Pubblicato il programma della 28ma Settimana Internazionale della critica che alla Mostra di Venezia 2013 presenta nove titoli, la cui scelta “è stata ancora una volta ispirata dalla missione di trovare energie espressive fresche e originali nel panorama cinematografico internazionale”. Tra questi titoli che “sembrano rincorrersi attraverso delle linee di percorso, siano esse di carattere geografico, tematico, concettuale o di somiglianza fra i caratteri dei personaggi” troviamo anche l’opera prima dello scrittore marocchino Abdellah Taïa, “L’esercito della salvezza” (titolo originale “L’Armée du salut”), tratto dal suo romanzo omonimo del 2006 (pubblicato in Italia da ISBN Edizioni nel 2009 – disponibile anche in ebook).
Lo scrittore e regista Abdellah Taïa
Abdellah Taia è il primo marocchino ad aver rivelato pubblicamente la sua omosessualità (in Marocco l’omosessualità è ancora un reato passibile di una condanna fino a 3 anni carcere).
Intervistato da Antonio Prudenzano su AffariItaliani.it Taia risponde così alla domanda su cosa significhi essere gay nel Marocco di oggi: “E’ vero che sono il primo marocchino ad essersi dichiarato pubblicamente, sia nei libri che attraverso i media marocchini. E’ vero, è vero… Ma non me ne prendo i meriti. Quel che manca in Marocco, sia che si consideri gli eterosessuali che gli omosessuali, è la possibilità di esistere per se stessi, di vivere in modo in modo indipendente, padroni del proprio corpo e della propria sessualità. Quando parlo liberamente della mia omosessualità, acquisisco consapevolezza del mio ruolo e allo stesso tempo provo paura. Appartengo a una generazione che è stata allontanata dalla politica dal re Hassan II. Da alcuni anni, grazie a internet, è in corso un processo di scoperta della possibilità di affrancarsi dalla paura, dalla sottomissione, dalla banalità religiosa e politica che sono state imposte. Ho 36 anni. Sono uno scrittore. Vengo da un paese in cui gli intellettuali non si s’impegnano più: dormono. Anche quando parlo della mia omosessualità parlo degli altri. Un omosessuale vive nella società, non al di fuori. Parlo, posso farlo: non devo usufruire di questo lusso per me soltanto… L’omosessualità è tutt’ora considerata un crimine dalla legge marocchina. La società quasi non tollera gli omosessuali, li obbliga ancora a nascondersi e a vivere nella vergogna. Bisogna impegnarsi a nome di coloro che non possono parlare, che non sono soltanto gli omosessuali”. Si è mai pentito della sua scelta di fare outing? “Mai. Mai… Certo, non è semplice denudarsi completamente davanti ai proprio genitori. E’ difficile spiegare, convincere. Dire: sono omosessuale, non sono malato, sono come voi, vengo dal vostro stesso passato di povertà e sottomissione… Certo, ho ancora un po’ di paura. Certo, a volte piango… Ma, anche nei giorni più bui, non dimentico mai la mia straordinaria fortuna: scrivo, vengo pubblicato e tradotto. E’ un onore. E, lo ripeto, soprattutto un dovere”.
Il film, come il libro, racconta l’esperienza di vita di Taia, un lungo e difficile viaggio di formazione, alla ricerca della propria libertà nella coraggiosa accettazione e difesa della propria identità. I media marocchini si sono spesso accaniti sia contro lo scrittore che contro il regista Taia (“Si è prostituito per piacere all’ Occidente”, “A parlare non è lui, ma il suo posteriore”)
Una immagine dal film “L’Armée du salut”
Riportiamo parte dell’articolo di Alberto Giannini apparso su indie-eye.it
L’Armée du Salut è stato pubblicato tre anni prima, nel 2006 dalla casa editrice Parigina Le Seuil Editions, è il terzo romanzo di Abdellah Taïa e ha una forma apertamente autobiografica. Dedicato al padre, comincia con la ricostruzione della sua infanzia nel quartiere di Hay Salam Sale, la città dove è cresciuto situata vicino a Rabat. Una casa, quella di famiglia, che condivide con il padre, un fratello maggiore, sua madre e sei sorelle, tutti disposti in sole tre camere, un ambiente angusto che contribuisce ad una formazione sessuale complessa tra incesto e promiscuità in un marocco sessualmente oscuro e clandestino, tra i primi ricordi c’è infatti quello dei suoi genitori che fanno all’amore e che Taïa descrive senza alcun senso di colpa, come se quella vicinanza avesse avuto la funzione di una vera e propria iniziazione in un contesto comunque legato ai valori tradizionali. Si aggiungeranno due figure importanti nel corso del romanzo, per la formazione sessuale di Abdellah Taïa, il fratello maggiore Abdelkébir e un uomo colto, Jean, che con lui parlerà di Cinema e Letteratura e che lo inviterà a vivere con lui a Ginevra, città dove effettivamente si trasferirà dopo aver vinto una borsa di studio.
Per l’adattamento del film, Taïa ha cercato di non essere totalmente fedele al suo romanzo, un lavoro che ha necessitato di due anni di tempo, ma assolutamente necessario per andare oltre al testo e rendere più obiettiva la storia che, come dicevamo, è principalmente di carattere autobiografico. Per Taïa era necessario “bruciare se stesso e il romanzo”, liberare il personaggio da se stesso e viceversa, perchè l’unica visione a cui deve fedeltà è quella Marocchina nel suo complesso, mentre doveva permettersi libertà per ricostruire il personaggio principale, allontanandolo da se stesso.
Lo stesso Taïa, riguardo il tema dell’omosessualità, ha cercato di mostrare questi aspetti senza evidenziare quello comunque di rottura. È semplicemente una realtà all’interno di una famiglia normale nelle strade vicino a Casablanca. Questo non ha evitato ostilità durante le produzione del film, gonfiate da certa stampa Marocchina che in qualche modo, indirettamente ha cercato di forzare un certo tipo di censura sul film stesso a cui si sono aggiunti alcuni disordini scatenati dagli integralisti Islamici a El Jadida, una delle città dove Taïa ha girato e dove si manifestava contro lo scrittore in occasione di un workshop sui sui romanzi.
La rappresentazione del Marocco nel primo lungometraggio di Abdellah Taïa, è “senza nessun compromesso”, ha dichiarato il regista, mostra la sua verità in modo esplicito cercando di puntare su quell’ambiguità che dilania il paese su moltissimi aspetti, uno di questi è l’omosessualità, una questione interna e esterna alla stessa famiglia del romanzo e del film ma che non spinge verso il riconoscimento individuale. In questo senso Abdellah Taïa dice di aver cercato di ricreare la complessità del mondo marocchino nel modo più accurato possibile, con il suo linguaggio e i suoi codici.
Il film è fotografato da Agnès Godard, un desiderio che si realizza per Abdellah Taïa; lo scrittore/regista a 24 anni aveva visto proprio in Marocco il film di Claire Denis, Nénette et Boni, dove Agnès Godard era direttore della fotografia, una folgorazione talmente grande da avergli fatto desiderare per lungo tempo la sua collaborazione, nel caso in cui avesse affrontato un primo film come regista.
Per quanto riguarda i suoi due alter ego, si tratta di Karim Aït M’Hand, un attore francese di origini Marocchine, scoperto da Abdellah Taïa in francia, adattissimo, secondo lo scrittore/regista per interpretare il suo lato più oscuro. Saïd Mrini interpeta Taïa a 15 anni, l’attore è stato trovato a Casablanca e scritturato tre mesi prima di cominciare le riprese. Per Taïa i due attori, pur avendo un mood e un’impostazione differente, interpretano benissimo quel senso di impenetrabilità che voleva dare al personaggio anche nella sua evoluzione.
Il film è una co-produzione Les Films de Pierre, Les Films Pelléas, Rita Production, Ali n’films.
——————————-
Articolo di Jacopo Granci su osservatorioiraq.it
Marocco. “L’esercito della salvezza” di Abdellah Taia
“L’esercito della salvezza” non è un semplice romanzo, ma un viaggio di formazione dai tratti teneri e violenti. Un mosaico in cui si intrecciano il passato e il presente dello scrittore marocchino. Un’immersione nell’intimità dell’autore che racconta il distacco “dal suo primo mondo” senza pudori né censure, con una scrittura dolce e allo stesso tempo severa, nuda.
Le prime pagine del testo si aprono sull’infanzia dello scrittore, segnata dalla promiscuità vissuta all’interno delle mura domestiche. Nella piccola casa di Hay Salam, un quartiere popolare alla periferia di Salé (che assieme alla capitale Rabat formano un unico agglomerato urbano), ci sono solo tre stanze: una per il padre, una per il fratello maggiore e una in cui lo stesso Abdellah dorme con la madre, il fratello più piccolo e le sei sorelle. Nulla sfugge dell’intimità familiare, né la vita amorosa dei genitori né i loro litigi, che a volte sfociano nella violenza.
Appena adolescente Taia trascorre una settimana di vacanza a Tangeri assieme al fratello maggiore, verso cui prova una tale venerazione che lui stesso definisce un “amore morboso”, a tratti ossessivo. Nella città di Bowles e Choukri, lo scrittore vive il suo primo rapporto omosessuale all’interno di un vecchio cinema della medina.
Il viaggio continua. A venticinque anni Abdellah si ritrova a Ginevra per proseguire gli studi universitari (letteratura francese). Immerso nel freddo della città svizzera, solo e affamato, cerca rifugio all’Esercito della salvezza (organizzazione caritatevole-religiosa di tradizione cristiana). Il ricordo di un Marocco ormai lontano e quello di Jean si fondono nella sua mente. Le passeggiate per le vie di Rabat, i viaggi a Marrakech e poi a Tangeri, ogni momento trascorso assieme al suo amante gli torna alla memoria, come le pagine di un vecchio diario rimasto nascosto troppo a lungo.
“In quelle pagine ho cercato di restituire le impressioni, gli stati d’animo e i dubbi che hanno preceduto e poi accompagnato la mia partenza – racconta lo scrittore -. Il passaggio dal ragazzino con i piedi scalzi che ero, all’uomo indipendente che stavo diventando. Il libro racconta la difficoltà con cui ho vissuto il distacco dal mio ‘primo mondo’, il timore di ritrovarmi solo, quel misto di incertezza e euforia con cui sono scivolato lentamente in una nuova dimensione. Ma tratta anche di violenza, di amori difficili e di sessualità, un aspetto spesso associato al pudore, ma di cui non si dovrebbe mai aver paura di parlare”.
Abdellah Taia è il primo marocchino ad aver rivelato pubblicamente la sua omosessualità (un tabù sociale nel paese, oltre che un reato passibile di una condanna fino a 3 anni carcere secondo il codice penale) . Lo ha raccontato nei suoi libri, dove descrive il Marocco popolare – “ricco nella sua povertà” – che ha conosciuto tra le mura domestiche e per le strade della sua città. Lo ha poi dichiarato alla stampa nazionale, destando scalpore.
Da quel momento il giovane romanziere, oggi trentanovenne, è diventato un simbolo di libertà ed emancipazione.
“Sono figlio di Salé, figlio di Hay Salam uno dei suoi quartieri più poveri dove ho fatto il mio incontro con la vita. Tutto parte da lì, perfino il mio modo di essere omosessuale è intrinsecamente legato agli odori, ai sapori e alle esperienze di quegli anni. Per me è inevitabile che questo mondo, nella sua dimensione intima come in quella pubblica, risorga con impeto ogni volta che scrivo, perfino ogni volta che parlo. Un impeto dove violenza e tenerezza si mescolano fino a confondersi”.
Dopo la parentesi svizzera, Abdellah Taia si è stabilito a Parigi dove vive dal 2001. Le sue prime opere (oltre a L’esercito della salvezza, Mon Maroc e Le rouge du tarbouche) descrivono in maniera lucida e consapevole il conflitto interiore di un uomo che sente di appartenere a più culture. Il giovane scrittore, pur abbracciando la modernità, non rinnega quel mondo di miseria, affetto e sofferenza che l’ha visto crescere. Al contrario – se paragonato con la freddezza del suo impatto con l’Europa – lo considera vivo, umano e autentico.
“Quando ho lasciato il Marocco avevo già maturato – sebbene inconsapevolmente – una sorta di ‘fedeltà’ per quel mondo che prima detestavo. Una fedeltà interpretata alla mia maniera, un sentimento controverso che non può essere paragonato ad una nostalgia facile e innocente”.
La grande passione per la letteratura francese e per il cinema – oltre alla madre e alle sorelle, sono le attrici egiziane le “eroine” dell’autore – e la necessità di vivere apertamente la sua sessualità lo hanno spinto a separarsi da Salé e dalla sua famiglia.
Raggiunto il Vecchio continente, tuttavia, è spaventato dall’indifferenza e dall’egoismo che sta impoverendo la società occidentale. Così non riesce a separarsi del tutto dalla sua terra, dai suoi santi, dai suoi jnoun e marabut che lo legano alla figura materna. Si scopre profondamente attaccato ad una tradizione che racconta preservandone il mistero. “Avrei dovuto perdermi completamente per meglio ritrovarmi”, confessa Taia nelle ultime pagine del libro.
L’esercito della salvezza (da cui nel 2012 è stato tratto il film omonimo, diretto dallo stesso Taia) rappresenta così una sorta di libro-matrice, “un libro che racchiude l’origine di tutto ciò che sono”. Riprende immagini e tematiche già trattate in precedenza dallo scrittore e anticipa alcuni spunti poi approfonditi in “Uscirò da questo mondo e dal tuo amore” (Isbn, 2010) e “Ho sognato il re” (Isbn, 2012). Per Abdellah Taia si tratta di un crocevia esistenziale e allo stesso tempo stilistico, che segna il passaggio dal racconto al romanzo.
Un romanzo dove l’intreccio è simile alla base di un mosaico in cui vanno ad incastrarsi i differenti tasselli: tante micro-storie legate assieme da un filo autobiografico.
“Talvolta penso a me come un semplice scrivano pubblico a cui è affidato il compito di tramandare frammenti di memoria. In Marocco non si raccontano mai abbastanza le gioie e le sofferenze legate alla quotidianità, ancor meno all’intimità, come se non fossero abbastanza nobili o eroiche per poter essere ammesse nell’universo della letteratura”.
Con una scrittura semplice, dolce e allo stesso tempo severa, e un linguaggio poetico ma mai ricercato, Taia svela le contraddizioni e i sentimenti che lo guidano alla ricerca di un possibile equilibrio tra passato e presente, tra la paura della separazione e l’emozione della scoperta.
Abdellah Taia,
L’esercito della salvezza,
ISBN Edizioni, 2009
(titolo originale: L’armée du salut, Seuil, 2006).