Il film, dall’intrigante titolo “Le migliori cose del mondo”, è ispirato dai romanzi di formazione scritti da Gilberto Dimenstein e Heloisa Prieto, ma anche da prolungate osservazioni su un gruppo di studenti che la regista ha pazientemente seguito e ascoltato per mesi. A noi il film ha ricordato la bella serie spagnola “Fisica o Chimica”, anch’essa ambientata all’interno di una scuola media superiore, naturalmente il film ha tempi meno veloci e concitati, più adatti alla riflessione e con momenti di delicata poesia, grazie anche alla fotografia di una San Paolo diversa da quella che siamo abituati a vedere nelle cronache del carnevale.
Il pregio maggiore del film sta proprio nella sua semplicità e naturalezza, con personaggi autentici, spesso in balia di eventi che a prima vista appaiono incontrollabili e difficili da digerire, ma presentati sempre con la massima sobrietà, con la macchina da presa che si ferma sulla timida lacrima di una madre che si sente sconfitta, oppure sul viso esterefatto dei figli che non riescono a credere a quello che sta succedendo alla loro famiglia, l’unica ancora di sicurezza che avevano sempre a disposizione e che ora d’improvviso svanisce.
Il film ci racconta il viaggio verso la maturità di un quindicenne, Mano, diminutivo di Hermano (un bravissimo Francisco Miguez), ancora vergine, che piano piano riuscirà a comprendere quali sono le cose migliori della vita. Tra queste cose, con sorpresa, capirà che ci può stare anche l’omosessualità del padre che decide di abbandonare la famiglia per andare a vivere con un suo assistente universitario. E naturalmente l’amore, quello vero, non sempre facile da riconoscere.
Il film affronta molti temi tipici dell’adolescenza, come l’amicizia, il difficile inserimento nella comunità scolastica, il primo amore, la scoperta del sesso, le prime delusioni, ecc. Tra questi temi emerge però quello dell’omosessualità, presentato come la cartina di tornasole per comprendere quanto sia sincera, democratica e civile l’educazione alla vita di questi ragazzi. Siamo in Brasile, in una città che si vanta di essere una delle più tolleranti del mondo, eppure guardando il film ci sembra di essere dietro l’angolo di casa nostra, in uno qualsiasi dei nostri licei. Dove l’omofobia è ancora diffusa ed è difficile contrastarla.
Nel film (lo stesso accadeva nella serie televisiva di cui sopra) solo un ristretto gruppo di ragazzi riusciranno a fronteggiare la maggioranza omofoba, trasformandosi in piccoli Robin Hood che lottano per la libertà, dopo aver compreso che ognuno ha diritto alle proprie scelte, quali che siano.
Mano rimane sconvolto quando il padre confessa a lui e al fratello di essere innamorato di un uomo e di voler vivere con lui. Se la cosa fosse successa ad un suo amico, dice egli stesso, forse l’avrebbe accettata tranquillamente. Ma più della cosa in sè, più del dolore che deve sopportare la madre abbandonata (comunque assai comprensiva), quello che terrorizza Mano è la reazione dei suoi compagni di scuola quando sapranno della cosa: figlio di un gay, quindi forse gay anche lui (glielo chiderà sfacciatamente la blogghista di turno). La regista gioca un po’ su questa cosa all’inizio del film quando viene rivelata l’omosessualità del padre e nello stesso tempo ci mostra Mano che non riesce a fare sesso con una prostituta, facendoci sospettare delle sue tendenze. No, Mano è etero al 100 per 100, il problema è solo che lui non è il tipo da sesso senza amore. Anche la sua prima storia, forse troppo superficiale, dovrà pagare il prezzo per essere figlio di un gay (ma sarà un passaggio rivelatore). Solo la sua migliore amica, Carol, quando lui le confesserà di avere un padre gay, reagirà benissimo, dicendogli che il suo è antropologo, e allora?
La parte migliore (dal punto di vista didattico) viene però assegnata alla coppia gay, che risulterà essere il vero motore di tutta la vicenda, col compagno del padre che alla fine diventa quasi un eroe.
Un film fresco, che riesce a presentarci il mondo giovanile in modo autentico e naturale, grazie ai bravissimi interpreti e ad una storia che aggiunge, soprattutto con la tematica gay, qualcosa di nuovo ad un filone, quello dei film sui teenager, assai frequentato dal cinema. Qualche cedimento nel finale un po’ prevedibile ed affrettato, non toglie rilievo ad un’opera che meriterebbe un maggiore lancio pubblicitario, e che invece è arrivata sui nostri schermi quasi in sordina.