo staff dell’ODEON, i giurati che hanno scelto il miglior lungometraggio Benedicte Prot, Angelo Savelli e Roberto Mariella, Susan Sabatini, che ha curato la selezione e programmazione, Stefano Generali che ha seguito l’Ufficio Stampa, il Teatro di Riffredi, il Teatro comunale di Sesto Fiorentino, Federico Tiezzi, Fabbrica Europa, le librerie Clichy e IBS, La Romanina.
E’ poi salita sul palco anche Silvia Minelli responsabile della Direzione e del Coordinamento del Festival. E quindi è tornata Sylvie Bovary a salutare il pubblico.

Per la premiazione del concorso Videoqueer, organizzato in collaborazione con il Comune di Firenze, è stata invitata sul palco l’Assessore Sara Funaro. L’Assessore ha fatto tra l’altro cenno ad un recente vergognoso articolo di Adinolfi, che attaccava il Comune di Firenze per il patrocinio dato al FQF, costato ‘migliaia e migliaia di euro’, che potevano essere destinati alle famiglie numerose.
Il premio VIDEOQUEER, assegnato dal pubblico, per il miglior corto è andato a ‘Golden’ di Kai Stanicke (Germania 2015).
E’ quindi stata chiamata sul palco la Giuria che ha scelto il miglior lungometraggio di questa tredicesima edizione del Florence Film Festival: Angelo Savelli regista stabile Teatro di Riffredi, Roberto Mariella di Cinemagay.it, Benedicte Prot critico cinematografico.

PREMIO MIGLIOR LUNGOMETRAGGIO

Il premio della Giuria per il miglior lungometraggio è andato a “Reel in The Closet” di Stewart Maddux. Motivazione: “Se la storia del mondo LGBT fosse raccontata solo dalle fonti ufficiali, quello che ne verrebbe fuori rischierebbe di essere solamente una cronaca, pur importante, di drammi, suicidi, emarginazioni, proteste, lotte e rivendicazioni. Invece questo film toglie ‘letteralmente’ dall’armadio una straordinaria testimonianza diretta di questa storia, fatta dai suoi stessi protagonisti, attraverso i filmini di famiglia, i videotape di feste, vacanze e cerimonie private. Insomma registrazioni di vita comune di gente comunemente omosessuale, e lo fa con grande perizia tecnica e con la partecipazione emotiva di chi sa che la nostra memoria è la nostra storia e il nostro futuro“.

La Giuria ha anche deciso di assegnare una Menzione Speciale a “Je Suis Annemarie Schwarzenbach” di Veronique Aubouy, con la seguente motivazione: “Per la sua estrema eleganza formale e per essere riuscito a raccontare senza limitazioni – e quindi con grande integrità – le molte sfaccettature di un’importante figura della letteratura lesbica, attraverso un’invenzione drammaturgica che fa riverberare queste caratteristiche nella sensibilità di un gruppo di giovani di oggi al di là delle differenze di genere“.

Sono state poi presentate due anteprime. Carlo Gardenti ci ha parlato del progetto di un documentario dal titolo ‘Scintille. Firenze: Generazione Trend‘ a cura di Gardenti stesso e di Bruno Casini, sulla moda a Firenze negli anni ’80. Il film uscirà del 2016. Poi è stato presentato il documentario “Irrawaddy mon amour” di Nicola Grignani, Valeria Testagrossa e Andrea Zambelli, su uno dei primi matrimoni omosessuali della Birmania. Il film sarà proiettato sabato prossimo al Torino Film Festival.
Infine Bruno Casini e Maurizia Settembri di Fabbrica Europa ci hanno parlato di quando nel 2011 lo spettacolo teatrale ‘Gardenia‘ di Frank van Laecke e Alain Platel è stato portato a Firenze, al Teatro Verdi .
Ha chiuso la serata la proiezione del film ‘Before the last curtain fall‘ di Thomas Wallner (Germania, 2015).

SESTA GIORNATA

La sesta giornata del FQF è stata per fortuna un po’ meno densa di eventi delle precedenti e ci ha permesso così di prepararci più riposati al gran finale di martedì sera.
La giornata è cominciata con la proiezione di ‘Tant Pis Chapter One’, di Bruna Rodrigues.
Tant Pis Chapter One‘ è un documentario sull’amicizia di tre studenti brasiliani, Wal, Junior e Meg che grazie ad una borsa di studio presso l’Università Sorbona di Parigi, hanno la possibilità di lasciarsi alle spalle i sobborghi di Belém per andare in una grande città e intraprendere un viaggio alla scoperta di se stessi e della comunità LGBT francese. Walfredo Barbosa ha 20 anni e ha deciso di iniziare la sua transizione da uomo a donna. Il suo coraggio e il suo senso dell’umorismo gli hanno permesso di sopravvivere in una società omofobica come quella brasiliana. Wal ha un suo motto di vita, l’espressione francese “tant pis”, che significa “non importa, non vale la pena di preoccuparsi”.

Quindi abbiamo visto ‘Mamis‘ di Virginia Fuentes.

Il documentario MAMIS, girato a Cuba nell’agosto 2013, raccoglie le testimonianze di due coppie lesbiche, di due generazioni diverse, con due storie molto differenti riguardo alla maternità. Il film è dedicato a tutte le mamme. Essere gay a Cuba non è mai stato facile, anche se le cose sono cambiate notevolmente. Per le donne, è ancora più difficile, esse devono affrontare il doppio handicap di essere donne e gay in una società molto maschilista. Ovviamente è ancora più difficile essere madri gay a Cuba. La coppia meno giovane è composta da Violeta e Isabelle. Violeta, quando aveva 20 anni, durante una gita fu ubriacata e messa incinta dall’autista del pulman. Lei avrebbe voluto abortire, ma sua madre si oppose, anche nella speranza che Violeta, una volta diventata madre, sarebbe diventata meno lesbica. Fortunatamente un caro amico di Violeta riconobbe poi la bambina come sua. Poco dopo Violeta si mise assieme a Isabelle. La figlia di Violeta, quando aveva 12 anni apprese dal suo fidanzato di 20 che Violeta e Isabelle erano una coppia e ci rimase male; ora però che è cresciuta ha partecipato con la madre alla giornata contro l’omofobia. La seconda coppia è più giovane e più fortunata. Tamara e Yoana sono assieme da tre anni. Tamara aveva già due figli grandi di 19 e 6 anni, poi è venuto un bambino piccolo e un altro è in arrivo. Come lesbiche non hanno potuto fare l’inseminazione in ospedale, ma è stato facile fare tutto in casa con l’aiuto di una dottoressa loro amica. L’ultimo bambino è nato da Yoana grazie allo sperma del figlio maggiore di Tamara, che quindi ora è contemporaneamente mamma acquisita e nonna biologica del nascituro.

L’unico film italiano della giornata è stato ‘La terra dell’arcobaleno: la Puglia fa coming out‘ di Roberto Moretto dedicato all’affollato e coloratissimo Puglia Pride 2015 a Foggia.

Dopo i consueti corti del concorso Videoqueer e i videoclip musicali del progetto Indie Pride, ha aperto la serata ‘Winning Dad‘ di Arthur Allen.

Mike, il padre di Colby, sa che suo figlio è gay, ma preferisce ignorare tutto ciò che riguarda questo importante aspetto della vita di suo figlio; egli non sa nemmeno che Colby ha un compagno fisso, Rusty (interpretato dal regista stesso). I problemi nascono quando Colby, con la complicità della madre e della sorella, escogita un ingenuo piano per far conoscere il suo fidanzato a suo padre. Colby convince suo padre a passare un weekend di trekking in tenda con lui e il suo compagno, facendo passare quest’ultimo per un amico eterosessuale ed un futuro socio di affari. Poi con una scusa costringe il padre a fare la gita in montagna da solo con Rusty. Quando sembrava che i due fossero diventati amici, Rusty dichiara il suo amore per Colby e questo scatena una reazione furibonda in Mike. La strada verso un happy end, dove l’amore prevale su tutto, sarà ancora lunga e piena di pianti. Questo film, che appare a prima vista come una commedia che parla del coming out in famiglia di un ragazzo, è in realtà un dramma tutto al maschile su di un padre, un brav’uomo, conservatore e credente, che fatica a liberarsi dai propri pregiudizi riguardanti il sesso tra gay, pregiudizi che minacciano di mettere seriamente in crisi la felicità di suo figlio.

Ha chiuso la serata ‘ Das Floss! ‘ di Julia C. Kaiser.

La vita della giovane Kathas sembra una perfetta favola borghese: sette anni di solido fidanzamento con la splendida Jana a giorni coronato da un matrimonio e da un bambino in cantiere. Le due hanno trovato tramite un annuncio un donatore di seme e gli hanno già fatto firmare un contratto che regola ogni aspetto della donazione. A rovinare tutto arriva però il migliore amico d’infanzia di Kathas, Charly, che ha organizzato per lei una sorpresa speciale: una festa di addio al nubilato su di una zattera a motore sul fiume Sprea, insieme ad alcuni dei suoi migliori amici, tutti maschi. C’è Ken, un collega di lavoro, il suo fratellino Tobi e Momo, il futuro donatore di sperma. Kathas non apprezza affatto la presenza di Momo, perché voleva condividere questo momento intimo solo con gli amici più cari, mentre intendeva limitare i suoi rapporti con il donatore allo stretto necessario. Momo è in realtà d’accordo con lei: non vuole essere il futuro papà ma solo fornire il seme, Charly però proprio non la vede così: per lui Momo è a tutti gli effetti il papà del futuro bambino. E mentre i ragazzi discutono animatamente delle sue decisioni personali, l’unico desiderio di Kathas è quello di scendere da quella dannata zattera. A peggiorare ulteriormente le cose, giunge a Kathas la notizia che l’avvenente ex fidanzata di Jana, che non si è mai rassegnata a perderla, si è presentata alla porta della loro casa a Berlino ed è ora con Jana, che intanto si è ubriacata con le amiche per l’addio al nubilato. Kathas, presa dal panico, si rende conto di essere gelosa e di non fidarsi affatto della sua compagna. Comincia cosi a mettere in discussione la validità del suo progetto di vita comune con Jana e per evitare di essere lei quella che viene scaricata, inizia a pensare a delle possibili vie d’uscita… La regista, ha giustamente definito questo suo bel film di esordio: ‘una tragicommedia improvvisata sull’acqua’.

QUINTA GIORNATA

La quinta giornata del Florence Queer Festival si è aperta con la presentazione del libro ‘Corti d’Autore. 16 Autori raccontano il cinema‘ a cura di vari scrittori lgbt che negli anni sono passati al TGLFF. Presenti Giovanni Minerba Direttore del Torino Gay & Lesbian Film Festival.e alcuni degli autori: Bruno Casini e Milena Paulon. Il libro è una raccolta di sedici racconti brevi dedicati al cinema scritti da altrettanti amici del TGLFF festival.

Il primo film della giornata è stato il documentario di Filippo Soldi ‘Non so xchè ti odio – Tentata indagine sull’omofobia e i suoi motivi‘ introdotto in sala dal regista e da Marialaura Annibali, Presidente di Di’Gay Project e una dei protagonisti del film. ‘Non so xchè ti odio’ vuole indagare su cosa offende del comportamento omosessuale, tanto da scatenare in molti individui comportamenti omofobici. Il film dà la parola sia agli omosessuali aggrediti e ai parenti di vittime dell’omofobia, che agli autori di atti omofobici, compreso l’ assassino di un omosessuale. Il punto di forza del film è costituito dalle interviste ai militanti di associazioni omofobiche: i ‘Giuristi per la vita’ che si schierano contro la “Legge Scalfarotto”, le ‘Sentinelle in piedi’, ‘La Manif pour Tous’, gli appartenenti Forza Nuova. I tre portavoce di Forza Nuova, se non facessero rabbia, farebbero pena, quando cercano di nascondere l’imbarazzo e provano a dare un tono solenne alle loro farneticanti giustificazioni, mentre invece danno prova di una evidente confusione, prima ancora che ideologica, culturale, per non dire altro. E che dire del presidente dei “Giuristi per la vita” ? Con quello sguardo spiritato mentre straparla, e l’abbigliamento che gli dà l’aria di una maschera della commedia italiana. Guardando questa gente ognuno non può non chiedersi come mai riescano ad avere un seguito. Per questo ‘Non so xchè ti odio’ dovrebbe essere visto da più gente possibile, a cominciare dalle scuole superiori.

Dopo questo film molto serio, la giornata si è trasformata in una continua festa dedicata a trasformisti, drag Queen, e organizzatori di eventi nelle discoteche.
Si è cominciato con ‘The man behind the woman‘ di Enrique dal Pozo. Erano presenti in sala oltre al regista, Manel Dalgò e il suo compagno Thomas Schmieder.
In questo suo secondo documentario (il primo era stato “El Muro Rosa” sulla condizione di gay e lesbiche sotto il Franchismo) Enrique dal Pozo racconta la vita Manel Dalgò, ballerino, cantante, trasformista spagnolo, ora sulla cinquantina, con alle spalle una gloriosa carriera professionale. Manel Dalgò raggiunse i primi successi a Barcellona, dove era la star di un noto locale di cabaret chiamato ” Barcelona de noche”. Questo locale dovette però chiudere per sfratto a causa di un piano di riqualificazione del quartiere. Così nel 1991 Manel Dalgò accettò una proposta di lavoro a Berlino, dove andò ad esibirsi nel famoso Cabaret CHEZ NOUS, un locale con più di cinquant’anni di storia (1954-2008), dove si sono esibiti artisti come Coccinelle, Capucine, Amanda Lear, Shirley Bassey e sono passate grandi star come Josephine Baker, Dalida, Juliette Greco, le sorelle Kessler, Marlene Dietrich, Liberace, Anna Magnani. Dalgò è stato direttore artistico del locale negli ultimi nove anni. Impresario del cabaret era Thomas Schmieder, compagno di Manel Dalgò ormai da più di venticinque anni. Thomas Schmieder è stato per diversi anni impresario di Dalidà. Dopo la chiusura del CHEZ NOUS, Manel e Thomas si sono trasferiti nel Principato di Monaco. Manel è ora volontario nella lotta all’AIDS presso l’associazione Figh Aids Monaco, presieduta dalla Principessa Stephanie di Monaco e partecipa in prima persona agli eventi per la raccolta fondi. Manel Dalgò si è esibito nella sua di carriera nei panni di molte dive amate dai gay, da Marilyn Monroe a Mina. Questo film vuole anche essere un omaggio al divismo e a tutti gli artisti che come Dalgò, hanno sognato e fatto sognare il pubblico, nei panni di una diva.

Dopo i corti del concorso Videoqueer e i videoclip musicali del progetto Indie Pride è arrivata un’altra anteprima molto attesa, questa volta fortunatamente italiana.
Si tratta di tre video-ritratti firmati da Daniele Sartori qui raccolti sotto il nome Portraits.
Portraits I e II‘ sono dedicati a due Drag Queen italiane, che hanno un grande successo nei locali di Mikonos, Gloria Darling e Priscilla. Il terzo documentario, proiettato separatamente ‘Portraits – Prince Maurice: a tribute‘, è dedicato al noto performer Principe Maurice (al secolo Maurizio Agosti). Prima e dopo la proiezione Gloria Darling a Priscilla hanno dato prova del loro talento esibendosi sul palco.
Sartori anche in passato ha mostrato interesse e simpatia per gli artisti in drag e per tutto ciò che è fantastico, fiammeggiante, illusorio, un po’ eccessivo, come in Doris Ortiz e in What about Alice, e non stupisce quindi questa sua nuova scelta. Dei due ritratti di Drag queen, entrambi come al solito per Sartori, molto curati, quello dedicato a Priscilla è forse il migliore, sia perchè qui Sartori ha maggiormente messo a frutto il suo indiscutibile talento nel gestire l’immagine, ma anche perchè il protagonista, Priscilla, smessi i panni luccicanti, riesce poi a tenere molto bene la scena, parlando amabilmente di cose per niente scontate e banali, come il fatto che chi si traveste è forse più discriminato all’interno della comunità gay che tra gli eterosessuali, ed il ruolo che le drag queen hanno avuto nel movimento lgbt.

Prima della proiezione dell’ultima parte del trittico di Daniele Sartori, abbiamo visto la commedia ‘Portait of a Serial monogamist’ di John Mitchell e Christina Zeidler.

Protagonista del film è Elsie, una donna di circa quarant’anni, di Toronto, lesbica e ebrea. Elsie ha un lavoro di successo (produttore televisivo) ed è bella e intelligente. Elsie è però anche una monogama seriale: ha cioè problemi a impegnarsi sentimentalmente a lungo termine mentre è bravissima nel troncare le sue relazioni non appena si fanno serie, per poi gettarsi a capofitto in una nuova storia, senza lasciarsi il tempo per pensare. Ma quando a farne le spese è la sua compagna da cinque anni Robyn, che Elsie scarica per rimpiazzarla subito con la più giovane e sexy barista/DJ Lolli, le cose non vanno come lei aveva sperato. Elsie deve fronteggiare le proteste di sua madre e le critiche delle sue amiche, che la invitano a rimanere per un po’ single. Lolli poi, non è nemmeno interessata ad una relazione. Elsie si convince sempre di più di avere commesso un grave errore, e di avere gettato via l’amore della sua vita. La regista Christina Zeidler ha dichiarato di essersi ispirata per il personaggio di Elsie al protagonista maschile di ‘Alta fedeltà’ di Stephen Frears, un personaggio piuttosto egoista, immaturo, ma anche divertente e affascinante, capace perciò di conquistare il pubblico, che prende le sue difese anche se non ne condivide le scelte. Il film ha almeno una scena irresistibile, quando la cerimonia per la morte del gatto di una coppia di amiche dì Elsie, diventa l’occasione di una lite tra Elsie e Robyn.

Ha quindi chiuso la serata ‘Portraits – Prince Maurice: a tribute‘ di Daniele Sartori.

Icona della vita notturna a partire dagli anni ’90, “gran cerimoniere” del Carnevale di Venezia, straordinario performer, Maurizio Agosti in arte ‘Principe Maurice’ si è esibito nei club più esclusivi d’Europa. Sartori ha seguito Principe Maurice durante gli ultimi otto mesi della sua attività, in vari locali e soprattutto al Cocoricò di Rimini. Nel film Principe Maurice ci fa un ampio racconto della sua vita artistica e privata, raccontandoci di alcuni dei suoi successi in giro per il mondo, come animatore in locali come il Cocoricò di Riccione, il Plastic di Milano, il Gilda di Roma e poi in locali a Madrid, Parigi e New York, e del suo ruolo nell’organizzazione del Carnevale di Venezia, ma anche della sua liason con Grace Jones e del suo grande amore, lo stilista Pierluigi Voltolina, venuto a mancare alcuni anni fa.
Nelle sue serate, in locali solitamente dedicati alla musica tecno, Principe Maurice ha introdotto uno stile del tutto personale, con contaminazioni tra lo stile barocco e quello rock, ricreando una specie di cabaret dove trovano posto anche il teatro, e la musica classica. Principe Maurice ha una volta dichiarato dichiarato: ‘ Bisogna stupire, bisogna far pensare, lasciare qualcosa dentro, elargire emozioni con la poesia, con una musica diversa da quella che il pubblico ascolta di solito’. In una frase: ‘Bisogna creare bellezza’.
Principe Maurice ha reinterpretato diverse canzoni di Klaus Nomi, autore eccentrico e ‘maledetto’, che assieme a Lindsay Kemp, rappresenta la sua musa ispiratrice. La parte più spettacolare del film di Sartori è appunto costituita dal tributo di Principe Maurice alle sue due icone. In questi due videoclip l’estetica visionaria e la maestria tecnica di Sartori si fondono in modo davvero sorprendente con l’unicità del personaggio Principe Maurice.
Finita la proiezione Principe Maurice ha invitato tutti i presenti ad una festa sotto il cinema Odeon allo Yab per festeggiare il proprio compleanno, dove si è anche esibito in alcune delle canzoni del suo repertorio. Sentendo parlare Principe Maurice nel video di Sartori si ha qua e là l’impressione, che qualche volta esageri un po’ nei suoi successi. Quando però si ha occasione di parlargli direttamente e di vederlo all’opera ci si rende conto di avere davanti un personaggio con doti davvero fuori dal comune.

QUARTA GIORNATA

La quarta giornata del Florence Queer Festival, si è aperta con la presentazione del libro ‘La biblioteca ritrovata. Percorsi di lettura gay nel mondo contemporaneo‘ di Francesco Gnerre (Rogas Edizioni) all’ IBS Bookshop. Con l’autore è intervenuto Andrea Pini. Francesco Gnerre, uno tra i maggiori esperti italiani di letteratura gay, con questo suo libro, davvero indispensabile per chiunque si interessi di letteratura omosessuale, ci propone una guida ragionata alla lettura di un centinaio circa di opere a tematica omosessuale tra più significative pubblicate in Italia e nel mondo. Le recensioni sono raccolte in tre ampi capitoli, che corrispondono anche a diversi periodi storici e a diverse fasi nel processo di emancipazione della comunità omosessuale, che Gnerre ha intitolato: Antichi castighi e nuove libertà, Altri amori altre famiglie, Dal sogno di Tazio alla generazione rainbow..

Le proiezioni al cinema Odeon si sono aperte con il bellissimo documentario ‘Fassbinder – Lieben ohne zu fordern’ di Christian Braad Thomsen (Danimarca, 2014), introdotto da Federico Tiezzi.della compagnia teatrale Lombardi Tiezzi, in passato impegnato nella Compagnia dei Magazzini Criminali. Tiezzi ci ha anche parlato della sua esperienza con Fassbinder, che era venuto in Italia a filmare due dei suoi lavoratori.

Il documentario si basa su alcune interviste che Braad Thomsen aveva filmato con Fassbinder (1945-1982) a partire dal 1970. Il regista danese Christian Braad Thomsen era un amico di Rainer Werner Fassbinder. I due si incontrarono per la prima volta quando Fassbinder presentò il suo primo film “L’amore è più freddo della morte” alla Berlinale del 1969; il film fu fischiatissimo dal pubblico. Si sono poi visti per l’ultima volta solo tre settimane prima della morte di Fassbinder. Inoltre Braad Thomsen poco dopo la morte del regista fece la registrazione di un’intervista con la madre di Fassbinder, Lilo Pempeit, (traduttrice e attrice per il figlio) che ricorda l’infanzia del figlio. Fassbinder fu sempre molto legato alla madre, mentre con il padre, che abbandonò la famiglia quando lui era bambino, aveva un rapporto pessimo.
Il film contiene anche recenti ricordi dell’attrice Irm Hermann, La Hermann, diventò amica di Fassbinder,quando lui era ancora sconosciuto al pubblico, ma sognava di fare film Hollywoodiani ‘ma più sinceri’ a Monaco. .La Hermann e Fassbinder vissero anche assieme, e lei tentò il suicidio quando lui abbandonò l’appartamento. Lei ci racconta anche che un altro attore si suicidò perché Fassbinder non l’aveva invitato al suo compleanno. Fassbinder aveva un carisma eccezionale capace di attirare attorno a se persone che l’adoravano. Capace di ottenere dagli attori quello che voleva con la dolcezza e la pazienza, ma poi anche soggetto a scenate terribili. Nei primi anni della sua vita aveva vissuto in una famiglia molto allargata, perché i genitori dovettero ospitare dei parenti rimasti senza casa dopo la guerra, e nella sua vita egli cercò sempre di ricrearsi una famiglia allargata con i suoi attori e i suoi amanti. Comunità che poi si disperdevano per il cattivo carattere del regista.
Appaiono anche l’attore e produttore Harry Bär , che fù l’ultimo a parlare con Fassbinder, poche ore prima della morte e l’attrice Andrea Schober, che ha recitò in ruoli secondari nei primi film di Fassbinder. Harry Bär ricorda che Fassbinder spendeva grosse somme di denaro per il suo amante arabo invece di dividere i soldi con gli attori.
Tutte le sequenze sono legate da Braad Thomsens con ricordi personali della sua amicizia con Fassbinder. E’ interessante notare come la voce e l’aspetto del regista cambi dalle sue immagini più vecchie a quelle più vicine alla morte. Ai tempi di “L’amore è più freddo della morte” Fassbinder
è un giovanotto scattante pieno di energia, sicuro delle sue idee cinematografiche e pronto a combattere per esse. Nelle immagini più recenti Fassbinder appare invece molto appesantito, piuttosto spento, quasi poco lucido, come se la sua frenetica attività lavorativa, che lo ha portato a girare più di 60 film in 14 anni, gli avesse fatto vivere un’intera vita in pochi anni e ora fosse già vecchio.
Il documentario è diviso in sette capitoli (infanzia, i sogni, la carriera, l’amore, la psicoanalisi, il matrimonio, la follia, la morte).

Abbiamo quindi visto ‘Stella di Mare‘ di Sirka Capone (Italia, 2015), corto comico con Carlina Benvenuti, già protagonista di ‘Dhe lell world‘, parodia della serie tv “The L word“. Qui Carlina interpreta una importante produttrice di film lesbici in viaggio verso Tolone per ricevere un premio. Carlina, presente in sala ha scatenato l’entusiasmo del folto pubblico femminile.
Quindi Elisa Grimaldi ci ha presentato alcune web series, raccolte qui sotto il titolo di Tutti pazzi per il Web. Abbiamo cosi visto degli spezzoni di due webserie italiane molto popolari: G&T, la storia d’amore un po’ travagliata tra due amici d’infanzia e LSB che ci racconta le vite di un gruppo di amiche lesbiche. E poi due serie estere: Brothers (USA), sulla vita di tutti i giorni di quattro FtM e Out with Dad (Canada), sul il rapporto tra un padre single e la figlia adolescente lesbica. Alla presenza di Francesco D’Alessio e Matteo Rocchi di G&T e Geraldine Ottier e Floriana Buonomo di LSB.

Sono poi salite sul palco le ragazze del gruppo Badhole per presentarci il loro ultimo lavoro 10percento di Silvia Novelli, (Italia, 2015) tutto incentrato su due donne chiuse in un ascensore che rimane bloccato per 100 puntate.

In prima serata, dopo la consueta rassegna di videoclip musicali contro l’omofobia Musica per immagini e diritti a cura Cosimo Morleo per Indie Pride, abbiamo visto ‘S & M Sally‘ di Michelle Ehlen (USA, 2014)

Per la terza volta la regista Michelle Ehlen è anche protagonista in un suo film, nei panni di ‘Butch Jamie’, una robusta lesbica mascolina (butch), insicura e goffa. Quì Jamie è da circa un anno accoppiata con la sua fidanzata Jill, una ‘lesbica femme’ molto carina e le due donne hanno fatto il grande passo di andare a vivere assieme. Jamie però non è tranquilla da quando ha scoperto che la sua fidanzata Jill ha avuto in passato delle esperienze di bondage/sado-maso (BDSM) e ora cerca di introdurre quelle pratiche nei loro rapporti intimi. Jame per sentirsi all’altezza delle aspettative sessuali di Jill, ha la cattiva idea di proporle di frequentare assieme un club BDSM. In questo club, Jamie decide lo pseudonimo di Sally. Essendo la butch della coppia, Jamie dà per scontato che spetti a lei il ruolo dominante e attivo nella coppia, ma Jill non ha nessuna intenzione di essere sottomessa a Jamie. Assistiamo cosi ad un cambio di ruoli all’interno della coppia, dove Jill, la partner più femminile, lotta per la posizione dominante e vince, facendo scattare in Jamie grande insicurezza riguardo alla sua identità di butch. Mentre Jamie ha i suoi problemi con il BDSM, il suo migliore amico, David, senza saperlo si ritrova coinvolto in una situazione di ‘poli-amore’, quando inizia a frequentare Sebastian, lo stesso ragazzo di Lola, una ex di Jamie, che David non sopporta. Sebastian, un ragazzo molto sexy, bisessuale e poligamo, propone ai suoi due amanti un rapporto intimo a tre. Entrambi accettano per fare bella figura con Sebastian, senza però avere la reale intenzione di arrivare fino in fondo. Il film è una divertente riflessione sul modo in cui la vita delle coppie può cambiare nel corso del tempo e su come l’idea che uno si fa del suo ruolo in un rapporto, possa non corrispondere alla realtà. Tutti i personaggi del film mostrano i loro limiti nell’esplorare nuovi territori sessuali, ma allo stesso tempo scoprono che cosi facendo possono migliorare se stessi.

Ultimo film della serata è stato ‘The David Dance‘ di April Winney (USA, 2015) .

Il film, ambientato a Buffalo, New York, quasi sempre in inverno, è incentrato sul rapporto molto stretto che lega due fratelli, David (Don Scime ) e Kate (Antoinette LaVecchia). David è il conduttore di un fortunato programma radiofonico locale chiamato “Gay Talk”. Nei panni del suo personaggio radiofonico “Danger Dave”, David è brillante, spiritoso e adorato da tutti i suoi ascoltatori, mentre quando è fuori trasmissione diventa patologicamente introverso. A trent’anni suonati David non ha ancora fatto coming-out con nessuno ed è molto solo.
Kate è una manager, più volte divorziata. Entrambi i fratelli hanno successo nel lavoro, ma dentro di loro soffrono di un grande senso di inadeguatezza. I due sono, sin dall’infanzia, uno il migliore amico dell’altra. Kate fa di tutto per procurare al fratello degli appuntamenti con potenziali partner. Un giorno Kate decide di dare una svolta alla sua vita adottando una ragazzina orfana brasiliana e chiede al fratello di fare da figura paterna per la piccola. Questa richiesta mette in crisi David , che nel frattempo è anche alle prese con le sue insicurezze, mentre un suo amabile collega, Chris, mostra interesse per lui.
Il film si apre quando il programma radiofonico di David è stato appena annullato e il suo collega Chris gli sta dicendo addio, preparandosi ad abbandonare l’appartamento che i due condividevano e la sorella Kate, è da poco morta, durante il viaggio verso il Brasile. Scopriamo di più sulla vita di David con una serie di flashback e di salti in avanti nel tempo, che si intrecciano per spiegarci come egli sia arrivato a quel punto e come poi riesca a superare la sua depressione e il suo lutto, accettando di amare se stesso e gli altri. Il titolo del film richiama una scena cruciale in cui David si ritrova turbato a dover ballare con Chris, che ancora non conosce, durante il ricevimento di uno dei matrimoni della sorella. Diretto con grande sensibilità dalla regista televisiva Aprill Winney, THE DAVID DANCE si basa sull’omonimo lavoro teatrale di Don Scime che qui è anche produttore oltre che protagonista. Don Scime presente in sala ci ha raccontato che l’idea del film gli è venuta quando sua sorella gli aveva parlato di voler adottare un bambino e gli aveva chiesto di fare da figura paterna. Il film ha diversi elementi autobiografici, comunque Scime era accompagnato dalla sua vera sorella, che per fortuna sembrava godere di ottima salute.

TERZA GIORNATA

La terza giornata del Florence Queer Festival, si è aperta con la presentazione del libro Glam City! di Domenico Trischitta (Avagliano editore) all’IBS Bookshop. Con l’autore, sono intervenuti Walter Rizzo e Francesca Gennuso che ha letto alcuni brani. Il libro, tratto da una storia in gran parte vera, ha come protagonista Gerry Garozzo, un ragazzo ventenne catanese che vuole sfondare nel mondo dello spettacolo. Durante un viaggio a Londra rimane folgorato dalla musica Glam Rock e da Marc Bolan. Tornato a Catania, con alcuni amici, anch’essi amanti del travestitismo e della trasgressione, tenta di ricreare nella sua città, il luccicante ambiente del movimento Glam. Sfortunatamente per lui, pur avendo tanto talento, quando inizia a cantare e a travestirsi è troppo in avanti coi tempi e nessuno lo prende sul serio. Possiamo dire insomma che l’immaginario Gerry Garozzo, può aggiungersi a pieno titolo a quel pantheon degli eroi romantici ed eccentrici a cui ci ha abituato in tanti anni il Florence Queer Festival, insieme ad artisti reali come Jobriath, Leigh Bowery, Divine, Klaus Nomi, Cybersissy e tanti altri.

Il primo lungometraggio della giornata è stato ‘Reel In The Closet‘ (Bobine nell’armadio) di Stewart Maddux.

Il regista Stu Maddux che già si era distinto per il suo precedente documentario ‘GEN SILENT’ , uno dei pochi ad occuparsi delle discriminazioni che devono affrontare le persone anziane LGBT, ora con il suo nuovo documentario affronta un altro fondamentale tema: la necessità di salvare, conservare, convertire in supporti leggibili e promuovere la visione, di tutte quelle immagini che nate come un passatempo privato delle generazioni lgbt che ci hanno preceduto, ora sono diventate testimonianze importanti della nostra storia passata.
Reel in the Closet‘ fornisce un inedito spaccato di come sono state le vite degli individui LGBTQ a partire dagli anni 30’ , attraverso filmati amatoriali salvati dalla distruzione, perché raccolti e conservati da associazioni LGBT e non. Durante le ricerche per il suo documentario, il regista Stu Maddux ha collaborato con circa una dozzina di queste organizzazioni. La maggior parte del ricco materiale LGBT raccolto, non era stato visionato da anni e non era mai stato trasferito su supporti leggibili. I filmati comprendono tutto ciò che tradizionalmente è oggetto di video amatoriali: vacanze, feste, spettacolini in locali gay ora non più esistenti, gite con gli amici. Ci vengono mostrate anche riprese di eventi pubblici come gay pride, manifestazioni di ACT UP, mostre di arte LGBT, ma questa è forse la parte meno originale del film. Questi filmini familiari, per il fatto di riguardare persone lgbt del passato, permettono a noi spettatori lgbt di oggi, di farci sentire come parte di una storia, mostrandoci come già in tempi remoti , i nostri predecessori cercassero di creare la propria felicità, nonostante un ambiente molto più ostile di oggi. Maddux considera il suo documentario come un tassello di una attività collettiva “in-progress”. Le proiezioni del film hanno anche lo scopo di incentivare nuove donazioni da parte dei protagonisti dei filmati, o dei loro parenti . Come ha detto il regista ” il materiale migliore è ancora da tutto scoprire, chiuso in armadi e in soffitte in attesa di essere buttato via dai familiari che non vogliono far sapere che la zia non era eterosessuale”. Il confronto tra la situazione italiana e quella americana mostrata nel film, in tema di conservazione dei filmati amatoriali di argomento LGBT, è purtroppo sconfortante. In Italia solo in questi giorni è nato a Bologna un primo archivio audiovisivo sulla storia del movimento LGBT a cura del regista Simone Cangelosi. Auguriamo a Simone tanta fortuna.

In prima serata abbiamo visto Je suis Annemarie Schwarzenbach di Veronique Aubouy (Francia, 2014).

Annemarie Schwarzenbach (1908 -1942) è stata una scrittrice svizzera, proveniente da una famiglia molto ricca, giornalista, fotografa e viaggiatrice instancabile, lesbica, androgina, tossicodipendente, amante della libertà. Durante i suoi viaggi che si spinsero in luoghi remoti come l’Afganistan, vedeva molte cose e incontrava molte donne e di getto scriveva le sue impressioni. Dimenticata per molto tempo, è stata riscoperta di recente, soprattutto grazie alle ristampe dei suoi libri da parte di case editrici femministe. Questo film non è un vero documentario sulla Schwarzenbach, ma piuttosto una performance artistica collettiva su di lei. La regista Véronique Aubouy ha selezionato con dei provini sedici giovanissimi attori, tutte donne tranne un ragazzo, per rappresentare la Schwarzenbach, i suoi amici e le sue amanti, tra cui i fratelli Erika e Klaus Mann. Ognuno di loro doveva interpretare a turno la Schwarzenbach. Gli attori sono stati invitati ad associare le loro biografie a quella della scrittrice. Dopo i provini, gli attori recitano delle scene collettive, che partono dai testi della Schwarzenbach, e quindi seguono le spontanee intuizioni dei ragazzi. La regista Véronique Aubouy ha giustificato la sua decisione di far interpretare la stessa parte di Annemarie a tanti giovani con la necessità di approcciare un personaggio così complesso non da un solo punto di vista, per poterne rappresentare tutte le sfaccettature. A suo parere proprio l’unico ragazzo presente, Valentin, è stato quello che meglio ha rappresentato la grande sensibilità dell’artista svizzera.
Questo film non è l’opera più originale della regista Véronique Aubouy. Lei infatti sta girando da ventidue anni un film molto lungo, una lettura integrale della Recherche di Marcel Proust. Sino ad oggi ha filmato 1200 persone, di tutti i tipi e generi, in luoghi molto diversi, tutti incarnazioni differenti dei personaggi del libro. Onestamente non siamo sicuri di voler vedere questo film in una prossima edizione del Festival, almeno non nella versione integrale.

La serata si è chiusa con Je suis à toi di David Lambert (Belgio-Canada, 2014)

Lucas è un ingenuo ventenne argentino, non proprio una bellezza ma passabile, che tira avanti a fatica toccandosi in diretta in qualche sito porno gay. Un giorno gli arriva quella che gli sembra un’occasione da non perdere: Henry un panettiere belga lo invita ad andare a vivere e a lavorare con lui. Quando Lucas arriva in casa di Henry, la delusione è forte. Che Henry non fosse il principe azzurro, ma un obeso signore di mezza età in cerca di sesso già lo sapeva, ma si aspettava qualcosa di più rispetto al paesino deserto al cielo grigio e alla casa piccola, modesta e con un solo letto. Anche il lavoro di apprendista panettiere è faticoso e non così semplice. Lucas si rende conto di essersi infilato in una triste prigione e scappa. Dopo un paio di notti al freddo è costretto a tornare. Henry a quel punto è trionfante, con poca spesa si è portato a casa un giocattolo sessuale che per di più gli lavora anche in panetteria, e se ne vanta pure con i compaesani, umiliando Lucas in pubblico. Nonostante tutto, tra i due nasce un legame affettivo, ma a capovolgere di nuovo la situazione, ci si mette la commessa del negozio, una ragazza canadese rimasta da poco vedova con un bambino, che risveglia in Lucas il desiderio per l’altro sesso, cosa che ovviamente provoca la cieca gelosia di Henry. Quando poi Lucas si scopre ammalato, i rapporti in questo sgangherato triangolo amoroso si complicano ulteriormente. Questa bella commedia, divertente e drammatica allo stesso tempo, ci mostra con grande lucidità, quasi fassbinderiana, il gioco dei rapporti di forza in una coppia fortemente squilibrata. Dietro allo scambio economico-sessuale, sia Lucas che Henry nascondono una grande solitudine ed un bisogno di amore e di famiglia, ma entrambi non sanno veramente in che modo e con chi poter soddisfare questi loro bisogni primari. Bravissimi entrambi i protagonisti principali. Da vedere.

SECONDA GIORNATA

La seconda giornata del Florence Queer Festival, si è aperta, con la presentazione del libro ‘Rettore. Magnifico delirio‘ di Gianluca Meis presso la libreria IBS. L’autore ne ha parlato insieme a Willy Vaira e Bruno Casini. Il libro è la storia della vita artistica della Rettore vista dalla parte di un fan che parla del suo mito. Non è una biografia classica, ma la storia di una persona, Gianluca stesso, che dall’età di dodici anni inizia ad ascoltare la Rettore e ne rimane sconvolto. Tutto ambientato negli anni ’80, con intorno la cultura musicale e LGBT di quei tempi. La Rettore, una delle artiste più amate dal pubblico gay, è autrice delle sue canzoni, è una performer nata e anticipatrice di mode, ha avuto un enorme successo anche se il suo valore non sempre è stato adeguatamente riconosciuto dai produttori quando ha cercato di scrivere cose diverse dai suoi più grandi sucessi.

Le proiezioni al Cinema Odeon sono iniziate con il documentario latinoamericano ‘The New Man – El hombre nuevo ‘ di Aldo Garay (Uruguay-Chile, 2015). Come avevamo già visto ieri con ‘La donna pipistrello‘ sulla vita di Romina Cecconi, una delle prime transessuali che hanno cambiato sesso in Italia, le persone transessuali devono spesso sopportare tali e tante sofferenze che arrivano ad un certo punto a costruirsi una personalità fortissima e riescono poi anche a ridere delle passate sventure. La protagonista di questo documentario, Stephania Curbelo Mirza, nata Roberto Jose, è una di queste persone, ma con una storia alle spalle davvero unica.
Stephania è una trans di 42 anni, che si guadagna da vivere come custode in un parcheggio di macchine a Montevideo in Uruguay, è trascurata, dimostra più degli anni che ha e non ha una casa vera e propria, perché nessuno vuole affittare ad una transessuale come lei. Stephania è nata come Roberto Jose a Managua in Nicaragua, da una famiglia molto povera, il padre era alcolizzato e picchiava i suoi otto figli. Già da piccola era diversa dai suoi sette fratelli, amava indossare i vestiti delle sorelle e voleva cucinare. Viveva sempre in strada. A 7 anni viene arruolata dai rivoluzionari sandinisti come combattente e poi come ‘maestro alfabetizzatore’ della rivoluzione. Adottata da una coppia di uruguaiani attivisti Tupamaro, che erano stati rifugiati in Nicaragua, si trasferisce poi con la nuova famiglia in Uruguay. Da adolescente ha fatto anche il modello, poi inizia a travestirsi, arriva l’abbandono della famiglia adottiva, la prostituzione e la droga. Ora per lei le cose vanno un po’ meglio e ha iniziato l’iter burocratico per l’intervento chirurgico di cambio del sesso.Il regista Aldo Garay conosce Stephania da più di venti anni, l’aveva già intervistata assieme ad altre trans in uno dei suoi primi documentari. Solo ora però è riuscito ad aiutarla a realizzare il suo sogno di rivedere la sua famiglia e il suo Paese di origine. Stephania cerca in internet il nome dei suoi sette fratelli e ne trova uno. Da lì raggiunge gli altri familiari. Quindi seguiamo Stephania in Nicaragua, dove incontra i genitori, i fratelli ed i vecchi amici rimasti. Ovviamente il suo problema maggiore sarà quello di farsi accettare come donna. Un fratello minore, fervente evangelista, convince Stephania a partecipare a una specie di esorcismo in chiesa, per guarirla. . El hombre nuevo ha ricevuto al 65° FESTIVAL DI BERLINO (2015) il premio Teddy come miglior documentario.

A seguire abbiamo visto il cortometraggio ‘Chiesa e Stato vol.1 – Potere spirituale‘ di Umberto Baccolo.
Il FQF ci ha piacevolmente abituati a dei film a volte piuttosto fuori dalle righe, interessanti e strambi. ‘Chiesa e Stato vol.1 ‘è uno di questi. Il protagonista di questo corto è un ragazzo di 19 anni che ha un fortissimo senso di colpa, per via della sua forte educazione cattolica e del suo legame con il prete della sua parrocchia. Questo ragazzo per una serie di eventi di ritrova una notte a dover cercare rifugio in una bieca locanda, dove subisce un’ esperienza omosessuale di tipo sadomaso. Il problema è che gli è piaciuto. Questo crea in lui un grande conflitto interiore, conflitto tra il potere del suo dominatore sessuale e il potere del prete confessore. Il ragazzo dovrà capire come potrà collocarsi all’interno della Chiesa e della società dopo questa esperienza. Forse potrebbe conciliare riti religiosi e riti sadomaso ?
Il cortometraggio nasce come saggio di fine anno per la scuola di cinema di Sentieri Selvaggi a Roma. Umberto Baccolo vive tra Roma e Berlino. E’ produttore associato e attore del film di Yony Leyser ‘Desire Will Set You Free’ che ha inaugurato il Florence Film Festival 2015.

L’atteso documentario ‘Seed money: the Chuck Holmes story‘ di Michael Stabile ci racconta la vita di Chuck Holmes, il fondatore dei Falcon Studios. Chuck Holmes arriva a San Francisco nel 1971 dall’Indiana, in cerca di fortuna, con una passione per il sesso e con il bernoccolo per gli affari. Appassionato collezionista di porno, avverte l’opportunità del buon affare e arruola alcuni registi per iniziare a produrre film in 8mm, di qualità superiore a quelli allora in circolazione. Falcon Films in poco tempo diventa lo standard con cui gli altri devono confrontarsi, e il business del porno esplode. In un’epoca in cui la cultura dominante descrive la vita dei gay ancora come persone malate e sole, Chuck offre ai clienti dei suoi video un’alternativa brillante, senza vergogna e disponibile in bobine 8mm. I suoi attori sono i classici bei ragazzi della porta accanto, simili a studenti biondi, belli, educati e vestiti in modo semplice ma pulito. I film cominciano a riflettere e amplificare le immagini della liberazione gay e a documentare i mutevoli stili degli uomini gay americani. Come distributore di materiale per adulti, Chuck ha dovuto affrontare problemi sia con la polizia (la buon costume) che incriminazioni dell’FBI. Quando altri registi finivano in prigione, Chuck comprava le loro aziende. Chuck diventa incredibilmente ricco. Inizia però a dover combattere con l’abuso di droga e a metà degli anni ’80, scopre di avere l’AIDS. Nonostante ciò, inizialmente è contrario a far mettere i preservativi ai suoi attori, temendo un calo degli affari. Poi però affronta la nuova realtà e cambia vita. Comincia donare soldi per cause gay, e per la lotta all’AIDS e diventa anche un importante finanziatore del Partito Democratico. La sua salute si deteriora, e nel 2000 muore. Anche dopo la morte, il denaro di Chuck non è intascato senza polemiche. Dopo un lascito di un milione di dollari per un nuovo Gay & lesbian Center a San Francisco, in molti nella comunità gay hanno considerato imbarazzante intestare il nuovo centro al benefattore. Questo bellissimo documentario dimostra una volta di più quanto gli americani siano bravi nel conservare la loro storia e nel darle rilevanza. Chi in Italia farebbe un documentario su di un produttore di film porno gay ?

In prima serata dopo il primo appuntamento con ‘Musica per immagini e diritti‘, una rassegna di videoclip musicali contro l’omofobia e per i diritti realizzata in collaborazione con Indie Pride, Dimitri Milopulos, regista greco che a Sesto Firenzino dirige il Teatro della Limonaia, ci ha introdotto il film ‘7 Kinds of wrath‘ di Christos Voupouras.

Il film ruota attorno al rapporto di amore che si instaura tra un archeologo 45-enne di Atene, Petros ed un ventenne immigrato dall’Egitto, Hussam (l’attore albanese Nikos Gelia protagonista anche in Xenia), incontrato durante una missione di lavoro sugli scavi del teatro antico di Argo. Quello che inizia come un veloce incontro sessuale, si sviluppa poi in una relazione vera e propria, con Hussam, mussulmano praticante, che proclama continuamente il suo amore per Petros (ma sarà sincero ?), mentre quest’ultimo, appena uscito da una lunga storia, non riesce proprio a dire ti amo. Petros in questo momento non cerca l’amore ma qualcosa d’altro e in queste sue ricerche interagisce con altri personaggi, ognuno a suo modo “diverso”, che però saranno tutti fonte di esperienze in vario modo traumatiche (le 7 rabbbie del titolo): Laerte e Migen, immigrati albanesi, che insieme ad una ragazza, Alexandra, formano un trio di musica classica (e un trio erotico malriuscito); Daniel, un gay di mezza età, ricco, che paga per la compagnia di cui ha bisogno; Michael, un poliziotto pazzo. Il film è girato quasi interamente in bianco e nero, e diventa a colori solo quando Petros trova una soluzione interiore ai suoi dilemmi. ‘7 Kinds of wrath’ ha il suo punto di forza nella descrizione di come l’impatto dello straniero costringa il cittadino greco a dover affrontare scenari lontani dalla sua tradizione e di come le differenze culturali e sociali interferiscano in tema di amore e di desiderio tra individui con estrazioni sociali molto diverse.
Come dice Dimitri Milopulos ‘si tratta di una storia ai confini della citta, ai confini dell’esistenza, ai confini della vita’. Si svolge ai margini della città di Atene, una città molto diversa da quella turistica. All’interno del film sono presenti tantissime citazioni, sia cinematografiche che mitologiche, con richiami a Pasolini, Genet, Cocteau, Fassbinder. Un mix di varie cinematografie montate insieme. Atene è in questo film una protagonista, una città dove trovano spazio molte etnie. E l’autore vede questo mix di etnie come positivo. Il film si basa su un libro omonimo scritto dallo stesso regista e sceneggiatore del film, Christos Voupouras.

Ha chiuso la serata il film candidato al premio Oscar SAND DOLLARS (Dòlares de arena) di Laura Amelia Guzman e Israel Cardenas
La storia raccontata in ‘Dolares de arena’, una relazione turista-prostituta/o ambientata in un esotico paradiso del sesso, è arrivata spesso sui nostri schermi. Avevamo visto in La partida (2013) un giovane prostituto cubano illudersi che un suo cliente l’avrebbe portato con sé in Spagna. In Verso il sud (2005) era una donna, Charlotte Rampling , che ad Haiti, si intratteneva con aitanti giovanotti locali prezzolati. ‘ Dolares de arena’ ha se non altro il merito di aggiungere una nuova variante al tema. Ambientato in una località balneare della Repubblica Dominicana, il film ha per protagonista Anne, una anziana signora francese, ricca, elegante e colta, già nonna e ormai fisicamente malridotta, interpretata magistralmente da Geraldine Chaplin, che si innamora di Noeli, una bella e giovanissima ragazza locale. Le due si vedono già da tre anni, ma Noeli ha nel frattempo altri clienti di entrambi i sessi ed è pure fidanzata con un ragazzo locale, che lei fa passare ad Anne per il fratello. Questo ragazzo accetta di buon grado le relazioni di Noeli, perché con i soldi che lei gli passa può ben integrare i suoi magri guadagni in lavori saltuari. Egli accetta anche l’idea che Noeli segua Anne a Parigi, visto che lei gli ha promesso di continuare a spedirgli soldi dalla Francia. Quando però lui scopre che Noeli aspetta un figlio (forse) suo, cambia bruscamente opinione. A Noeli non dispiace la compagnia Anne, che la circonda di cure, ma è succube del compagno e considera la sua cliente solo come una mucca da cui mungere soldi. In un rapporto cosi squilibrato, qualcuno finirà per soffrire. Il film è poco parlato, forse per sottolineare l’enorme divario culturale tra Anne e i due giovani domenicani. In compenso c’è molta bella musica locale, in particolare Il tema del film Muero contigo” di Rafael Cordero, che ci viene riproposto più volte.

PRIMA GIORNATA

Si è partiti nel pomeriggio con il documentario di Andrea Adriatico ‘Torri, checche e tortellini‘ presentato in sala da regista e da Eva Robis’s, mentre alle 21 dopo l’apertura ufficiale è stato trasmesso un altro documentario italiano ‘La donna pipistrello‘ di Francesco Belais e Matteo Tortora, presenti in sala insieme a Romina Cecconi, la Romanina. Questi due documentari, insieme a Portraits di Daniele Sartori e ad alcuni corti, sono le uniche presenze italiane al Festival e questo rispecchia un po’ la situazione attuale del cinema LGBT italiano, che purtroppo non sembra in grado di produrre dei buoni film di fiction.

Torri, checche e tortellini‘ e ‘La donna pipistrello‘ pur essendo due film completamente differenti hanno entrambi il grande merito di portare a conoscenza del pubblico due pezzi di storia LGBT italiana, conservandone quindi la memoria.

In ‘Torri, checche e tortellini‘ si racconta la gloriosa storia del ‘Cassero’ di Porta Saragozza a Bologna. Nel 1982 per la prima volta in Italia, un’amministrazione pubblica, il Comune di Bologna, a guida PCI, assegnava una sede ad una associazione omosessuale. Il Cassero era una porta medioevale della città, consacrata alla Madonna di San Luca e tappa ogni anno di una processione diretta al santuario di San Luca. A partire dai primi anni ’80 il movimento per i diritti di lesbiche e gay italiano abbandona le sue istanze più rivendicative e rivoluzionarie, per approdare ad una visione più istituzionale e disponibile a dialogare con le autorità amministrative. Nel 1978 veniva fondato nel capoluogo emiliano il “Circolo di cultura omosessuale 28 giugno”. Poi la svolta nel giugno del 1982. Da quel momento Bologna assume sempre più un ruolo leader nel movimento LGBT italiano. Nel 2002 ci sarà il trasloco alla Salara, un altro spazio comunale. Attingendo soprattutto dall’archivio storico del Cassero, uno dei più ampi in Italia, insieme a quelli del CIG di Milano e della Fondazione Massimo Consoli di Roma, ci vengono mostrati video e foto riguardanti sia attività politiche che spettacoli, insieme a testimonianze di ieri e di ogni, dei protagonisti. Eva Robin’s nel film legge una lettera di Mario Mieli con il racconto di una sua irruzione/provocazione sul palco, in una piazza di Bologna, dove si esibiva Dario Fo. Stefano Casi, ci parla della nascita nel Cassero del Centro di Documentazione Omosessuale. Alessandro Fullin ci diverte con i racconti degli spettacolini artigianali en travestì che si facevano. Franco Grillini per tanti anni presidente di Arcigay nazionale ci fa una storia come al solito molto lucida della situazione politica di allora. Un film da vedere.

Alle 21 è partita la cerimonia inaugurale con uno spettacolo di burlesque del giovane artista australiano RAVEN . Lo spettacolo fa parte di una mini rassegna organizzata dalla nota performer burlesque Sylvie Bovary, presente in sala. Quindi Bruno Casini ha invitato sul palco l’artista Alessandro Tamburi, che presso la sede di IREOS, ha appena inaugurato una sua mostra ‘Storie gay dei paesi miei” di suoi disegni, molto mediterranei e molto ‘hot’.

Dopo i ringraziamenti e i saluti di rito da parte dei direttori artistici del Festival Roberta Vannucci e Bruno Casini, della Presidente di IREOS Barbara Caponi e di Silvia Minnelli coordinatrice del festival, è stato presentato il primo film della serata ‘La donna pipistrello‘ di Francesco Belais e Matteo Tortora. Quando è salita sul palco Romina Cecconi, in arte la ‘Romanina’ , la protagonista del film, il pubblico si è alzato in piedi ed è partito un lunghissimo applauso.

La storia della Romanina è nota, nata Romano Cecconi a Lucca, nel 1941, cambiò sesso nel 1967 dopo un’operazione a Losanna, tra le prime in Italia. Nel 1972, riuscì ad avere la carta d’ identità come donna dopo aver citato in giudizio l’anagrafe del comune di Lucca. Il caso di Romina Cecconi, la seconda in Italia ad avere riconosciuto un documento adeguato al suo nuovo genere, ha contribuito ad aprire la strada alla legge 164, che permette l’adeguamento del nome sui documenti, grazie anche alle battaglie del movimento per i diritti dei transessuali. Romina Cecconi è stata quindi una pioniera, e a suo modo un esempio, non solo per le persone trans, con la sua vita, anche se molto spericolata. Il film è in pratica una lunga intervista, fatta a Romina Cecconi, tra Livorno, dove lei partecipò ad alcune iniziative LGBT e la sua casa di Bologna, dove risiede, inframmezzata da tante belle fotografie, e qualche video. Romina Cecconi ha una autoironia e un senso dell’umorismo eccezionali e questo rende il filmato davvero godibile.

Ha chiuso la serata un altro film di punta del festival Desire Will Set You Free di Yoni Leyser. Erano presenti il regista, l’attore co-protagonista Tim Fabian Hoffman e il produttore Umberto Baccolo (che rivedremo domani con un suo lavoro Chiesa e Stato vol.1 – Potere spirituale).

Il film, ambientato nella Berlino contemporanea, parla della breve relazione amorosa tra Ezra, un giovane scrittore americano di origini sia israeliane che palestinesi ( interpretato da Yony Leyser stesso) e l’androgino Sasha, un profugo russo, prostituto in un bar. Ezra dedica poco tempo alla scrittura e passa le sue serate tra discoteche, droghe, sesso e lunghe chiacchierate con la sua migliore amica Catharine, polisessuale e con l’hobby del fetish nazista. La relazione con Sasha, mano a mano che i due proseguono nei loro vagabondaggi notturni, diventa sempre più difficile perché Sasha in realtà è solo all’inizio di una transizione che lo porterà lontano da Ezra. Yony Leyser è un giovane regista americano, nato a Chicago, figlio di madre iraniana-palestinese e padre ebreo tedesco. Nel 2007 visita Berlino con una borsa di studio, ed è amore a prima vista. Dal 2010 vive a Berlino diventando una presenza fissa della scena underground e queer della città. Sempre nel 2010 esce il suo film di esordio ‘William S. Burroughs – The Man Within’ molto apprezzato da critica e pubblico. ‘Desire Will Set You Free’ è al tempo stesso un atto di amore verso Berlino e un avventuroso viaggio personale, compiuto dal protagonista e dal regista stesso alla scoperta della propria sessualità. La Berlino di Leyser è una città piena di fascino e di contraddizioni, un ambiguo e coloratissimo paese delle meraviglie, dove ogni tipo di espatriati e di diversi si trova bene; gente bizzarra, sovversiva, lontana dal comune buon senso. Desire Will Set You Free’ è un “Docu-fiction”, cioè una storia di fantasia in cui sono introdotti elementi di documentario, riguardanti luoghi e personaggi reali della scena punk rock e queer berlinese, che interpretano se stessi, inserti in modo da apparire legati alla storia principale. La colonna sonora è quanto mai varia, con artisti che interpretano canzoni legate a Berlino dal 1920 ad oggi. Appaiono nel film la regina del punk Nina Hagen, Peaches, la nota performer canadese residente a Berlino, altri noti artisti della scena berlinese e un cammeo del grande regista LGBT Rosa von Praunheim.

"Irrawaddy mon amour" Maurizia Settembri
Giuria: Angelo Savelli e Roberto Mariella Giuria: Susan Sabatini, Angelo Savelli e Roberto Mariella
Assessore Sara Funaro Carlo Gardent
Queerlesque Queerlesque
Giuria del 13mo FQF: Roberto Mariella, Benedicte Prot, Angelo Savelli Giuria + Roberta Vannucci e Silvia Minelli
Casini Minerba, Milena Paulon Bruno Casini, Giovanni Minerba
Francesco Gnerre Corti d’Autore
Silvia Minnelli Daniele Sartori Principe Maurice
Thomas Schmieder, Manel Dalgò Laura Annibali, Filippo Soldi
Thomas Schmieder, Manel Dalgò, Enrique dal Pozo Enrique dal Pozo
Giovanni Minerba, Roberto Mariell,a Enrique dal Pozo Principe Maurice, Roberto Mariella, Daniele Sartori
Daniele Sartori Gloria Darling Roberto Mariella Gloria Darling Antonio Schiavone
Principe Maurice Priscilla Stefano Generali, Priscilla, Daniele Sartori
Gloria Darling Principe Maurice, Priscilla
Silvia Minnelli, Daniele Sartori, Priscilla Priscilla
Silvia Mnelli, Priscilla, Gloria Darling, Daniele Sartori Silvia Minelli
Priscilla Silvia Mnelli, Priscilla, Principe Maurice, Gloria Darling, Sartori
Principe Maurice Benedicte Prot, Roberto Mariella
Federico Tiezzi Federico Tiezzi, Bruno Casini
Elisa Grimald Carlina Benvenuti
Geraldine Ottier e Floriana Buonomo di LSB Francesco D’Alessio e Matteo Rocchi di G&T
Matteo Rocchi di G&T LSB
Badhole Badhole
Manel Dalgo, Enrique dal Pozo Bruno Casini, Manel Dalgo, Enrique dal Pozo
Don Scime e Susan Sabatini Don Scime
Bruno Casini, Domenico Trischitta, Walter Rizzo e Francesca Gennuso Bruno Casini, Domenico Trischitta, Walter Rizzo e Francesca Gennuso
QUEERLESQUE Andrea Pini e Francesco Gnerre
Veronique Aubouy Veronique Aubouy
Bruno Casini, Gianluca Meis, Willy Vaira 

Bruno Casini, Gianluca Meis

Mostra Queerlesque Antonio Schiavone
Bruno Casini,  Dimitri Milopulos, Roberta Vannucci Dimitri Milopulos 
Eva Robins, Andrea Adriatico Mariella e Romina
Romina, Willy Vaira, Bruno Casini Raven
Raven Raven
Gianluca Meis Vannucci e Casini
Tortora, Belais Romanina, Tortora, Belais
Fabian Hoffman Tortora, Belais, Romanina
Fabian Hoffman, Joey Hansom, Umberto Boccolo Hoffman, Leyser, Boccolo

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