INTERVISTA A MARIO FANFANI REGISTA DI "LES NUITS D'ETE"

una sorprendente opera prima che ha incantato tutto il pubblico (giuria del Queer Lion compresa)


Una scena dal film “Les Nuits d’été”

Con un cognome come il suo non si può non cominciare la nostra intervista con una domanda di carattere biografico. Parente del famoso politico?

Ebbene sì, alla lontana. Non posso negare che condividiamo geni in comune. Io però vivo e lavoro in Francia da sempre. Tant’è che il mio italiano non è di certo né fluente né esattissimo.

Siamo più seri. Lei con questo film fa il suo debutto sul grande schermo, e dalle sue note biografiche sappiamo che nasce come cineasta che ha realizzato cortometraggi sul tema dell’Aids. Che tipo di corti erano?

Erano 3 corti riuniti sotto l’unico titolo di “UN DIMANCHE MATIN à MARSEILLE”, trilogia realizzata nel 1999 per conto di un’associazione francese, l’AIDES PROVENCE, per promuovere la lotta contro questa terribile sindrome e per impegnarsi in favore delle persone affette dall’AIDS. Erano corti che raccontavano i gesti della solidarietà e al centro dei quali erano ogni volta minoranze differenti. Grazie al buon esito dei 3 corti la rete televisiva ARTE nel 2005 mi ha offerto l’occasione di girare il film televisivo “UNE SAISON SIBELIUS”… e da lì è nata l’occasione per girare il film “LES NUITS D´ETE”, a tutti gli effetti il mio primo film che mi ha portato qui a Venezia… e mi pare un sogno!!!

Il quale “LES NUITS D´ETE” ha un inizio che per costruzione dell’immagine e tipo di ripresa, di montaggio, di atmosfere ricorda tanto il cinema di quella fine anni ’50-inizio ’60 in cui è ambientata la vicenda. Sembra che l’ispirazione visiva arrivi direttamente da “IL SERVO” o da “L’INCIDENTE” di Losey. Stesso senso dell’incombente minaccia, stesse inquietudini. Anche perché il protagonista, Guillaume De Tonquédec, assomiglia in modo impressionante a Dirk Bogarde, che di quella stagione cinematografica fu uno dei grandi protagonisti.

Le influenze sono state tante, dal Vadim di “… et Dieu créa la femme”, al Fassbinder di “LOLA”, ma anche tanto Chabrol per il suo modo di guardare all’interno borghese come fosse il terrario di un entomologo, ma io vedo nel mio film anche riferimenti a Fellini, a Bergman, e sì anche Losey. E’ il mio modo di rendere omaggio e ringraziare da cineasta i registi che mi hanno emozionato da spettatore. In quanto a Dirk Bogarde è vero che Guillaume De Tonquédec gli assomiglia molto nei tratti del volto, ma l’ho scelto anche perché ha una somiglianza con Glenn Ford, che è un attore che ai tempi della mia adolescenza eccitava i miei desideri. 

Il suo film contiene una serie di citazioni camp che a un occhio esperto di cinema non possono non sfuggire. Si pensi al mambo della prima scena nel cabaret che ricorda tanto la Bardot. Possiamo dire che siamo di fronte a un’opera camp? 

E’ proprio una delle citazioni a cui accennavo prima. Ho chiesto alla mia costumista di rifare un abito simile a quello di BB in “… et Dieu créa la femme” e al coreografo di ricostruirne le stesse movenze delle braccia senza che fosse un ricalco esatto. E’ un omaggio a quella che è una scena fondamentale nella mia carriera di spettatore. Mi è parso un bel modo di introdurre lo spettatore nel mondo del cabaret e dei travestiti. Sì, non mi dispiace la definizione di “camp” per il mio film. 

Come ha ricostruito il look degli abiti femminili dell’epoca e l’aspetto delle scenografie? Su che fonti si è documentato?

La principale fonte di ispirazione è stata un libro americano “CASA SUSANNA” pubblicato una decina di anni fa, una raccolta di fotografie degli ’50 molto misteriosa. Sono foto scattate da uomini in abiti femminili ad altri uomini in abiti femminili. Se non conoscete questa raccolta consiglio a chiunque di andare a sfogliarsela. Non vi si racconta una singola storia, ma attraverso queste immagini si possono leggere un’infinità di storie. Non a caso è stato un libro fonte di ispirazione per molti altri oltre che per me. E’ un’incredibile melange di immagini di una potenza enorme, grottesche e raffinate, popolari ed eleganti nello stesso tempo. Però sempre tenere e piene di una particolare grazia anche quando i modelli ritratti sono al limite dell’orrore. Ciò che stupisce di più è il fatto che fossero uomini che in qualche modo documentavano la propria aperta trasgressione in un periodo in cui non era così facile e innocuo trasgredire come oggi. Ma l’aspetto più stupefacente, che poi è quello che mi interessava maggiormente recuperare, era dato dal fatto che questi uomini en travesti riproducevano, anzi si impegnavano a riprodurre, modelli femminili assolutamente reazionari. O in alternativa le vamp cinematografiche. Avevano solo questi due modelli antitetici a cui riferirsi. In questa discontinuità tra generi e intenti risiede uno stimolo di indagine molto forte. Un’altra delle foto di “CASA SUSANNA”, per fare un ulteriore esempio di come si è lavorato a partire dal libro, è stata fonte di ispirazione per una delle scene più “libertarie” del film, quella in cui il gruppo dei travestiti trasferitisi in montagna ribattezza con un nuovo nome inciso su una targa di legno decorata a mano la villa in cui sono ospitati dal protagonista. E’ una scena che deriva da una foto del volume in cui si vede un travestito appoggiato a un tronco a cui è inchiodata una targa analoga con l’intestazione “CASA SUSANNA”.

Stiamo ancora nel camp e parliamo un po’ delle scelte musicali, perché il film è pieno di musiche e di canzoni. Come si è orientato nella scelta?

Le fonti sono le più disparate. Ho cercato brani musicali e canzoni che venivano realmente eseguiti alla fine degli anni ’50, come certi motivi di Boris Vian, ma non mi sono voluto vincolare a quello specifico 1959 in modo ferreo. Il film è pieno di anacronismi e non solo in campo musicale. Per esempio nel ’59 che è l’anno in cui è ambientata la mia storia, non si usava il termine “guerra” o “conflitto” per indicare ciò che stava succedendo in Algeria. Un po’ per censura, un po’ per incoscienza. Ero totalmente consapevole di tali anacronismi già mentre giravo il film, ma mi servivano così com’erano e non sono stati mai una preoccupazione. Facciamo un altro esempio relativo alla canzone antimilitarista “Moi Je Prefere”. E’ un brano di Jeanne Moreau (…e sempre nel camp si va a parare!!! N.d.R) di qualche anno posteriore al ’59, ma io ho chiesto al mio musicista di riscriverla con un arrangiamento più retrò, più metallico e così ho ottenuto il sapore che mi occorreva per quella scena.  

Una delle scene più divertenti è l’elencazione del DECAOLOGO DEL PERFETTO TRAVESTITO. E’ un testo originale recuperato da qualche fonte storica o ha un’altra origine?

E’ una sequenza tutta originale scritta nella sceneggiatura. In certo qual modo ha a che fare col femminismo e con i doveri che la donna aveva da ottemperare rispetto al resto della società. Qui è tutto ribaltato e da questo ribaltamento deriva il divertimento paradossale. Del resto anche la figura della moglie del protagonista vive della stessa contraddizione. Il suo discorso dello scandalo deriva dalla sua sensazione che qualcosa non funziona nei rapporti e nei doveri sociali tra uomini e donne e quando si ribella ai massacri della guerra lo fa su un piano intimo e personale partendo da un istinto femminile in contrasto con la morale e col sentire dominante che era di matrice maschile.

Che indicazioni ha dato agli attori su come indossare gli abiti femminili?

Non dimentichiamoci che nel cast c’erano personaggi del calibro di Zazie De Paris (una delle drag queen più celebri dello spettacolo e del cinema francese. N.d.R.) e che miglior riferimento gli attori non potevano trovare. Zazie dice sempre che quando un attore deve interpretare un ruolo femminile non deve far altro che smaltarsi le unghie. Otterrà maggiori risultati da questa semplice pratica che non da ore di training fisico o vocale. Da parte mia ho solo detto agli interpreti di muoversi nella massima libertà all’interno dei costumi, in contrasto agli abiti che in realtà erano come corazze. Così alla fine si sono anche divertiti a fare cose mai fatte prima.    

Prima Guillaume Gallienne en travesti in “TUTTO SUA MADRE” ora in questo film troviamo anche Serge Bagdassarian  della Comédie-Française in abiti femminili. Non è tutta la vostra massima istituzione nazionale ci stia prendendo gusto a cimentarsi con i ruoli legati alla confusione tra le identità sessuali?

Per gli attori è un puro azzardo. Serge Bagdassarian ha   un fisico molto particolare, non è alto e quasi sferico (mi si passi l’espressione che non vuole essere per nulla offensiva!). Ha fatto anche molto cinema, ma nessuno l’aveva usato così né in teatro né sullo schermo. Lo sceneggiatore aveva previsto semplicemente un attore dal grosso fisico. Tutta la sua caratterizzazione è venuta fuori sul set. Non male, vero?

Immaginiamo che sappia che il suo LE NUITS D’ETE partecipa al concorso del Queer Lion. Altri registi, anche in edizioni non lontane, non hanno gradito che la propria opera venisse messa in corsa per questo premio. A lei fa piacere o ne è disturbato?

Sapevo già di essere nel concorso del Queer Lion e ne sono stato molto felice fin dal momento in cui mi è stata comunicata la notizia. Se poi dovessi essere premiato per me sarebbe un vero onore. 

(Intervista di Sandro Avanzo a Venezia)


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