I VINCITORI DEL 12 FLORENCE QUEER FESTIVAL:
Eat with me di David Au vince il 12° Florence Queer Festival
Gli Uraniani di Gianni Gatti con Pippo Delbono e Sandra Ceccarelli vince Videoqueer
23/11/14 – TERZA GIORNATA
Oggi il Festival dedica ben due eventi, un libro ed un film, al ricordo della figura di Giò Stajano, un personaggio molto significativo nella storia della comunità gay, aldilà del fatto che fosse o non fosse il primo omosessuale dichiarato, o il primo giornalista omosessuale italiano. E’ nostra convinzione che sia molto importante che la nostra storia sia conservata e raccontata, dal nostro punto di vista. Per questo abbiamo deciso di dare rilevanza anche noi a questo ricordo di Giò Stajano e abbiamo chiesto a Bruno Casini di intervistare per noi lo scrittore Willy Vaira, e il regista Luigi Caiffa.
Alle ore 12, all’IBS Bookstore, Willy Vaira ha presentato il suo libro Giò Stajano. Pubblici scandali e private virtù. Dalla Dolce Vita al convento (Manni Editore). Presenti anche Luigi Caiffa regista di Giò Stajano siamo tutti figli di Dio e Antonio Mocciola che è intervenuto nel dibattito su Giò Stajano, dopo aver presentato il suo libro Latte di Iena (Manni Editore). Ha fatto da moderatore Bruno Casini.
Sucessivamente presso il teatro Odeon, mentre era in corso al piano superiore l’incontro con Eytan Fox , organizzato in collaborazione con la NYU Florence, Bruno Casini ha intervistato, per noi Luigi Caiffa e Willy Vaira sul film documentario ‘Giò Staiano siamo tutti figli di Dio‘.
Riportiamo integralmente qui di seguito il contenuto dell’intervista.
Bruno Casini: Siamo alla 12° edizione del Florence Queer Festival, presentiamo in anteprima nazionale un documentario su Giò Staiano ‘Giò Staiano siamo tutti figli di Dio’. La regia è curata da Luigi Caiffa e la sceneggiatura è di Willy Vaira. Willy, intanto parliamo un po’ di questo documentario, che mi sembra una cosa importante, nel 2014, a quasi quattro anni dalla morte di Giò Staiano.
Willy Vaira: Si, in effetti ci abbiamo pensato per abbastanza tempo, e alla fine abbiamo deciso di fare un lavoro su chi è stata Giò Staiano, un po’ diverso dal solito. In effetti questo è si un film documentario, ma in realtà è anche video- arte, che ripercorre un po’ tutti gli spazi artistici, e sono tanti, che Giò Staiano ha toccato nel corso della sua vita, dalla pittura, alla letteratura e al cinema, per arrivare agli ultimi anni della sua vita, che ha vissuto in solitudine, in povertà e anche in sofferenza, in quel di San Nicola.Siamo anche andati ad incontrare la madre superiora di un convento, dove lei si era ritirata per uno scoop e poi invece ha cambiato compleamente la sua vita.
Bruno Casini: Luigi, come nasce questo progetto, tra l’altro tu vivi tra Berlino, la Puglia e Firenze, sei un artista, ti occupi di pittura, come sei arrivato a questa prima opera cinematografica ?
Luigi Caiffa: Io vivo a Berlino, a Gallipoli e avendo poi il mio compagno a Firenze, mi fermo anche un po’ a Firenze. Questa collaborazione con Willy è nata anche per caso. Conoscevo Willy molto bene, da quasi vent’anni, poi conoscevo anche Giò, che conoscevo da prima di Willy,. Willy conosceva Giò. Diciamo quindi che tra di noi c’era un miscuglio di conoscenze. Per questo pensavamo di fare questo filmato in modo diverso dal solito, cosi da farlo diventare un po’ artistico. Perché lei è stata una artista, scrittrice, ha fatto dei film, e questo lo vediamo tutto nel documentario, e anche io sono un artista, fotografo, pittore e quant’altro. Abbiamo poi deciso nel fare il progetto per il documentario su Giò, di parlare della sua vita, dall’inizio alla fine. Questo documentario è un concentrato della sua vita. Anche se sono 90 minuti di filmato… 50 minuti, mi correggo. Dico 90 perché quando ho iniziato a fare questo filmato eravamo arrivati a quasi due ore, perché c’era una marea di materiale e alla fine ho dovuto fare un concentrato abbastanza ristretto, però si vede abbastanza bene tutto quello che ha fatto nella sua vita.
Bruno Casini: Willy, il tuo rapporto con Giò Staiano. Tu la conoscevi molto bene. Tra l’altro hai i diritti dei suoi romanzi, e ti ha lasciato tutto quel bagaglio incredibilmente interessante, di quello che ha fatto nella sua vita.
Willy Vaira: Si,ho avuto la fortuna di incontrarla tanti anni fa, ed è una amicizia che si è consolidata con il passare del tempo. Amicizia è perfino riduttivo, perché per me Giò era in effetti una sorella. Io e Claudio abbiamo cercato di aiutarla, soprattutto nei momenti più difficili, che lei ha avuto, per tanti motivi. Lei mi ha ripagato con tantissimo, dandomi anche la possibilità di raccontare la sua storia nel libro Pubblici scandali e private virtù, e dandomi poi la possibilità di disporre di tutto l’enorme materiale che ha prodotto nel corso della sua vita artistica, dalle lettere, dai quadri, ai libri e quant’altro. Per qui mi auguro anche presto di poter raccogliere tutto questo in una sorta di fondazione, o qualche cosa che possa dare la possibilità a chi vuole sapere poi, chi è stata Giò Staiano, che non è stata soltanto il primo omosessuale dichiarato in Italia, ma è stata anche il primo giornalista ad occuparsi della realtà LGBT in Italia, e questo è un qualche cosa che tutti dovrebbero in qualche modo riconoscere, forse anche di più di quanto è stato fatto sino adesso.
Bruno Casini: Ricordiamo anche che insieme a Willy Vaira, e a Giovanni Minerba nel 2007 Giò Staiano è stato qui al Florence Queer Festival a presentare il tuo libro e a presentare il documentario di Minerba che era ‘Il fico del regime’.
Luigi, ci sono delle interviste nel tuo documentario ?
Luigi Caiffa: Si ci sono delle interviste, anche importanti. Una di quelle importanti è alla sorella, che ha rilasciato un’intervista grazie a Willy che si è recato da lei a intervistarla. E poi l’intervista alla Superiora del convento. Ci sono anche altre interviste, ma non le dico tutte perché è meglio vederle nel filmato.
Bruno Casini: Il film lo presenti a Firenze in anteprima nazionale e poi avrà un suo percorso, penso. Anche perché Giò Staiano non è conosciuto solo in Italia, ma è conosciuto anche in Europa.
Luigi Caiffa: Si, questo è il primo passo che abbiamo fatto, vediamo come va avanti. Abbiamo in progetto di portarlo anche nel suo paese, a Gallipoli il prossimo anno. La sua famiglia è d’accordo e lo sta aspettando con ansia. La famiglia l’aveva visito già in anteprima, altrimenti non saremmo qui a presentarlo al festival. La famiglia è stata d’accordo, era contenta del filmato che abbiamo fatto, anzi mi hanno detto che ‘finalmente è stato fatto quello che Giò voleva’. Per me è stato un grande piacere sentire queste parole della famiglia e per questo lo presentiamo anche al pubblico e vediamo come reagisce per questa cosa.
Bruno Casini: Noi ringraziamo Willy Varia e Luigi Caiffa e vi diamo appuntamento naturalmente al Florence Queer Festival, sperando di vedere questo documentario in altri festival importanti, anche a livello internazionale.
Luigi Caiffa: Io spero che lo si vedrà anche a Berlino, dove vivo. Cercherò di fare un po’ pubblicità anche lì, per promuovere questo lavoro. Ci siamo impegnati molto con Willy a farlo, sembra una cazzata, come dice anche Giò o la sorella di Giò nel filmato, ma è stato davvero un impegno abbastanza duro, abbiamo lavorato dei mesi per fare questo lavoro. Grazie.
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Nelle proiezioni del pomeriggio si sono potuti vedere alcuni buoni film italiani, solo corti e documentari .
Il secondo pacchetto di corti in concorso per Videoqueer è iniziato con
Contatto Forzato di Daniele Sartori (ltalia, 2014) .
VOTO:
La storia raccontata è davvero inusuale: racconta di due soldati fascisti, un comandante e un soldato altoatesino, imprigionati dai partigiani che vengono bendati e legati assieme, costretti cosi ad una opprimente promiscuità. Il momento clou del film è quando il comandante chiede all’altro di avvicinare ancora di più la faccia alla sua, per poter immaginare il volto del compagno, dimostrando cosi di non trovare sgradevole questo ‘contatto forzato’. Quando poi i due soldati passano nelle mani degli alleati, anche il soldato altoatesino dimostrerà che tra i due era nato un qualche tipo di vicinanza e solidarietà.
Come del resto tutti i lavori (pochi purtroppo) di Sartori, ‘Contatto forzato’ ha una fotografia stupenda e una poesia dell’immagine del tutto personale. La scena dei due volti che si toccano è un quadro vivente di grande impatto. Sartori non smette mai di sorprendere, con i suoi lavori, completamente diversi uno dall’altro, dotati ognuno di un fascino proprio. Saremmo molto curiosi di vederlo impegnato in un lungometraggio, ma forse la situazione generale italiana non lo consente e anche lui forse preferisce dedicarsi a corti e video arte.
Contatto forzato secondo noi sarebbe un buon candidato a vincere il premio Videoqueer, ma temiamo gli nuocerà l’argomento bellico, molto meno digeribile ad esempio dei bei bimbi biondi che ballano Lady Gaga (come in Straight with you).
Huellas di José Manuel Silvestre (Spagna, 2013)
VOTO:
è un breve cortometraggio didattico dedicato ai bambini per educarli alle diversità e stimolare in loro un dibattito.
Io mi chiamo paul ovvero la spinta dal basso istinto ovvero ancora al contrario di Elena Pirozzi (Italia, 2013)
VOTO:
Questo bel corto, davvero curioso, fa parte di una trilogia denominata “al contrario”, perché basata sul ribaltamento dei ruoli, con gli uomini che hanno il ruolo sociale delle donne e viceversa.
Qui l’unico uomo porta la gonna e lavora in un bar, dove padrone e avventori sono tutte donne vestite con abiti maschili. Il povero maschio deve subire le avance volgari delle clienti e quando poi la notte torna a casa, gli capita anche di peggio.
Miniaturas di Vicente Bonet (Spagna, 2013)
VOTO:
Una vedova muore e la figlia scopre da un particolare molto intimo, che sua madre doveva avere un amante. Durante la veglia funebre la figlia si dedica completamente alla ricerca di questo amante prendendo in considerazione tutti i maschi anziani presenti. Ma la sua ricerca non da nessun risultato.
Miniaturas è una classica commedia brillante spagnola, molto divertente, recitata benissimo, ha tutti gli ingredienti per piacere al pubblico.
Das Phallometer di Tor Iben (Germania 2014)
VOTO:
Corto molto divertente che tratta del trattamento umiliante riservato sino a pochissimi fa agli omosessuali che chiedevano asilo politico nella Repubblica Ceca, perché perseguitati nel loro paese come gay. In pratica al fallo del malcapitato veniva applicato un diabolico marchingegno ed egli otteneva il permesso di ingresso solo dopo aver dimostrato davanti a dottori e doganieri di avere una erezione davanti a scene di sesso gay.
June di Aaron Chan (Canada, 2013),
VOTO:
Corto senza parole che parla di un fantasma che comunica con il suo compagno sopravvissuto attraverso il suono di un pianoforte. Si tratta quasi di video arte, non cosi commuovente come vorrebbe essere.
Finiti i corti di VIDEOQUEER, abbiamo poi visto:
Giò Stajano. Siamo tutti figli di Dio di Luigi Caiffa (Italia, 2014)
VOTO:
Erano presenti in sala il regista e Willy Vaira, sceneggiatore del film oltre che autore del libro “Giò Stajano. Pubblici scandali e private virtù. Dalla Dolce Vita al convento”.
Di questo film si era parlato diffusamente nell’intervista che abbiamo proposto a inizio serata, e nella presentazione del libro di Vaira. Nel documentario si attraversa tutta l’incredibile vita di Staiano, dalla nascita ingombrante , era figlio dell’importante gerarca fascista Achille Starace, alla Dolce Vita, al cambiamento di sesso, la prostituzione, la sua attività di pittrice, la sua entrata in convento, fino alla la sua morte in miseria. Il film si appoggia su due interviste principali, alla sorella di Stajano e alla Superiora del convento che accolse Stajano, oltre che a un gran numero di foto e materiale di archivio, presi dal materiale che Vaira ha ereditato dalla stessa Giò.
La particolarità di questo documentario è che il tutto è montato all’interno di una serie molto ampia di effetti artistici, cosa che dà all’insieme del film un aspetto da video arte. La cosa non sorprende dato che Caiffa è innanzitutto un artista. L’effetto finale spiazzerà qualcuno, ma siamo sicuri che ad una persona cosi non convenzionale come Giò Stajano, sarebbe piaciuto così.
Violette Leduc by Esther Hoffenberg (France, 2013)
VOTO:
Questo documentario ci racconta la vita e l’arte di Violette Leduc attraverso testimonianze di alcuni amici, interventi di scrittrici e studiose della sua opera e soprattutto attraverso un gran numero di spezzoni di repertorio e la lettura di brani tratti dai suoi libri. Le varie interviste a Violette Leduc, ce la mostrano in età ormai piuttosto avanzata, ma sotto l’aspetto molto dimesso emerge chiaramente l’anima di una intellettuale stravagante, battagliera e sempre con la risposta pronta, a volte anche scontrosa e indisponente, ma sempre interessante. Violette Leduc nei suoi libri aveva scandalizzato i lettori ben pensanti negli anni ’50, parlando di argomenti che allora erano considerati tabù anche nella civilissima Francia: temi come il suo essere figlia di una cameriera e del suo datore di lavoro (una ‘bastarda’), la descrizione del suo aborto, e il sesso lesbico quando era adolescente, temi tanto scottanti da venire inizialmente censurati, per poi essere riproposti in “Teresa e Isabella” .
Nonostante il successo ottenuto dopo la pubblicazione dal suo romanzo più famoso, ‘ La bastarda’, una sua autobiografia romanzata pubblicata nel 1964, Violette Leduc non è mai stata veramente accettata dal grande pubblico e nel film vediamo come vivesse sola, in una casa davvero modesta.
Nel documentario si raccontano i sui forti legami affettivi con uomini vistosamente gay, come lo scrittore ebreo Maurice Sachs, conosciuto nel 1938 e che morirà in un campo di concentramento, e Jacques Guérin un ricco industriale. Nel 1945 Violette conosce Simone de Beauvoir, della quale si innamora non corrisposta. La De Beauvoir però la incoraggia a scrivere e l’aiuta sia finanziariamente che con i suoi agganci. Soggetta a crisi depressive, nel 1956 viene ricoverata in varie cliniche per tendenze paranoiche. Muore il 28 maggio 1972.La Chasse à l’amour ( la caccia all’amore) sottotitolo del film, è il titolo di un suo romanzo pubblicato postumo nel 1973 grazie all’interessamento di Simone de Beauvoir.
The Circle (Der Kreis) di Stefan Haupt (Svizzera, 2014)
VOTO:
Film documentario già premiato ai Teddy 2014 e a Torino e candidato come rappresentante per la Svizzera ai prossimi premi Oscar.
I due protagonisti della vicenda, presenti in sala, sono due anziani omosessuali svizzeri che vivono a Zurigo, stanno insieme dal 1956 e si sono uniti in matrimonio pochi anni fa, prima coppia gay a sposarsi in Svizzera.
Il film racconta in parallelo una storia pubblica e una privata. “Il Circolo” era una rivista fondata nel 1943 da un gay sfuggito alle persecuzioni naziste. La rivista, stampata bilingue, negli anni ’40 e ’50 divenne un punto di riferimento per la comunità gay internazionale. Era una rivista rivolta prevalentemente ad un pubblico colto, che poteva trovarvi anche foto di modelli erotici ma mai completamente nudi. Intorno a questa rivista si era creato un circolo che organizzava anche feste, in un teatro comunale di Zurigo, con drag queen e cabarettisti. La polizia sapeva e tollerava.
Ad un certo punto questa situazione viene rovinata dall’attività criminale di alcuni prostituti, i cui ricatti e delitti, arrivano sui giornali e generano indignazione e spavento dell’opinione pubblica verso la comunità omosessuale. La polizia decide cosi di intervenire con irruzioni nei locali delle feste, per impedirle e schedare i partecipanti. Intanto in altri Paesi le cose stavano cambiando. Negli USA, dagli anni ’60, anche grazie al formarsi di importanti comunità gay, iniziavano a venir pubblicate riviste disposte ad osare molto di più della casta Der Kreis. Alla fine, nel 1967, la rivista fu costretta a chiudere. Dentro tutta questa storia nasce e cresce, e arriva fino a noi, la relazione affettiva tra un insegnante ed un cabarettista/parrucchiere, i due protagonisti del film.
Finito il film, un applauso durato parecchi minuti ha accompagnato la coppia degli anziani protagonisti Ernst Ostertag e Röbi Rapp, che salivano sul palco per salutare il pubblico. Una accoglienza tanto calorosa da commuoverli visibilmente.
Per inciso, in questo film il cattivo della storia è una marchetta italiana, assassino perché non si accetta. In un altro bellissimo film, presente in questa rassegna, il cubano La Partida, abbiamo invece una stupidissima coppia di ‘checche’ italiane, per fortuna inoffensive, clienti dei marchettari locali. Evidentemente la reputazione dei gay italiani nel mondo in questo momento è bassa.
IMMAGINI DELLA GIORNATA
Antonio Mocciola, Bruno Casini, Willy Vaira | |
Silvia minnelli, Daniele Sartori | |
Ernst Ostertag e Röbi Rapp | |
Ernst Ostertag e Röbi Rapp | |
22/11/14 – SECONDA GIORNATA
La seconda giornata del FQF inizia già a mezzogiorno, con la presentazione del libro di Eduardo Savarese ‘Le inutili vergogne‘, presso IBS Bookstore.
Eduardo Savarese è un magistrato napoletano che nel suo lavoro di tutti i giorni si occupa di cause fallimentari, ma che nei suoi libri cambia completamente argomenti. Ci aspettavamo di incontrare un serioso signore e invece ci siamo trovati davanti ad un sorridente giovanotto di gradevole aspetto. Riportiamo qui un breve estratto delle parole dell’autore.
“Le Inutili vergogne” rientra nell’ambito di un festival queer in quanto tratta di identità di genere, di omosessualità, applicati ad un personaggio transessuale, una napoletana transessuale profondamente cattolica. Ho creato delle mescolanze un po strane in questo libro.. Io credo che al di la dei temi specifici che collegano il libro al Festival, è un libro più in generale sul senso della vergogna e racconta storie di una umanità che cerca di superare il senso della vergogna e non solo rispetto all’omosessualità o alla transessualità, ma probabilmente il senso della vergogna nella vita di relazione, nella vita sentimentale, e anche in rapporto alla religione, cioè anche in un rapporto con una situazione che è oltre..
Nasce come un libro che in qualche modo completa il mio primo romanzo ‘Non passare per il sangue’, un romanzo su due soldati che hanno una relazione d’amore e che combattono in Afganistan al giorno d’oggi, quello era però un romanzo sulle relazioni familiari e sul superamento del silenzio nella famiglia, per rivelare certe cose, per dirsi certe cose ad alta voce. Questo secondo romanzo per me è stato importante perché doveva mescolare la dimensione del sesso, della carne, del corpo, con la dimensione dello spirito, e quindi è un continuo mescolare cose che apparentemente non hanno nulla a che fare l’una con l’altra, e quindi si crea una miscellanea strana a volte irritante, a volte inquietante.. Quindi questo libro nasce proprio per contaminare spazi che tendenzialmente oggi sono rappresentati con una netta separazione. Uno dei temi fondamentali del libro è il rapporto tra la morale sessuale, l’identità sessuale e la libertà sessuale e il mondo della fede… ”
Alle 15 il quotidiano La Repubblica ha ospitato nella sua redazione di via Lamarmora, il regista Eytan Fox, per un Forum, una lunga intervista, che metteremo online nei prossimi giorni, incentrata soprattutto sull’ultimo film Cupcakes e sull’Eurofestival, anche se poi Fox è arrivato a parlare di altro: dei suoi primissimi film, quando ancora studiava cinema, della sua necessità interiore di parlare di argomenti come l’omosessualità nell’esercito, necessità venuta meno nell’ultimo film (vedere articolo su La Repubblica di oggi). Durante il tragitto di ritorno verso il cinema Odeon abbiamo avuto modo di scambiare qualche parola con il regista riguardo al suo prossimo film, che dovrebbe essere pronto tra circa sette mesi, forse per il festival di Cannes. Si tratterà di una biografia riguardante il cantante israeliano Mike Brant (Il suo vero nome era Moshé Michaël Brand) che raggiunse fama internazionale agli inizi degli anni ’70 soprattutto con la canzone “Laisse-moi t’aimer“. Figlio di ebrei polacchi sopravvissuti al campo di concentramento di Auschwitz, Mike Brant era nato in un campo profughi a Cipro nel 1947. Si toglierà la vita all’apice del successo nel 1975 lanciandosi da una finestra . Già in Cupcakes la canzone “Laisse-moi t’aimer” , molto amata da Fox, era presente trasmessa dal video di un telefonino. Questo prossimo film sarà quindi un film drammatico, che parlerà sicuramente della tragedia familiare accaduta ai genitori di Brant, ma che non farà diretto riferimento alle voci riguardanti la sua omosessualità. Brant era un giovane bellissimo che faceva impazzire le donne dell’epoca, ma vedendo i suoi video con gli occhi smaliziati di oggi, qualche sospetto di omosessualità viene.
Al cinema ODEON era intanto ripresa la retrospettiva dedicata a FOX con la proiezione della bellissima miniserie televisiva in quattro puntate
Tamid oto chalom (Mary Lou) (Israele, 2009)
VOTO:
Mary Lou è in pratica un musical basato sulle canzoni della nota popstar israeliana Svika Pick (autore di una canzone che si chiama appunto Mary Lou e autore anche della canzone che portò Dana International a vincere l’Eurofestival). Come in Mamma Mia! E forse meglio, qui le canzoni di Svika Puk, che nulla hanno a che fare con i gay e le drag queens, vengono perfettamente inserite nella trama di un musical stile anni ’60.
Il film è un romanzo di formazione che ha per protagonista un ragazzo, Meir Levi . Sua madre, che adorava le canzoni di Svika Pick e voleva fare la cantante, abbandonò misteriosamente la famiglia, quando lui era ancora un bambino.
Diventato adolescente e compreso durante la scuola il suo orientamento sessuale, Meier decide di lasciare la casa paterna e di andare a Tel Aviv in cerca della madre. In quella città fa amicizia con un ragazzo, Ori,,che lo introduce nel suo gruppo in drag e diventa egli stesso il miglior performer del locale con il nome di Mary Lou, la canzone preferita dalla madre. Alla fine Meir/Mary Lou riuscirà trovare se stesso e la propria madre ma con risultati molto diversi da quelli che si era immaginato all’inizio del suo viaggio.
Abbiamo quindi assistito alla proiezione del primo pacchetto di corti in concorso per il Videoqueer.
C‘era una volta di Chiara Nardone (Italia, 2014)
VOTO:
Un corto di soli due minuti, in cui la storia di due madri con una figlia viene raccontata alla piccola come una fiaba con due principesse.
Teologia Promisqua di Paolo Ferrarini (ltalia, 2014)
VOTO:
Il video musicale ‘Teologia promiscua’ del regista e musicista Paolo Ferrarini, è un lavoro molto vicino alla video arte che fa da video all’omonima canzone tratta dal disco di Ferrarini Prolegomeni. Come ha detto lo stesso Ferrarini si tratta di un lavoro filosoficamente complesso e ambizioso.
Teleologia Promiscua, fa riferimento a una funzione cognitiva del cervello che fa vedere scopi e funzioni nella realtà anche dove non esistono. E’ una cosa che inizia da bambini, ma che viene coltivata anche da adulti soprattutto in certi ambiti, come quello della superstizione e della religione.
Il video mette insieme immagini di riti e rituali che si trovano in giro per il mondo e una storia ambientata ai giorni nostri che parla di due adolescenti gay che si amano e che vengono spinti al suicidio.
Il film vuole quindi essere una critica agli aspetti più deleteri delle varie religioni e superstizioni che spingono gli uomini a comportamenti illogici e autodistruttivi.
Niet op meisjes (Straight with you) di Daan Bol
VOTO:
A giudicare dall’applausometro questo film documentario ha buone speranze di piazzarsi bene nella classifica videoqueer.
C’è da dire che gioca facile, avendo come protagonista in bel bambino biondo di dieci anni, che ha perfettamente già presente il suo essere gay, che ha convinto la famiglia ad appoggiarlo totalmente e che è riuscito a trasformare una aspirante fidanzatina nella sua migliore amica, con la quale condividere trasformazioni in Lady Gaga e trucchi e maschere facciali. Qualche problema a scuola, ma lui è uno tosto.
Sandrine di Nicolas Greinacher (Svizzera, 2013) **
VOTO:
Un’ amica confessa a Sandrine di sognarla spesso e le dà un timido bacio. Lei inorridita, fugge furibonda e vaga disorientata per tutta la notte nel gelido paesaggio urbano di una città della Svizzera tedesca. Ma le cose sono andate veramente cosi ?
Jane St. di Matilde Ascheri (USA-Italia, 2014)
VOTO:
Video molto patinato, con belle immagini di New York di sera e belle ragazze tutte occupate a fare sesso e a drogarsi. Una coppia lesbica entra in crisi quando una delle due inizia ad amoreggiare anche con un ragazzo. Quando anche l’altra trova una amante, la prima ci rimane male.
One Zero One di Tim Lienhard (Germany, 2013)
VOTO:
Erano presenti il regista e il protagonista Antoine Timmermans
Il film è in pratica un documentario con performances dal vivo e scene artistiche di fantasia, che racconta la carriera artistica di Antoine Timmermans e Mourad Zerhouni e dei loro alter ego in drag Cybersissy e BayBjane.
Timmermans è un artista olandese, che nelle sue opere e nelle sue performances mischia cultura pop, moda e arte contemporanea in modo del tutto originale paragonato da molti allo stile di Leigh Bowery e a Divine. Antoine ha un fisico ingombrante, e ha avuto problemi psicologici alle spalle.
Mourad è alto un metro e quarantanove, ha un occhio solo, una gamba più corta dell’altra. Ma quando si trasformano in Cybersissy e BayBjane nei loro spettacoli in giro per le discoteche del mondo diventano due favolose star.
Mentre Antoine è più estroverso e disposto a parlare dei suoi problemi personali e familiari, Mourad è timido e avendo una famiglia araba tradizionale, preferisce non dilungarsi con particolari della sua vita privata, per questo parte del film è riempita con delle performances in cui loro due interpretano personaggi da favola, con accompagnamento di musica classica.
Il regista Tim Lienhard al suo primo lungometraggio, aveva già prodotto numerose biografie per la televisione tedesca e per il canale ARTE’. Voleva inizialmente fare un documentario sul solo Antoine, conosciuto solo una settimana prima, ma il progetto fu rifiutato dalla TV tedesca, quindi il regista ha deciso di produrre da solo il suo documentario includendo nella storia anche Mourad. La lavorazione del film è durata solo 17 giorni
In una sala strapiena, complice il sabato sera e la presenza di numerose ragazze che aspettavano di vedere anche il film successivo di Monica Treut, ha aperto la prima serata la proiezione in anteprima europea dell’attesa commedia
Boy Meets Girl di Eric Schaeffer (USA, 2014)
VOTO:
Protagonista la giovanissima attrice transgender, Michelle Hendley, scoperta dal regista dopo una serie di audizioni via Skype. Assieme a lei il bellissimo Michael Welch di Twilight. In una piccola città della provincia americana, vive Ricky, una ragazza trangender con il padre e il fratellino, la mamma non c’è più per motivi che sapremo alla fine.
Robby è il suo migliore amico dai tempi della scuola, ed è inconsciamente innamorato di lei. Ricky però incontra Francesca, una ragazza di buona famiglia, fidanzata con un marine, e tra loro due, tra mille incertezze, inizia una relazione. Il marine la prende male, ma anche lui ha fatto qualcosa di cui si vergogna. Lieto fine obbligatorio.
Film molto premiato, fatto con l’ottimo proposito di rompere le convenzioni sessuali e promuovere la comprensione e l’accettazione di una ampia gamma di desideri, comportamenti, gusti sessuali ed emotivi. Una storia d’amore universale insomma. Se vogliamo trovare al film un difetto, la recitazione è piuttosto piatta e televisiva.
Roberta Vannucci ha ricordato che due giorni fa ricorreva la giornata internazionale contro la Transfobia, e il Festival ha voluto commemorarla non solo con dei documentari drammatici ma anche con una commedia allegra a lieto fine.
Of Girls and Horses di Monica Treut (Germany, 2014)
VOTO:
Alex, una ragazza di 16 anni con problemi comportamentali (droga, autolesionismo), viene mandata dalla madre a fare uno stage di lavoro presso un allevamento di cavalli nella campagna tedesca. Dopo un primo momento di smarrimento, Alex inizierà ad apprezzare il contatto con gli animali , l’amicizia di Nina, l’istruttrice di equitazione, lesbica trentenne con un rapporto problematico con una donna di città e l’affetto di Kathy, una ragazza proveniente da una famiglia benestante, mandata lì in vacanza con il suo cavallo. Questa esperienza restituisce ad Alex la fiducia in se stessa di cui aveva bisogno.
Tra le molte qualità di “Of Girls and Horses” c’è che ha sicuramente un titolo perfetto, che ha il potere di rappresentare completamente l’oggetto e i personaggi del film. Infatti oltre a tre ragazze, a qualche cavallo ed a tanta campagna tutt’attorno, nel film non c’è quasi nient’altro, umani e altri mammiferi compresi. ” Of Girls and Horses” è un film con immagini bellissime, esaltate da dialoghi rarefatti, che ben rappresentano la lentezza e la noia della campagna e la propensione ad un maggiore uso del linguaggio del corpo nei rapporti sia tra umani che con gli altri animali. Un piccolo gioiello.
https://www.cinemagay.it/Loc-dos/5425-pierrotlunaire.jpg
Pierrot Lunaire di Bruce LaBruce (Germania-Canada, 2014)
VOTO:
Pierrot Lunaire, vincitore di un Teddy Award, e vincitore al Festival MIX di Milano, deriva da una omonima opera teatrale che LaBruce aveva diretto tre anni fa a Berlino. L’attrice Susanne Sachsse e il direttore d’orchestra serbo Premil Petrovic, avevano chiesto al regista, di produrre un lavoro teatrale basato sulla musica di Arnold Schoenberg. LaBruce rimase molto attratto dagli stati d’animo che questa musica emanava e ne ha cosi tratto ispirazione per una sua storia originale. Pierrot, una maschera della Commedia Italiana, è un personaggio maschile, che nell’opera di Schoenberg è tradizionalmente interpretato da una donna. Questo ha ricordato al regista un fatto di cronaca accaduto a Toronto alla fine degli anni ’70, la cui protagonista era una donna che viveva in abiti maschili. Una giovane ragazza, che si veste regolarmente da ragazzo, si innamora e seduce un’altra ragazza, che non ha la minima idea che il suo amante abbia il suo stesso sesso. Quando la ragazza presenta “il suo fidanzato” a suo padre, questi diventa sospettoso e smaschera la frode e non permette loro di rivedersi mai più. Furioso il “ragazzo” progetta un piano folle per dimostrare la sua “mascolinità” al padre della sua amante. Momento clou dell’opera è quello che LaBruce chiama della “dick-capitazione”, quando il/la protagonista arriva a procurarsi il membro maschile di cui aveva bisogno, prendendoselo da un malcapitato, attraverso un marchingegno simile a un Glory Hole-ghigliottina.
Già Schoenberg era strato influenzato dal Grand Guignol, un movimento teatrale attivo a Parigi tra la fine dell’800 e l’inizio del 900, che rappresentava storie piene di sangue, violenza, amputazioni e tutto questo ha ispirato anche il film. Pierrot Lunaire ricorda almeno nella prima parte, un vecchio film muto, con richiami al cinema espressionista tedesco, ai cabaret di Berlino durante la Repubblica di Weimar, al surrealismo, e poi più avanti nel film alla video-arte americana degli anni ’70, sino ad arrivare a spregiudicate scene ambientate ai giorni nostri.
Questo film è una ulteriore dimostrazione delle straordinarie capacità visionarie ormai raggiunte da LaBruce e ci da anche la misura di come ormai questo maestro del cinema queer, padroneggi i più diversi generi cinematografici.
IMMAGINI DELLA GIORNATA
21/11/14 – SERATA INAUGURALE
La serata inaugurale del 12° Florence Queer Festival è iniziata con i salutì deì Direttori artistici, Roberta Vannucci e Bruno Casini e della Presidente di Ireos Barbara Caponi, che hanno esordito con gli usuali ringraziamenti: a Eytan Fox, ospite per tre giorni del festival, ai volontari dell’Associazione IREOS, ad Arci Lesbica Firenze e alle sue volontarie, a Cristina Scaletti, presente in sala, alla Regione Toscana, alla 50 Giorni di Cinema Internazionale a Firenze, a Music Pool, allo staff dell’ODEON e a Roberta Perugini di IBS Bookshop. Roberta Vannucci ha voluto ricordare come questo Festival sia il risultato del lavoro e del progetto di una associazione, in collaborazione con un’altra associazione: “Ci tengo a sottolineare che molto spesso ci si dimentica che le associazioni lavorano 365 giorni l’anno. In alcune occasioni alcun progetti hanno più visibilità e non si nota il lavoro quotidiano. Le associazioni sono importanti per il lavoro di visibilità e di richiesta di riconoscimento dei diritti per la comunità LGBT. Si può fare anche in altro modo, ma senza la spinta delle associazioni è un’altra cosa, non è politica e la politica è molto importante, anche quando si fa cultura, cultura è politica.”
Quindi Silvia Minnelli, indispensabile organizzatrice del Festival, ha invitato sul palco l’ospite d’onore Antoine Timmermans, artista olandese, performer e drag queen, ora vestito nei panni del suo vistosissimo personaggio Cybersissy. Quando Silvia e gli altri organizzatori del festival hanno visto due anni fa a Torino il documentario One Zero One si sono innamorati di questo personaggio e hanno deciso di portarlo a Firenze, non solo con il video ma anche con le sue creazioni, abiti, pitture, parrucche e ceramiche, ora visibili alla mostra ‘Only a dog can judge me‘ presso lo IED di Firenze. Presente in sala anche il regista di One Zero One, Tim Lienhard.
Dopo il saluto di Cybersissy, è arrivato sul palco l’altro ospite d’onore, il regista Israeliano Eytan Fox, di cui il Festival presenta quest’anno un’ampia retrospettiva, compreso l’ultimo film “Cupcakes” del 2013.
Bruno Casini ha ricordato che già la quinta edizione del festival nel 2007 fu aperta con un film di Fox, “The Bubble“, quindi ha chiesto a Fox come mai i suoi ultimi due film “Yossi” e “Cupcakes” siano cosi diversi. Fox ha risposto che “Yossi” era nato in un periodo difficile di depressione e di riflessione su se stesso, quando poi Fox è uscito da questo brutto periodo, il risultato è stato “Cupcakes“, che vuole essere anche un invito per tutti a voler essere felici e a sorridere.
Durante la serata, sono stati distribuiti dei ghiottissimi cupcakes ed altri dolcetti dono di una pasticceria fiorentina.
La programmazione della prima giornata era già iniziata alle 18,30 con il film YOSSI di Eytan Fox (Israele, 2012).
VOTO:
“Yossi” è ambientato dieci anni dopo alla storia narrata in Yossi & Jagger, il folgorante lungometraggio di esordio del regista. Yossi, interpretato dallo stesso attore di allora (Ohad Knoller), è diventato cardiologo, ingrassato, depresso, non ancora dichiarato come gay tra i colleghi e non ha mai superato il trauma della morte di Jagger, per questo si dedica totalmente al suo lavoro, senza cercare di rifarsi una vita.
Ma dopo un suo grave errore sul lavoro è costretto dai superiori ad una vacanza. In viaggio verso una località turistica sul Sinai, casualmente dà un passaggio ad un gruppo di giovanissimi soldati di leva. Tra questi c’è Tom, un bel ragazzo molto estroverso, gay dichiarato e nonostante questo amato e rispettato dai suoi commilitoni (cosa che non sarebbe potuta succedere a Yossi al tempo del suo militare). Tommy si invaghisce di Yossi, nonostante la differenza di età e di aspetto fisico. La sua corte spietata costringe Yossi ad una difesa sempre più debole. E il futuro di Yossi sembra ora prendere una piega diversa.
Non c’è dubbio che “Yossi” sia un film ben fatto, dove si vedono chiaramente i progressi raggiunti dal regista nel corso degli anni, però chi come noi ha pianto con YOSSI & JAGGER, ora non può fare a meno di provare un certo senso di delusione, come se la stessa storia, col passare di tutto questo tempo, si sia un po’ sbiadita e infeltrita.
“Yossi”, in un certo senso, fa da spartiacque nell’opera di Fox. Chiude la fase dei film impegnati, dove arrivano gli echi del conflitto israelo-palestinese e apre una nuova fase, dove prevalgono temi più leggeri e personali, anche se sempre ben inseriti nel contesto della società israeliana. Temi forse più apprezzati al pubblico israeliano, meno entusiasta dei primi lavori di Fox. Nei nuovi film di Fox ha un ruolo centrale la musica, soprattutto anni ’70 e ’80, gli anni della gioventù del regista. Il nuovo corso è iniziato con la miniserie musicale “Mary Lou” del 2009, basata sulle canzoni del cantante pop israeliano Svika Pick famoso in Israele negli anni ’70.
Lo stesso Pick scrisse la canzone “Diva” che, eseguita dalla cantante transessuale Dana International, vinse nel 1998 l’Eurofestival. (Eurovision Song Contest). Questo evento ha ispirato a Fox il suo film CUPCAKES.
Dopo la cerimonia di inaugurazione, alle 21,30 è stato proiettato l’ultimo film di Fox CUPCAKES (Israele, 2013)
VOTO:
I cupcakes sono dei dolci decorati simili ai muffin americani. Cupcakes è una commedia musicale romantica, un film molto leggero. La trama del film riguarda le storie di cinque donne vicine di casa, che vivono nello stesso palazzo. C’è anche un vicino gay, che lavora in una scuola materna e diverte i bambini con le sue esibizioni in drag. Lui è il più fortunato del gruppo perché ha una bella storia d’amore con un ragazzo che però deve nascondere la sua omosessualità per non danneggiare la ditta di famiglia. Una delle ragazze è una blog-writer. La seconda era stata una Miss Israele e ora è un avvocato. La terza è una lesbica musicista, single, alternativa, che non ha molto successo. La quarta è assistente del Ministro della cultura di Israele e vive con il padre. E l’ultima, Ana, è sposata in crisi coniugale, ha due figli e ha una panetteria,. Ogni anno si ritrovano tutti assieme per vedere in televisione l’EUROVISION Contest Festival, molto popolare in Israele. Per gioco compongono una canzone, che inviata per gioco dal ragazzo gay agli organizzatori, viene scelta per rappresentare Israele al concorso.
Molti sono rimasti sorpresi nel vedere che Cupcakes era una commedia romantica, senza i risvolti politici e seri presenti nei film precedenti, compreso il penultimo Yossi .Fox ha dichiarato di aver voluto fare un film più spontaneo, più genuino e personale del solito. Una commedia nostalgica di quello che era il mondo e Israele qualche anno fa. Il concorso Eurovision è stato importante per Fox, cresciuto con quella musica.
Nel 1998 Israele mandò al concorso Eurovision come sua rappresentante Dana International, un transessuale, suscitando grandi polemiche, soprattutto da parte degli ebrei ortodossi. Dana, molto bella, simpatica e brava, vinse il concorso e questo ebbe un grandissimo eco nel Paese, tanto da ottenere riconoscimenti da parte del Presidente della repubblica e del Parlamento. Il sabato in cui Dana vinse l’Eurofestival scesero in strada a festeggiare, molti gay insieme a gente comune e anche a qualcuno degli ebrei ortodossi che prima della vittoria era critico. Dana diventò cosi in Israele un simbolo delle conquiste nel campo dei diritti dei gay.
La canzone che i protagonisti del film compongono è in realtà stata scritta in una notte da Babydaddy degli Scissor Sisters, su richiesta di Fox che gli aveva chiesto di comporre una canzone allegra come quelle degli Abba.
Ha chiuso la serata un bel documentario italiano dedicato alla storia del Plastic, tuttora uno dei locali più queer, più glamour, più underground di Milano.
This is Plastic! di Patrizio Saccò (Italia, 2014)
VOTO:
Hanno presentato il video Patrizio Saccò e il coautore e compositore Massimiliano Fraticelli. L’idea di un documentario sul Plastic era venuta a Massimiliano, che aveva lavorato un po’ di tempo con Nicola Guiducci, storico DJ del Plastic. Da quando Massimiliano era arrivato a Milano, più di sedici anni fa, sentiva sempre dire che il Plastic chiudeva, questa cosa era diventata mitologica, però non arrivava mai. Due anni fa quando Massimiliano chiamò Nicola per dirgli che voleva raccontare la storia del locale, Nicola lo informò che in realtà questo cambio epocale di sede stava avvenendo: il Plastic avrebbe chiuso nella sede di Viale Umbria 120 e avrebbe riaperto in Via Gargano.
Cosi Patrizio e Massimiliano hanno iniziato a raccogliere materiale sulla storia del locale arrivando sino a davanti alla porta della nuova sede, ma senza entrarci. Il film mostra immagini di feste e serate (alcune organizzate da Maurizio Cattelan) sino alla festa finale e alla ultima chiusura della saracinesca.
Raccontare la storia di un locale come il Plastic è stato difficile, perché tutti i clienti si sentono in qualche modo a casa, tutto quello che succede li dentro è come accadesse in famiglia, per cui è anche difficile che poi esca fuori. Patrizio e Massimiliano hanno deciso di non puntare tanto su avere molte testimonianze, ma di avere delle voci da dentro.
Per cui nel film abbiamo innanzitutto le testimonianze dei proprietari e gestori del locale: in primo luogo Nicola Guiducci e poi Lucio Nisi, Sergio Tavelli, La Pinky (che faceva la selezione all’entrata).
E poi parlano gli amici intimi: Saturnino, Elio Fiorucci (che portò a Milano Keith Haring) , Maurizio Turchet, Alex Carrara, che è anche DJ all’interno del locale. Grazie al coinvolgimento personale di tutte queste si è potuto raccogliere molto materiale di archivio, tra cui un prezioso repertorio fotografico ci ha permesso di visualizzare alcuni momenti importanti nella storia del locale.
Una cosa che gli autori hanno notato in questi due anni di frequentazione, è che non c’è mai stata da parte di nessuno dello staff la volontà di autopromuoversi. Il successo del Plastic è un passa parola che è cresciuto con gli anni. Hanno iniziato con una stanza colorata di nero e la musica e tutto si è poi costruito con la fama. E poi c’è la musica di Nicola Guiducci, un DJ incredibile, che è riuscito a mettere insieme cose cosi diverse, con uno stile e una classe del tutto personali.
Un locale come questo che vive da più di trent’anni è fatto di tante componenti, la musica è una parte importante. Forte è anche il discorso dell’arte contemporanea: da lì sono passati i personaggi della Factory, Andy Warhol, Basquiat, Keith Haring. Poi è arrivato tutto il discorso della moda con i suoi stilisti. Tutto un insieme di personaggi che poi sarebbero diventati famosi, di persone già famose e di perfetti sconosciuti. A livello musicale il Plastic è passato in mezzo a 35 anni di musica, avendo sempre un’impronta personale, senza mai seguire le mode e spesso anticipandole.
Probabilmente il Plastic anche in futuro non avrà bisogno di grossi cambiamenti perché ha una formula che funziona bene da tanti anni. Saturnino dice nel film che è come la formula della Coca Cola: funziona davvero. Rimarrà fedele a se stesso proprio perché si è sempre messo in discussione. Il bello del Plastic è anche il fatto che unisce generazioni diverse, ha lo stesso appeal per motivi diversi sia sulle nuove generazioni che su quelli che da tanto tempo lo frequentano. Ora anche se ha cambiato zona il locale ha mantenuto le stesse caratteristiche della sede storica, anche se è più ampio e i divani sono nuovi. Nicola ha sempre cercato di far crescere i dj con uno stile molto libero e personale e questo faciliterà il ricambio generazionale.
IMMAGINI DELLA SERATA
(A cura di Antonio Schiavone e Roberto Mariella)