“Anni felici” e’ sicuramente uno dei migliori film di Daniele Luchetti, che chiude una trilogia sulla famiglia iniziata con ‘Mio fratello e’ figlio unico‘ e proseguita con ‘La nostra vita‘. Questa volta l’autore ammette di essersi rifatto, almeno per meta’ degli eventi raccontati ma al 100% per i sentimenti che esprimono i personaggi, alla storia della sua famiglia. Gli anni felici del titolo sarebbero quelli successivi al ’68, i ’70, dove molti cercavano di mettere in pratica le ‘scoperte’ del femminismo, della liberta’ sessuale, dell’emancipazione dai valori tradizionali, della liberta’ d’espressione, dell’arte anticonvenzionale, ecc. Soprattutto negli ambienti della piccola borghesia intellettuale, in lotta con le precedenti generazioni.
Una lotta piu’ apparente che reale, sembra dirci il regista, perche’ in realta’, in quegli anni, tutti si portavano addosso il pesante fardello di un’epoca, definita del boom economico, dove la famiglia, il successo e i soldi erano stati l’unico metro giudicante. Adesso Guido (Kim Rossi Stuart), figlio di un’austera madre, e’ un artista che cerca con tutta l’anima di non essere convenzionale, mentre la moglie Serena (Micaela Ramazzotti), figlia di una benestante famiglia di commercianti, si sente insoddisfatta, quasi castigata, nel ruolo di semplice casalinga. La storia centrale del film e’ tutta incentrata su questo personaggio femminile, meravigliosamente interpretato, l’unico che riuscira’ a mettere in pratica lo spirito rivoluzionario post ’68, attraverso la conquista di una reale indipendenza e liberazione sessuale e sentimentale. Noi abbiamo dato al film solo due L, ma avremmo benissimo potuto dargliene tre, in quanto il film è tutto centrato sulla scoperta dell’amore omosessuale della protagonista e sulle reazioni dell’ambiente circostante.
Come spesso accade quando sono autori eterosessuali a raccontare l’omosessualita’, succede, allo stesso modo accaduto a loro di scoprire all’improvviso l’esistenza di questa tendenza, cosi’ anche ai loro personaggi gay (o lesbo), accade di trovarsi d’un tratto sulla via di Damasco, e scoprirsi perdutamente innamorati di una persona dello stesso sesso. Cosi’ avviene per Serena, che all’inizio del film vediamo innamoratissima del marito, supergelosa e condizionata da tutto quello che il marito fa o dice. Ma noi sappiamo che omosessuali si nasce e non si diventa, che nonostante tutti i tentativi di nasconderci a noi stessi, la nostra natura e’ insopprimibile. Cosi’ noi possiamo intuire che dietro alle ansie e alle paure di Serena, all’apparenza madre e moglie devota, si nasconde una forte insoddisfazione, una mancanza, l’assenza di una vera realizzazione. Peccato che tutto questo non abbia trovato posto nella mente degli autori e quindi nella sceneggiatura. Sarebbe bastato qualche piccolo cenno, sin dall’inizio del film, per rendere assai piu’ autentica e vera la storia di Serena.
Molto ben disegnato e’ invece il personaggio di Helke (Martina Gedeck), la gallerista di Guido, una lesbica solare, la cui passione per Serena appare sin dai primi momenti, anche se contenuta e molto delicata. Il suo sguardo fisso su Serena, le sue mani che cercano sempre un contatto fisico, le sue parole di comprensione e giustificazione, vengono sapientemente sottolineate in ogni inquadratura. Serena sembra non accorgersene, ma stranamente e contro tutti i suoi principi (la devozione al marito anzitutto) decide improvvisamente di seguirla per una vancanza in Camargue, gestita da un gruppo di femministe, abbandonando il marito solo a casa. Un gesto inatteso, soprattutto da Guido, che pure cercava sempre di tenerla lontana dal suo lavoro (e dalle sue avventure). In Francia si arrivera’ ai primi appassionati baci tra le due donne, che segnano l’esplosione sentimentale e sessuale di Serena, finalmente entrata nel suo vero mondo. Una passione che viene involontariamente registrata dalla cinepresa in super8 del figlio (che sarebbe il regista Luchetti da ragazzo) e sulla quale si concentra la parte centrale e finale del film, con le reazioni dei vari protagonisti…
Un film girato benissimo, con una fotografia che, con intensi primissimi piani, raccoglie il massimo dalle espressioni dei bravissimi interpreti; un montaggio incalzante, che rivela solo qualche scordatura (dovuta principalmente alla sceneggiatura) nell’intervento poco lineare dei due piccoli protagonisti (ci saremmo aspettati, vista l’impronta iniziale, una loro presenza piu’ costante). Una bellissima storia d’amore lesbico che sconvolge la routine di una famiglia etero negli anni ’70, il prezioso affresco di un’epoca che sara’ levatrice dell’emancipazione sociale ancora in corso nel nostro Paese.