Una scena dal film “The Goob” primo lungometraggio di Guy Myhill
Come preannunciato abbiamo incontrato Guy Myhill, regista del film britannico THE GOOB in concorso per il Qeer Lion (ne abbiamo trattato ieri nella prima corrispondenza dal Lido).
Per approfondire alcuni aspetti del suo lavoro non si poteva non partire che dalla richiesta di informazioni sulla genesi della pellicolla.
Diciamo che lo spunto primario mi è venuto dal paesaggio e per me, che arrivo dal documentario, era fondamentale trovare la giusta location, sufficientemente neutra per essere comune a latitudini differenti, e nello stesso tempo reale per rendere con precisione la natura inglese. La zona che ho individuato e in cui ho girato il film si trova a 160-180 kilometri a nord-est di Londra ma mi ricorda molto certe aree rurali dell’Est Europa che ho vistato quando realizzavo documentari per la BBC. Io avevo intenzione di raccontare una storia universale, che non fosse collocabile in una precisa regione di uno specifico paese, ma era fondamentale che il paesaggio fosse quello giusto, perché era necessario che avesse la stessa importanza del protagonista principale.
Mi interessava raccontare una storia tipica di un certo periodo della vita, l’adolescenza, quando tutte le strade sono ancora aperte ma ancora non si sa dove le circostanze ci porteranno e quali scelte saremo costretti a fare. Volevo mettere in relazione questo momento dell’esistenza umana con lo spazio circostante della natura e nello stesso tempo mostrare quello che avviene in una comunità chiusa. Ciò che accade nel mio film, e che si riferisce all’Inghilterra, potrebbe svolgersi negli stessi termini in Romania, in Polonia o in Portogallo, ovunque in zone rurali vi siano donne lasciate sole a crescere dei figli. E’ per questo che mi vengono in mente in primo luogo i paesi dell’Est Europa del nuovo millennio.
Come ha scelto un giovane protagonista così intenso e credibile sullo schermo?
Liam Walpole che interpreta il giovane Goob è davvero bravissimo, un’autentica scoperta, non avendo mai fatto cinema prima. E’ stato un caso a farmelo conoscere, è stato soprattutto il suo sguardo a colpirmi. Appena davanti all’obbiettivo ha saputo restituire tutti gli stati d’animo che gli chiedevo. E’ stato un amore, un’intuizione a prima vista. Ho capito subito che era l’interprete giusto e alla fine credo che il mio istinto mi abbia dato ragione. Trovo che è veramente eccezionale a rendere il carattere di un 16enne che percepisce ogni stimolo possibile ma che per l’inesperienza dell’età non sa in che direzione instradarlo. Si rende conto che non è lo shopping l’unico obiettivo della vita, ma non ha molti altri orizzonti davanti a sé.
E’ stato difficile dirigere gli incontri-scontri tra il giovane Goob e il violento compagno della madre, il possidente terriero, il macho per eccellenza del paese?
E’ una delle situazioni psicologiche che gli interpreti hanno stranamente colto con più facilità e paradossalmente reso con più efficacia. L’adulto è l’unica figura maschile con cui, vista l’assenza del padre, i due fratelli, e Goob in particolare, hanno avuto a che fare. Sono consapevoli che come modello di riferimento è un modello sbagliato, ma è l’unico che hanno a disposizione; e questo genera in loro un forte senso di impotenza e una marea di contraddizioni. Credo che sia uno degli aspetti che preferisco del film.
In questo complesso dissidio si viene a inserire all’improvviso la figura del ragazzo gay. Non è chiaro in che direzione vada la sua presenza nella vita del giovane protagonista. Quali effetti avrà nell’orientamento della sua vita. Influenzerà in qualche modo le sue future inclinazioni sessuali?
Non ho voluto di proposito dare indicazioni in tal senso. Tutto può succedere all’età di 16 anni. Certo il rapporto col ragazzo gay sarà importante nello sviluppo della personalità del giovane Goob, ma lui ha questa occasione, sia il bisogno di toccamenti fisici con il ragazzo che con la ragazza carina che tanto gli piace. Solo il tempo e la maturità gli daranno modo di capire il perché di ciò e gliene sveleranno l’importanza.
Nell’insieme del film c’è una tensione continua, come l’attesa di una tempesta che si sente in arrivo, ma che non arriva a esplodere mai. Come ha perseguito quest’idea?
Mi interessava filmare la storia come se avessi dovuto descrivere un buco nero. Penso sia stato più interessante dar corpo a un sentimento di rivalsa che si risolvesse in un’implosione piuttosto che una più prevedibile tragedia di vendette e di sangue.
Concorda se diciamo che la vicenda si muove tra la Romantic Comedy e il Family Drama? E perché ha chiuso il film con il fermo immagine di un primo piano del protagonista senza dare una soluzione alle sue inquietudini?
Sì, mi piace l’accostamento tra l’aspetto della comedy e quello del dramma, è quello che avevo precisamente in testa mentre scrivevo la sceneggiatura. Ma non concordo se si dice che il film non ha una soluzione. Alla fine Goob trova un riferimento fisso su cui costruire il proprio futuro, nella scena in cui si rende conto che l’affetto della madre non lo ha mai abbandonato e che mai lo abbandonerà. E’ grazie a quella certezza che può sentirsi vincitore sul rivale più adulto. E’ da quel momento che passa dall’adolescenza alla maturità.
Sullo schermo mostra svariate nudità, più maschili che femminili, a dire il vero. Pensa che ciò sia una zavorra o un incentivo per la distribuzione del film nelle sale?
Né l’una né l’altro. Le ho inserite in quanto le ritenevo necessarie per far capire determinati snodi narrativi, ma non mi si venga ad accusare che si tratti di nudi erotici o tanto meno morbosi. Mostro quei corpi nudi, perché è attraverso la fisicità di quei corpi nudi che passano determinate verità che devono arrivare agli spettatori. Ho dovuto arrivare qui al Festival di Venezia per scoprire che nel vostro cinema italiano si tende ancora a far distinzione tra il nudo femminile (concesso!) e quello maschile (frenato!).
Nello stile si trovano rimandi a un certo gusto da film americano indipendente alla “Sundance Festival”. E’ una scelta pensata in funzione di una possibile distribuzione sul mercato USA o è un suo modo naturale di intendere il cinema?
Più che agli indipendenti d’oltre Atlantico mi piace pensare di essere stato influenzato da un film come TROPICAL MALADY, sia per la tematica adolescenziale che per l’importanza che ha la natura nello svolgersi della vicenda.
Rimaniamo allora nell’elenco delle citazioni. La sequenza dello stupro del ragazzo gay, di notte, nei campi, alla luce dei fari di un pick-up voleva forse essere un omaggio al film BOY DON’T CRY di Kimberly Peirce con Hilary Swank?
Mi è già stato detto di questa similitudine. Ma a dire il vero io non ho mai visto quel film. Si vede proprio che talora gli spettri ritornano. L’importante è che non tornino a far danni.
Vuole spendere qualche parola anche sulla colonna sonora? Spesso le scelte musicali sembrano usate in chiave volutamente “camp”. Il riferimento ovviamente è al provocatorio ballo del ragazzo gay sulle note di I FEEL LOVE di Donna Summer.
Credo che le musiche nell’insieme siano piuttosto classiche. La stessa I FEEL LOVE è ormai da considerarsi un classico. Mi serviva un brano anni ’70 che rievocasse il senso di libertà e di ribellione di quegli anni. Ma il tempo trascorso lo ha davvero consacrato allo stato di classico. Dirò una cosa qui in anteprima: sarà questo il brano sonoro del trailer del film per le sale. Il trailer non è ancora pronto, ma di I FEEL LOVE abbiamo già ottenuto i diritti e di ciò sono molto orgoglioso.
Si sente lusingato del fatto che il suo film abbia aperto il concorso del Queer Lion veneziano 2014?
Per me è stata una vera sorpresa. L’ho scoperto arrivando qui al Lido di Venezia. Non conoscevo l’esistenza di questo concorso parallelo tra le varie sezioni del Festival. Non mi sento né orgoglioso né irritato per essere stato inserito in questo concorso. Sicuramente ne sono sorpreso, e sì, forse un po’ contento lo sono. Sono contento che anche il Queer Lion possa portare visibilità al mio film e pubblico nelle sale.
[Intervista di Sandro Avanzo alla Mostra di Venezia]