Escono questa settimana due film ad alta temperatura gay, scritti e diretti da due registi gay che più diversi non potrebbero essere.
Amelio, fresco di coming out, ci regala un doc, “Felice chi è diverso”, che è migliore di un film, con tante storie raccontate da 19 protagonisti, che parlano della loro vita, senza domande e risposte e nessuna didascalia (nemmeno i nomi dei personaggi, la maggior parte sconosciuti ai più), che alla fine ci sembrano una sola persona ed una sola storia, quella di un omosessuale nell’Italia dal secondo dopoguerra ad oggi.
Eppure il film è in realtà un caleidoscopio di situazioni, di emozioni, di differenti reazioni ad una condizione difficile, problematica, spesso drammatica, dove molti arrivano fino a tentare il suicidio. Solo un personaggio, l’attore Paolo Poli, dichiara di aver vissuto una vita felice, ma in realtà capiamo che la sua è stata una vita divisa, dove sesso e amore non si sono mai incontrati, dove quindi il sesso, anche se bellissimo, non può mai diventare passione e lasciare quel segno indelebile, quell’impronta che può segnare un’intera vita.
Il film è ricchissimo di contenuti, di riflessioni, ma anche di pathos, di poesia, di immagini semplici che arrivano a mostrarci l’essenziale. La regia non fa differenze nell’inquadrare l’interno di un ricco appartamento o quello di uno scarno monolocale, entrambi specchio di anime che hanno combattuto con la stessa tenacia per affermarsi, dalla coppia benestante che ha il coraggio di convivere in un palazzo signorile sopportando quotidianamente gli sguardi di condanna degli altri inquilini, all’uomo che vive in una sola stanza costretto a ringraziare persino il fatto di essere diventato orfano in giovane età perché così ha potuto evitare il trauma del coming out coi genitori.
Tante sono le idee che il film esprime attraverso le esperienze dei personaggi o le rivelazioni che alcuni di loro ci fanno. Su ognuna di esse possiamo trovarci d’accordo o in dissenso, come quando Ciro Cascina si lamenta della parola gay, che secondo lui avrebbe cancellato tante differenze, impoverendo la nostra cultura, mentre secondo noi ha rappresentato un punto di svolta positivo, presentandoci al mondo con un volto nuovo e gioioso, l’inizio della nostra liberazione.
Ma ad Amelio interessa più sottolineare le differenze, la diversità, concepita come una ricchezza, anche all’interno del mondo omosessuale, ma soprattutto all’interno dell’umanità, diventando così la più forte giustificazione della nostra stessa esistenza. Felice il mondo che accoglie la differenza e felice colui che della sua differenza fa una bandiera.
Ma gli omosessuali oggi sono veramente felici? Il coraggioso e bellissimo film di Amelio si limita a darci la felicità come la giusta prospettiva. Più come un obiettivo che come una realtà acquisita. Un’idea che viene riassunta molto bene nella storia raccontata da Ninetto Davoli e dal suo incontro casuale con Pasolini. Ninetto stava bigiando la scuola (lui dice che era un giorno di “sega” a scuola) quando a zonzo con gli amici si ritrova per caso sul set di Pasolini che gli viene presentato dal fratello falegname. C’è subito un’intesa e quel buffetto che Pasolini gli dà sulla testa sarà l’inizio di uno sconvolgimento. La sua vita viene cambiata per sempre.
Un film appassionato e intenso, con riprese essenziali, senza inutili orpelli, con una colonna sonora discreta ma capace di esaltare i momenti più significativi utilizzando canzoni immortali come “Che cosa sono le nuvole” di Pasolini-Modugno o “Cu’mme” versione Murolo-Martini.
Un film sobrio e scorrevole dall’inizio alla fine, senza effetti speciali se non quelli di anime che si mettono a nudo, che ci raccontano noi stessi, i nostri problemi, le nostre difficoltà e le nostre speranze, come quella dell’unico giovane che chiude il film, consapevole che non tutto è risolto ma consapevole anche di essere sulla strada giusta, quella verso la felicità, finalmente per tutti, anche per noi.
Ozpetek ci regala invece un film, “Allacciate le cinture”, che sembra avere come primo obiettivo quello di coinvolgere ed interessare il più ampio pubblico possibile. E siamo sicuri che ci riuscirà e che le sale saranno piene di gay ed etero pronti ad emozionarsi davanti all’esplosione di una passione carnale imprevedibile, lei istruita e sensibile, lui rozzo e superficiale, ma entrambi con dei corpi da brivido in attesa solo di esprimere tutte le loro potenzialità (che generosamente non ci vengono nascoste).
In effetti c’è anche qualcosa di più, almeno nelle intenzioni. Quella cosa che si chiama amore e che scocca a nostra insaputa, nei momenti più imprevedibili, come all’inizio del film sotto una pensilina dell’autobus ed una pioggia torrenziale. Ma la spinta decisiva arriverà quando oltre alla bellezza del corpo, la protagonista scoprirà nel suo uomo anche una debolezza (è dislessico) che glielo mostra nella sua umanità. Il film è quindi la storia di questo amore, che durerà tutta la vita, nonostante diverse turbolenze. Ozpetek non rinuncia comunque ad una visone corale della storia, coralità che è sicuramente la cosa migliore del film, con diversi personaggi secondari che non rimangono mai delle semplici macchiette ma vengono cesellati come figure complete, ognuna con qualcosa da comunicare.
Una di queste assurge quasi ad un ruolo primario, accompagnando il film dall’inizio alla fine, senza però diventare una seconda storia e nulla togliere (o aggiungere) alla trama principale. Parliamo del personaggio di Fabio (Filippo Scicchitano, qui al suo secondo ruolo gay), amico del cuore di Elena (Kasia Smutniak), la protagonista, gay dichiarato e sereno, che ha idee particolari sull’amore ed il sesso, tipiche di molti omosessuali, comunque mai contrastato dall’amica che ci dà una bella lezione di tolleranza e comprensione. L’incontro tra Fabio e Antonio (un sorprendente Francesco Arca alla sua prima prova cinematografica), il protagonista maschile, non è dei migliori, perché Fabio, che già sbavava davanti al suo fisico, non può sopportare l’istintiva e rozza omofobia di Antonio. In seguito impareranno ad essere amici (ma nulla di più, come il bon ton insegna).
Al film abbiamo dato due GG di rilevanza gay, perché, anche se non ci sono storie gay ed il film è centrato su una storia d’amore etero, il film è gay dall’inizio alla fine, grazie alla continua presenza di Fabio (che comunque non ha nulla di sterotipato), allo spirito gayo che il regista mette praticamente in ogni scena, attraverso battute, osservazioni o commenti, e, last but not least, anche con una piacevolissima insistenza sul fascino del protagonista maschile, nudo o vestito che sia.
Dicevamo di un film che sembra fatto a tavolino per piacere a tutti, e che per questo si lascia andare ad immagini da cartolina, a stucchevoli girotondi intorno al viso della protagonista, spesso alla ricerca della gag facile (la salsiccia in bocca alla vegana), o del melodramma strappalacrime, che però trova anche momenti genuini ed efficaci, soprattutto nelle scene corali della prima parte, in alcuni momenti della vita di coppia (quando ad esempio marito e moglie si parlano ormai solo di spalle), e nella caratterizzazione dei vari personaggi (indimenticabile la compagna d’ospedale di Elena).
Restiamo però sempre in attesa del capolavoro che prima o poi, siamo sicuri, Ozpetek saprà regalarci.