Ci ha lasciati il regista Nagisa Oshima, autore di due pietre miliari del cinema gay

Nagisa Oshima, uno dei più importanti registi giapponesi, muore all’età di 80 anni in seguito ad un’infezione polmonare.

Nagisa Oshima, uno dei più importanti registi giapponesi, muore il 15 gennaio 2013, all’età di 80 anni in seguito ad un’infezione polmonare. Oshima è uno dei pochi registi etero (è sposato con l’attrice Koyama Akiko, co-fondatrice della sua società di produzione Sozosha), autore di film a completa tematica gay. Oshima ha affrontato in quasi tutte le sue opere, tematiche sessuali molto esplicite, come nel film “L’impero dei sensi” del 1965, che gli valse una notorietà mondiale. Ancora più dirompente è la storia che racconta nel film “Furyo” del 1983, dove David Bowie e Ryuichi Sakamoto sono i protagonisti di una storia, ambientata in un campo di concentramento giapponese, tutta concentrata sulla forte attrazione omosessuale che li unisce e li separa nello stesso tempo. Il film è ricavato dalla storia autobiografica raccontata da Laurens van der Post nel libro “The Seed and the Sower“. Il film inizia con una scena che ci dimostra quanto, sia i giapponesi che gli inglesi presenti nel campo di concentramento, fossero avversi all’omosessualità. Il capitano Yonoi (Sakamoto) cerca in tutti i modi di farsi benvolere dai soldati ma entra profondamente in crisi quando nel campo arriva il prigioniero Jack Celliers (Bowie) che fa nascere in lui un forte sentimento d’amore che però non può dichiarare per non perdere la stima dei commilitoni. L’ultimo incontro tra i due protagonisti ci mostra con estrema delicatezza quanto fosse forte l’amore di Yonoi per il fiero Celliers. Il film ha dato una spinta mondiale allo sviluppo del cinema queer che in quegli anni muoveva i primi passi.
L’altro film a prevalente tematica gay di Oshima è anche la sua ultima opera, “Tabù – Gohatto” del 1999, che ci racconta l’amore delicato e profondo del giovane Sozaburo Kano per il compagno d’armi Hyozo Tashiro che invece è famoso per le sue molteplici avventure gay, che scombussolano l’intero reparto. Entrambi sono una specie di samurai assoldati nella Shinsengumi, uno speciale corpo di polizia. La storia è raccontata in modo altamente poetico e figurativo, forse troppo lontano dal gusto degli spettatori occidentali, cosa che non ha permesso al film di ottenere il successo commerciale di altri film dello stesso regista, ma è sicuramente diventato un cult sia del cinema gay che del cinema di qualità. A proposito dell’omosessualità, il regista, durante la presentazione del film al Festival di Cannes 2000 aveva dichiarato: “Oggi non si deve più nascondere, anche se in Giappone persiste un forte moralismo. In «Tabù», racconto come l’omosessualità fa parte del clan di samurai. In un gruppo di soli uomini, che vivono all’interno di una situazione codificata si accendono sempre pulsioni omosessuali. Per questo non credo che si possa capire l’universo dei samurai senza parlare di omosessualità».

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